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Un dossier tragicomico. Disinformazione e maestrine dalla matita rossa e blu

Monta la polemica sul report "Disinformazione sul conflitto russo-ucraino", curato dalla Federazione Italiana Diritti Umani e da Open Dialogue e presentato alcuni giorni fa alla sala stampa della Camera dal deputato del Pd Andrea Romano.

È un documento molto istruttivo della rozzezza e della sciatteria che può raggiungere il dibattito politico domestico sulla guerra in corso. La struttura del report è difatti stupefacente nella sua grossolanità. Si tratta essenzialmente di una lenzuolata di frammenti di interviste, articoli e dichiarazioni di giornalisti, intellettuali, studiosi e docenti universitari apparsi su canali televisivi pubblici e privati e su quotidiani, ognuno dei quali seguito da una pedante e stucchevole replica dei curatori del report (ma gli occhiuti censori hanno infilato nella requisitoria anche l’intervista rilasciata da Putin a Oliver Stone e trasmessa sulla Rai nell’ottobre 2017). L’atto d’accusa mosso ai mass media italiani è di aver veicolato, a beneficio della Russia, “falsi miti” in assenza di “un’adeguata analisi giornalistica delle fonti”.

L’effetto complessivo è di rara comicità. Ne do qui solo un saggio. Cosa si è permessa di dire Donatella Di Cesare il marzo scorso a Bianca Berlinguer? Che coloro “che dicono ‘mandiamo le armi in Ucraina’, secondo me, a un certo punto sono loro in fondo che hanno una posizione un po’ ipocrita perché alla fine vuol dire fare la guerra con i corpi altrui. Vuol dire mandarli in fondo a morire”. L’incipit della replica dei cacciatori di falsi-miti-non-supportati-dai-fatti è disarmante per il tono didascalico, da maestrina delle elementari di un tempo, quella dalla proverbiale matita rossa e blu: “non vuol dire mandarli a morire, il contrario: vuol dire…”, ecc. ecc.

Ora, è possibile non condividere nulla, assolutamente nulla, delle argomentazioni della Di Cesare, come anche di quelle di Corrado Augias, Alessandro Barbero, Alessandro Orsini, Barbara Spinelli, Franco Cardini, tutte personalità messe alla berlina nel report. Ma quel che offrono la Di Cesare e gli altri nelle citazioni riportate nel documento sono perlopiù interpretazioni, certamente opinabili, di un evento storico, e in quanto tali possono essere oggetto di un confronto, anche aspro, su qualsiasi mezzo d’informazione, e non di un risibile maccartismo in sedicesimo che raggiunge il suo apice quando gli inquisitori contestano a un giornalista di aver girato un documentario sulla comunità italiana in Crimea in «palese violazione della legge ucraina sull'attraversamento delle frontiere». La libertà di stampa con tanto di visto ministeriale; questo è quello che hanno in mente gli ineffabili estensori di questo tragicomico dossier.

 

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