Addio a Solomon Burke, il vescovo del soul

Il soul è uno di quei generi musicali che ha contribuito a creare il mito dei grandi cantanti afro-americani raccontando la loro storia tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio dei sessanta. Tra gli artisti che hanno dato lustro e fama a questo genere ricordiamo soprattutto Ray Charles, Sam Cooke, Aretha Franklin, Marvin Gaye con e senza iThe Temptations, Stevie Wonder e molti altri più o meno conosciuti al grande pubblico.
Il soul era parecchio apprezzato in quegli anni soprattutto per la carica emotiva che trasmetteva e perché la sinergia tra musica e religione era indissolubilmente legata al genere: non era strano trovare cantanti dell’epoca che erano anche dei pastori religiosi, o che grossi concerti avvenivano all’interno delle chiese.
Dal soul derivano altri generi come il Gospel, il Blues e lo Swing. Ma tutti nascevano dal Rhythm & Blues dei neri americani che cantavano durante i primi anni del secolo scorso col dispregiativo “Race music“, musica della razza. Della race music, e successivamente del Soul, fa sicuramente parte Solomon Burke.
Solomon è considerato il re del Rock & Soul e il Vescovo del Soul per molti motivi, primo dei quali per il titolo del suo secondo album nel 1964 – Rock ‘n’ Soul, appunto -, e perché la biografia artistica di Burke lo cataloga naturalmente tra i grandissimi soulmandella storia musicale americana. Già celebre nel 1947, all’età di sette anni perché già componeva sermoni per la chiesa che frequentava, Solomon è diventato da grande uno dei più seguiti reverendi americani anche e soprattutto per la sua voce massiccia e immediatamente riconoscibile.
Tra il 1962 e il 2006 Solomon Burke ha pubblicato 30 album in studio, un unico live nel 1983 ed una sola raccolta di successi nel 2002: Rock ‘n’ Soul, The Rest of Solomon Burke, I Wish I Knew, King Solomon, Proud Mary, King Heavy, Electronic Magnetism, I Have a Dream, Back to My Roots, Music to Make Love By, Sidewalks, Fences & Walls, Lord We Need a Miracle, Get up and Do Something, King of Rock ‘n’ Soul, Take Me, Shake Me (live), Soul Alive, A Change Is Gonna Come, Into My Life You Came, This Is His, Homeland, Soul of the Blues, Live at House of Blues, Definition of Soul, We Need a Miracle, Not by Water But Fire This Time, Soulman, Don’t Give Up on Me, The Incredible Solomon Burke at His Best, The Apollo Album, Make Do With What You Got, Nashville.
Solomon per tutti è semplicemente King Solomon.
Messo a confronto con i grandi che hanno fatto la storia del soul e del blues, Solomon Burke è pressoché sconosciuto al grande pubblico. Però molti successi che ancora oggi – tra cover e rifacimenti vari – si sentono nelle radio sono sue. Canzoni come “Just Out Of Reach Of My Open Arms” o “Cry to Me” estratte dal suo primo album del ’62 “Solomon Burke” girano tutt’oggi nei programmi R&B radiofonici. Tutti conosciamo “Everybody Needs Somebody To Love” dei Blues Brothers resa celebre dall’omonimo film di John Landis nel 1980, ma in pochi sanno che quella era una canzona scritta e registrata da Solomon Burke nel 1966 come singolo di enorme successo (ripresa e registrata pure dai Rolling Stones qualche anno dopo). Come in pochi sanno che nell’album “Don’t Give Up on Me” del 2002, canta canzoni scritte appositamente per l’occasione da grandi artisti come Elvis Costello, Bob Dylan, Van Morrison e Tom Waits.
In Italia era spesso ospite al “Pavarotti & Friends“.
Solomon Burke è morto oggi all’aeroporto Schipol di Amsterdam dove tra qualche giorno doveva tenere una serie di concerti presentando tutti i suoi maggiori successi. Aveva 70 anni e con lui se ne va un altro importante pezzo della storia musicale mondiale.
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