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Spagna sul tetto del Mondo

Il gol di Iniesta evita l’incubo dei rigori, e gli Spagnoli entrano nella storia

Al triplice fischio i giocatori in maglia blu si lasciano cadere sull’erba fresca e maltrattata, andando giù come marionette senza fili. Il boato di Madrid, Barcellona e di tutta la Spagna sembra squarciare il cielo e raggiungere Johannesburg dall’altro capo del mondo.
 
La panchina invece scatta in piedi, lanciandosi in una corsa liberatoria.
Si piange.
 
Piangono i giocatori dell’Olanda, lacrime di amarezza. Ma piangono anche gli spagnoli. Lacrime di pura gioia che scorre sulle guance.
 
Ed è questo uno spettacolo che solo lo sport è capace di dare, gioia e dolore che si guardano faccia a faccia, come parte di un’unica emozione.
 
Casillas cerca di asciugarsi le lacrime con ancora alle mani i grossi guantoni da portiere, un’ipoteca sul titolo ce l’ha messa soprattutto lui.
 
La Spagna si conferma superpotenza del calcio. Ora non solo europeo, ma anche mondiale. In una competizione in cui ogni pronostico sembrava dover essere ribaltato, in cui ogni certezza si dissolveva nell’arco di novanta minuti, la finale di certo non è stata un’eccezione.
 
L’Olanda non crolla e vende cara la pelle, la Spagna non mette a segno una goleada e, anzi, fatica a portare a casa la vittoria, che arriva solo nel secondo tempo supplementare.
 
Come a Londra, anno in cui il suo Barcellona vinse la Champions League, Iniesta si conferma l’uomo del destino, capace di tirare fuori un gol dal cilindro all’ultimo minuto.
 
Oltre il novantesimo la Spagna non aveva certamente pensato di arrivare. Ci si aspettava un’Olanda tosta, ma non fino a questo punto. E pensare che ben due incredibili palle gol sono passate sui piedi vellutati di Robben, il talento che mette a segno gol di straordinaria bellezza, riesce là dove nessuno sembra poter riuscire, ma che sbaglia le finalizzazioni più semplici.
 
Per uno come lui potrebbe sembrare roba da normale amministrazione, ma non questa volta, non in una finale mondiale in cui il risultato danza agile su un filo da equilibristi.
 
Nel primo tempo, più che calcio abbiamo visto calci (e tanti!) tirati dagli olandesi, visto che con le buone le Furie Rosse non si fermano.
 
Emblema del gioco sporco e falloso degli orange è l’entrata assassina di De Jong, degno del miglior Van Damme, che colpisce in pieno sterno il malcapitato Xabi Alonso. Sotto gli occhi allibiti degli spagnoli, l’arbitro Webb non estrae il cartellino rosso ma uno dal colore molto, ma molto più chiaro.
 
La partita è dura e fallosa fino alla fine, come dimostrano le ben tredici ammonizioni, più un’espulsione per doppio giallo. Ormai l’arbitro ha perso le redini della partita e il campo del Soccer City Stadium diventa un autentico Far West. Vincerà solo il più forte, ovvero chi riuscirà a tenere duro fino alla fine, quando riaffiora la fatica di tutto un Mondiale passato a correre e a lottare.
 
Xavi e Iniesta provano a traghettare la Spagna attraverso il pantano olandese ma l’invincibile armada è costretta a combattere su ogni pallone, aggredita dal pressing asfissiante degli orange che a perdere proprio non ci sta.
 
Egoismo e poca concretezza: saranno questi i due peccati che stavano per far affondare gli Spagnoli, come del resto si era visto anche nelle precedenti partite.
Quando la Spagna la smetterà di cercare di andare fin dentro la rete palla al piede e imparerà l’altruismo sotto porta, allora sarà davvero una macchina da gol inarrestabile.
 
Ne sa qualcosa Fabregas che ha rischiato di passare una brutta nottata. Solo davanti a Stekelenburg, dà un’occhiata a Villa, solo e non in fuorigioco alla sua destra, ma decide di tirare per mettere il suo sigillo personale. Il tiro colpisce il portiere, occasione malamente sprecata.
 
Ma, come si dice, a tutti viene concessa una seconda opportunità, e il giocatore dell’Arsenal ha l’occasione di mandare in gol Iniesta, ed è un vero matchpoint.
Iniesta guarda la palla, poi la rete, mette a tacere il cuore che gli martella nel petto e lascia partire un tiro che il numero uno olandese può solo sfiorare. Come nei suoi sogni, la rete si gonfia, il boato del pubblico cresce, e in men che non si dica è preso d’assalto da tutti i suoi compagni, sotto una piramide di maglie blu.
Semplicemente commovente la maglietta che il giocatore spagnolo esibisce sotto quella della nazionale. E’ dedicata al capitano dell’Espanyol, Dani Jarque, deceduto a Coverciano l’anno scorso per un improvviso arresto cardiaco. Lo storico avversario nei derby di Barcellona è idealmente stretto dall’abbraccio di tutta la Spagna, che conquista il primo titolo della sua storia, logico climax di un’escalation calcistica che ha le sue basi nell’umiltà e nella fiducia nei giovani.

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