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Mater Alchimia

"Anche la più semplice delle inferenze ha dentro di sè una filosofia dell'universo"

(Charles Sanders Peirce )

 

Il profondo è la superficie”

(Friedrich W. Nietzsche )

 

"Io mi sforzo di ricondurre il Divino che è in me al Divino che è nell'Universo."

(Plotino)

 

I

Nell'angolo severo i giocatori

muovono i lenti pezzi. La scacchiera

li avvince fino all'alba al duro campo

dove si stanno odiando due colori.

Su di esso irradiano rigori magici

le forme: torre omerica, regina

armata, estremo re, cavallo lieve,

pedoni battaglieri, obliquo alfiere.

Quando si lasceranno i due rivali,

quando il tempo oramai li avrà finiti,

il rito certo non sarà concluso.

In Oriente si accese questa guerra

che adesso ha il mondo intero per teatro.

Come l'altro, è infinito questo gioco.

 

II

Debole re, pedone scaltro, indomita

regina, sghembo alfiere, torre eretta

sul bianco e nero del tracciato cercano

e sferrano la loro lotta ramata.

Non sanno che il fortuito giocatore

che li muove ne domina la sorte,

non sanno che un rigore adamantino

ne soggioga l'arbitrio e la fortuna.

Ma il giocatore è anch'esso prigioniero

(Omar lo dice) d'una sua scacchiera

fatta di nere notti e bianchi giorni.

Dio muove il giocatore, e questi il pezzo.

Che dio dietro di Dio la trama inizia

di tempo e sogno e polvere e agonie?”

 

(Scacchi Ajedrez di Jorge Luis Borges)

 

La ragione è oscillante,vaga, oscura, ma c'è

(Alfred North Whitehead )

 

Per l'americano Charles Sanders Peirce, la logica coincideva con la semiotica ed era la comprensione di come i segni potessero rappresentare 'il mondo'.

Il foglio-mondo, che egli ideò, sarebbe l'insieme di tutte inferenze possibili (vale a dire ogni forma di ragionamento con cui si dimostra il logico conseguire di una verità da un’altra), che implicano lo scorrimento di ciascun foglio nell'altro, per la necessità di spiegare il precedente. Una sequenza di infiniti 'cioè'.

Una filosofia è già una rappresentazione della realtà, di cosa è il mondo che ci circonda, e per questa ragione è già un foglio-mondo, che per spiegarsi ha bisogno di infiniti altri fogli-mondo.

Nel foglio-mondo vi è il mondo, in una sua rappresentazione.

Pertanto il mondo sta sempre dentro i 'fogli-mondo' nelle loro prospettive, grafi, combinatorie.

La stessa parola, che noi usiamo 'mondo' non è altro che un rimando alla rappresentazione del mondo.

Il destino ultimo della prospettiva di un foglio-mondo, è di fare l'esperienza dell' essere in errore, rispetto alla sua verità, che vuole rappresentare.(cfr Carlo Sini (1)).

Il cammino umano è l'incontro continuo della verità del mondo, attraverso una rappresentazione, che necessariamente comporta la conoscenza dell'essere, ma in errore, in quanto necessariamente parziale.

La conoscenza logica (l'inferenza logica) prevede una tripartizione, presente in filosofia da Aristotele in poi, tra concetto, giudizio e sillogismo.

Il filosofo americano elabora specificamente tre categorie, denominate primarietà, secondarietà e terziarietà, come metodo di costruzione dei fogli-mondo.

Questa triplice valenza è pur sempre assimilabile a quella dialettica/logica plotiniana, ma ben delineata successivamente da Fichte, Hegel e Marx: cioè tesi, antitesi e sintesi.

Le Massonerie, con i loro riti e simboli di antica origine anche di natura alchemica, sono anch'esse dei fogli-mondo e nella loro migliore tradizione secolare, hanno la prerogativa di considerare la ragione umana come 'lume' guida dell'agire umano.

Citando un massone tedesco settecentesco, grande teorico della massoneria, Adolph Freiherr Von Knigge: “l'essenza della nostra santa religione non ci insegna alcun precetto, cui l'uomo non possa giungere attraverso l'uso della ragione o che sia in contraddizione con la religione naturale”(2)

Johann Gottlieb Fichte, nelle sue 'Lezioni di Massoneria', delineava il 'foglio-mondo' massonico.

Egli asserì: "L’unico scopo dell’esistenza umana sulla terra non é né cielo né inferno, ma solo l’umanità, che quaggiù portiamo in noi, e la sua massima possibile perfezione."(3).

Il connubio storico della Massoneria, con la vita pubblica dello Stato è spiegato dallo stesso Fichte:

"In una parola: le deficienze dell’educazione umana, che, secondo le nostre conclusioni, possono essere eliminate solo mediante un’associazione quale noi concepiamo la massonica oggi esistente, debbono essere tanto antiche quanto l’ordinamento sociale:

posto che sono una conseguenza necessaria di questo. ma se esse sono esistite, vi son pure sempre stati senza dubbio, anche degli uomini eccellenti, che le hanno osservate.

Ma se esse sono state osservate, senza dubbio quei medesimi che le osservano hanno ad un tempo trovato altresì l’unico mezzo possibile per mettervi rimedio, quello [cioè] della segregazione in società chiuse, rivolte allo scopo della cultura puramente umana, e si sono uniti con altre persone della stessa idea per attuare i loro disegni.

É dunque sommamente verisimile, che accanto alla cultura pubblica vi sia sempre stata nella società una cultura segreta, che è proceduta di pari passo con la prima, con essa é ascesa e caduta, ed ha avuto su quella un influsso inosservato, a sua volta godendo o soffrendo essa stessa per l’influsso dell’altra: come ad esempio Pitagora e la sua famosa lega negli stati della Magna Grecia.

Poniamo adunque, come prima proposizione che meriti il nostro interesse, la tesi seguente: può ben darsi che, fin dove giunge a risalire la storia, vi siano sempre state istituzioni educative segrete, ossia separate, e che si debbono necessariamente separare, da quelle pubbliche"(3).

Per Fichte, la cultura nazionale di un popolo, è di stretta derivazione dalle associazioni segrete culturali:

"Ma quale cammino abbia preso la pubblica cultura, noi lo sappiamo con qualche certezza dalla pubblica storia. É vero che l’origine e la fonte prima di questa cultura si nascondono in una segreta oscurità, o si avvolgono nella poesia mitica: e abbiamo anzi trovato, anche posteriormente, popoli dotati di alta cultura (pensate per ora soltanto agli indiani e ai cinesi), la cui storia culturale non si riattacca per nulla alla catena, su cui stendiamo lo sguardo, né forma di essa anello alcuno, e che da soli ricondurrebbero a una alta scaturigine di civiltà della nostra specie, che non sia quella conosciuta dalla nostra storia.

Frattanto però, lasciate da parte queste considerazioni, possiamo sorgere anche nella nostra storia un progresso e una ininterrotta catena di civiltà, che procede dagli egiziani ai greci, da questi ai popoli dell’Asia minore, da questi di nuovo ai greci, dai greci ai romani, e da questi, dopo la fusione con il cristianesimo sorto frattanto in oriente, fino ai moderni europei.

In tutto questo processo ci fu bisogno di istituzioni segrete di cultura: é verosimile, [così] suona la nostra prima proposizione sopra enunciata, che ve ne siano effettivamente state.

Tutta quanta la cultura pubblica nella suddetta serie di tempi e di popoli é sempre una e medesima cultura, un filone compatto, che agevolmente assume l’impronta del carattere nazionale di ciascun popolo a cui esso perviene, e che si accresce e si perfeziona per i progressi dello spirito umano presso ciascun popolo.

È pertanto sommamente verosimile - e questa é la seconda natural conseguenza da noi ricavata, restando dal punto di partenza del profano - che una simile e compatta catena di cultura segreta si sia snodata accanto a quel filone di cultura pubblica giù per gli stessi tempi e popoli, e, precisamente come la pubblica, sia pervenuta fino ai nostri tempi; é possibile che, come si congiunse alla pubblica cultura il cristianesimo proveniente da un’altra origine, nella stessa epoca anche la cultura segreta esistente si sia annessa la cultura segreta degli stessi popoli orientali, dalla cui pubblica cultura sorse il cristianesimo."(3).

I riti della tradizione classica, dai riti dei misteri maggiori egizi, da cui deriverebbe la religione ebraica (come argomentato, a suo tempo da Carl Leonard Reinhold nel 1785-86), alla ritualità orfica ed eleusina, sono una buona base simbolica per la Massoneria.

Da queste ritualità, deriverebbe anche la sapienza di Pitagora (altro personaggio fondamentale ).

Il 'fare' massonico è anche un 'fare' alchemico, cioè dell'arte di trasformare i metalli in oro, ma con una valenza simbolica e metaforica ben precisa.

Come ha scritto il filosofo massone italiano Demetrio Errigo, già Onorevole: “La mente. come i metalli e gli elementi, può essere trasmutata: da stato a stato, da grado a grado, da condizione a condizione, da polo a polo, da vibrazione a vibrazione. La vera trasmutazione ermetica è un'arte mentale Alla base e più in la dell`universo del tempo, dello spazio e delle mutazioni, si trova la verità fondamentale, la realtà sostanziale. ...La voce della Ragione deve essere accolta nel migliore dei modi e trattata [sempre] con dovuto rispetto.” (4)

Per una comprensione dell'universo alchemico, che va oltre la massoneria, vorrei fare riferimento all'eccellente pubblicazione della Professoressa Michela Pereira, 'Mater Alchimia', da cui si evincono i principi di tali processi e per meglio distinguerli dalle ritualità religiose o da quelle mistiche: "Anche i testi più aperti e didascalici non possono dire quello che è davvero al cuore dell'alchimia perchè l'evento che cambia il rapporto del mondo corporeo col tempo è di per se stesso indicibile seppure esperibile o forse piuttosto sperabile.

La peculiarità dell'opera alchemica, anche quando è rivolta all'interno del soggetto (come in certe pratiche dell'alchimia taoista o indiana), mira alla sua trasformazione integrale e dove la sottrazione alla dimensione del tempo non si realizza nell'interiorità dell'anima, mediante l'unione con la divinità, ma nella concreta realtà dei corpi, mediante il loro perfezionamento. Se l'esperienza mistica si modella dunque sulla visione di Dio, la trasmutazione alchemica ha il suo riferimento teologico nella resurrezione della carne: sono due forme esperienziali di trasformazione del finito nell'infinito vicine e strutturalmente simili, spesso storicamente intrecciate, ma irriducibili l'una all'altra.” (5)

Nelle dissertazioni dei testi alchemici si constata: “che di regola in essi a qualunque epoca appartengano, la chiarezza viene attribuita alle dottrine, il carattere oscuro alle prescrizioni operative.

L'ingiunzione del segreto riguarda inoltre costantemente queste ultime, mentre le dottrine sono considerate insegnabili soprattutto a partire dal loro accostamento a quelle filosofiche; sicuramente è così almeno fintantoché la filosofia aristotelica non produce, alla fine del Medioevo, l'omologazione epistemologica che colloca fuori dal discorso scientifico - dunque fuori dall'ambito della razionalità - le forme del discorso radicate in tipi di esperienza diversa da quella che si fonda sull' osservazione del mondo sensibile.”(5)

Pertanto l'Occidente europeo ha assistito ad una svalutazione dell'insegnamento alchemico, ma la Pereira cita Wittgenstein, in difesa dell'alchimia: “ 'Ciò che non si può dire si deve tacere': la celebre affermazione di Ludwig Wittgenstein, una dei cardini della meditazione filosofica del Novecento, chiude una riflessione sul segreto nell'alchimia che, dopo averne esaminato le ambiguità e le molteplici interpretazioni possibili, sottolinea come centrale la natura esperienziale della ricerca alchemica e la sua intraducibilità nel linguaggio.

Il sapere ottenuto attraverso l'esperienza intuitiva, spesso definita donum Dei, illumina diversamente il mondo materiale rispetto alla scienza dimostrativa del sillogismo: fa infatti penetrare la mente dentro le dinamiche naturali; rendendo ciò che alla percezione sensibile rimane occulto.

...

ciò che non si può dire, infatti; si può fare operativamente, e in questo fare - soprattutto nel disfare le sostanze dotate di forma, che costituisce la prima operazione - si manifesta la possibilità aperta all'essere umano di andare oltre la natura, portando con sé la natura stessa in questo processo di oltrepassamento." (5)

Quest'idea di un essere al contempo naturale e non naturale (in quanto va oltre la natura stessa), potrebbe ricordare la figura del satiro della tragedia greca, come descritta da F. Nietzsche, nella sua Opera 'La nascita della tragedia':

Indubbiamente è ideale il terreno su cui, secondo la giusta concezione di Schiller, il coro satiresco dei Greci, il coro della tragedia primitiva, è solito muoversi, un terreno collocato in alto, al di sopra delle vie su cui solitamente si muovono i mortali.

I Greci hanno costruito per questo coro il palco volante di un finto stato di natura e vi hanno collocato sopra i finti esseri naturali. La tragedia è cresciuta su queste basi, e così stata fin dall’origine dispensata da una tormentosa contraffazione della realtà.

Se non che, questo mondo non è un mondo arbitrariamente collocato dalla fantasia fra cielo e terra; è invece un mondo altrettanto reale e credibile quanto per i Greci credenti l’Olimpo con tutti i suoi abitatori.

Il satiro come coreuta dionisiaco vive in una realtà religiosamente riconosciuta sotto la sanzione del mito e del culto. Che la tragedia si inizi con esso, che da esso parli la saggezza dionisiaca della tragedia, è per noi un fenomeno tanto singolare quanto il veder la tragedia nascere dal coro.

Forse conquisteremo un buon punto di partenza per le nostre riflessioni, se qui pongo l’affermazione che il satiro, l’essere naturale fittizio, sta all’uomo incivilito come la musica dionisiaca sta alla civiltà.

Di questa, Richard Wagner dice che è dispersa dalla musica come la luce d’una lampada è dispersa dal giorno. Allo stesso modo, io credo, il greco incivilito si sentì annullato in presenza del coro dei satiri; ed è questo l’effetto più immediato della tragedia dionisiaca: stato e società, e in generale tutto ciò che separa uomo da uomo, cedon di fronte a uno strapotente senso d’unità che riconduce tutti al seno profondo della natura.

Il conforto metafisico a cui qui accenno, che lascia in noi ogni vera tragedia, il conforto di sentir la vita, nonostante ogni mutar di fenomeni, come qualche cosa d’indistruttibilmente possente e gioioso, ci appare con corporea evidenza nel coro di satiri, in quanto coro di esseri naturali che vivono per così dire indistruttibili dietro ogni civiltà, e che, ad onta d’ogni nuovo mutamento delle generazioni e della storia dei popoli, rimangono eternamente gli stessi.

Con questo coro si consola l’anima profonda del greco, più delicato e più d’ogni altro sensibile al dolore; con occhio acuto egli vede il terribile spirito d’annientamento della così detta storia universale e la crudeltà della natura ed è messo sul punto di desiderare un annientamento buddista della volontà. Lo salva l’arte, e per mezzo dell’arte la vita salva lui." (6)

 

Le osservazioni della Pereira sono sempre illuminanti, circa la concezione, che l'alchimista ha del mondo : “Il dono di Dio è dunque la comprensione che la parola pronunciata nell'Eden (Gn 1, 28), «riempite la terra, soggiogatela e dominate [...] su tutti gli esseri viventi che la popolano», può realizzarsi dinamicamente nella trasformazione di tutta la realtà, ermeticamente intesa come riunificazione e reciproca scambiabilità di corpo e spirito, alto e basso: l'alchimia come compito umano par excellence, come realizzazione materiale della perfezione propria dello spirito, non ridotto alla ragione dimostrativa, ma cosciente del proprio compito che è insieme immanente e trascendente «finora i filosofi hanno interpretato il mondo, ora è giunto il momento di cambiarlo».

...

È però il contatto con la filosofia neoplatonica che fornisce lo slancio necessario perché il potenziale simbolico della ricerca trasmutatoria venga rilasciato in tutta la sua ampiezza: la centralità della figura di Stefano d'Alessandria nella tradizione occidentale dell'alchimia si conferma anche sotto questo punto di vista, come - già lo abbiamo visto - va riconosciuta sul piano storico nella trasmissione delle conoscenze alchemiche all'Islam.”(6)

Michela Pereira conclude il suo saggio con l'apologia del processo alchemico: “la materia da salvare si cristallizza nelle forme enigmatiche scaturite dalla sua ultima trasmutazione: quella in un linguaggio che cerca di dire l'indicibile, in un simbolismo che manifesta la segreta aspirazione all'integrazione della mente col mondo, in un mito consapevolmente costruito e amorosamente coltivato, un fiume carsico che a lungo, come una linfa nascosta, ha alimentato la terra della nostra cultura, ma a cui possono attingere solo quanti non hanno paura di avventurarsi nel profondo.”.(6)

Un concetto espresso da Nietzsche è che 'il profondo è la superficie', frase enigmatica, ma che si potrebbe esplicitare con: 'il senso è la sua rappresentazione'.

Cioè il senso delle cose è in come vengono rappresentate o in come si manifestano.

Ma Michela Pereira offre anche un piccolo spaccato del fenomeno alchemico in età medievale:

A partire dal tardo Medioevo, la simbologia tradizionale dell'alchimia si innesta su quella biblico-cristiana, come mostra il richiamo all'albero della vita: dapprima nel linguaggio dei testi, che accostano la preparazione dell'elixir alle vicende della vita di Cristo, come nelle Parabole attribuite ad Arnaldo da Villanova, o alla poesia del Cantico dei Cantici, come nell'Aurora consurgens attribuita a Tommaso d 'Aquino «Cominciano gli esempi nell'arte dei filosofi dai detti dei profeti e dalle loro parabole circa la venuta di Cristo.

E secondo il suo avvento si può comprendere quest'arte e anche orientarsi nella sua realizzazione, poiché Cristo fu esempio di ogni cosa. Pertanto il nostro elixir può essere compreso secondo il concepimento e generazione e natività e passione di Cristo»,

...

la quinta essenza produce miracoli che, nelle intuizioni di Giovanni da Rupescissa, ƒrancescano spirituale coinvolto nei movimenti escatologici di metà Trecento, possono aiutare la missione evangelica dei "poveri di Cristo”; mentre nella propaganda di un orafo fiorentino divenuto guaritore negli anni Venti del XV secolo, Lorenzo da Bisticci, il prodotto della distillazione viene addirittura denominato 'il Cristo delle medicine'.“ Non fa meraviglia dunque constatare che nell' iconograƒia alchemica la resurrezione di Cristo venga impiegata per dire l'ottenimento del farmaco, come – ancora una volta esemplarmente - nell'ultima immagine del Rosarium philosophorum pubblicato nel 1550.

Pochi decenni prima Paracelso, come il da Rupescissa ma con assai maggiore incisività, aveva accostato l'idea di riforma della medicina, di cui l'alchimia era una delle colonne, con un preciso intento innovatore sul piano teologico; e nell'età della Riforma protestante cercarono appoggio nel linguaggio e nell'immaginario alchemico lo stesso Lutero, che nei Tischreden (n° 1149) scrive: «L'arte alchemica è quella filosofia naturale degli antichi che mi sembra interessantissima [...] anche per quella bellissima allegoria della resurrezione dei morti nel giorno del giudizio»; mistici come Valentin Weigel e Jacob Böhme."(6)

Il riferimento al francescanesimo, anche nella sua 'variante alchemica', è una dimostrazione del connubio tra predicazione e ricerca di perfezione umana, che non è mai mistica.

Lo stile francescano di comunicazione è così importante, ma oggigiorno sottovalutato, da chi si occupa di pubbliche relazioni, ma che ha molti elementi interessanti.

Il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Stefano Bisi, in una conferenza del 7 aprile 2018 a Rimini (7) ha affermato: “Noi non siamo tutti San Francesco”.

Ciò dimostrerebbe l'importanza di questo santo, punto di riferimento, ancora oggi, anche se inteso nella sua propensione alla povertà e alla frugalità.

Invece, quello che di seguito vorrei approfondire è la modalità comunicativa di San Francesco.

A questo scopo vorrei citare il libro di Antonio Attisani, storico del teatro, che si incentra sulla rivoluzione teatral performativa di San Francesco, il cui titolo è 'Logiche della performance: dalla singolarità francescana alla nuova mimesi' :

“...un aspetto della rivoluzione francescana consiste nel suo non consumarsi nel contrappunto della ribellione, ma nell’esperire un’altra forma di vita. Teatralità e attoricità sono giusto il nome di questa forma, che ha indubbiamente antiche radici sciamaniche, senza dipendere però da una serie archetipica, neanche da quella nota e insieme tradita dalla simbologia inane della Chiesa mondana.

Francesco inventa un singolare processo iniziatico come parte di un experimentum fide, lasciando scorrere in sé la tensione verso ciò che è naturale e vero.

Tutto il lavoro e l’artificio necessari non devono mai intaccare questa scelta di vita e devono, al contrario, condurre a una sempre maggiore semplicità e aderenza al divino-naturale.

Il lavoro dell’attore, nell’accezione francescana, consisterebbe quindi non tanto nel costruire quanto nel tracciare la strada, nel predisporre fisicamente e mentalmente, liberandosi della personalità mondana nel processo creativo, al fine di conquistare la propria individualità, il proprio se, qualcosa di molto diverso dell’immagine “anagrafica” o socialmente determinata della persona: un nuovo punto di partenza.

Il suo appare come un lavoro a togliere, e l’unica cosa contro cui si lotta, che si vuole abolire, e semmai proprio la teatralizzazione del sistema giudiziario, sistema di cui ci si serve e che si finisce per servire.

Nel processo di abolizione del teatro l’attore si consuma, avvicinandosi man mano alla scena da cui non si parla. Una volta giunto lì, non c’è più esibizione nè performance, l’obiettivo e conquistato: non c’è nemmeno più “teatro”.

Una riflessione su Francesco secondo i parametri della teatralità deve ancora cominciare e quanto si e detto finora non può certo bastare a coloro che pensano o fanno il teatro.

E non è questione di essere credenti o meno, poichè ciò che per Francesco è il “divino” per un non credente può essere vacuità e pienezza al tempo stesso, comunque l’approdo di un agire che va oltre il contrasto e persino oltre l’armonia tra un ego e gli altri. In quest’orizzonte Dio stesso e nient’altro che un’allegoria, la più potente della storia umana. Chiunque può farla funzionare.

L’opera del trascendimento e suggerita da Dante con queste parole: ≪Trasumanar significar per verba / non si poria; però l’essemplo basti / a cui l’esperienza grazia serba≫. Ciò nel primo canto del Paradiso (vv. 70-72), per descriverne l’atmosfera – ≪ …fiamma del sol…≫ (v. 80) e ≪La novità del suono e ’l grande lume…≫ (v. 82), – prima che la stessa Beatrice prenda la parola per ribadire che per quanto sia impossibile descrivere il trasumanare è tuttavia possibile farne l’esperienza.

La Donna ricorda al poeta che ≪Vero è che come forma non s’accorda / molte fiate all’intenzion dell’arte / perch’a risponder la materia è sorda≫ (vv. 127-129) e che nel luogo supremo ≪…poi dietro ai sensi / vedi che la ragione ha corte l’ali≫ (Paradiso, II, vv. 56-57). In questi passaggi Dante non si riferisce direttamente a Francesco, ma il suo argomento suggerisce di interpretare l’agire del mistico come un sentiero e una forma di lotta che portano al “paradiso”.

Le azioni francescane non possono essere né surrogate ne espresse dalle parole e tuttavia non sono un semplice evento naturale, ma un forma di intelligenza, o, meglio ancora, un passaggio e un intervento operato dalla poesia nei confronti della natura, analogo a quello svolto dal contadino sulla terra; ecco perché il movimento è duplice: da una parte si deve eliminare ciò che separa l’uomo dalla natura e dall’altra si deve operare in senso poetico per attivare ≪[…] il formal principio che produce, / conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro≫ (II, vv. 147-148).

Beatrice può descrivere come funziona ≪lo gran mar dell’essere≫ (I, v. 113) e come le ≪Virtù diverse essere convegnon frutti / di principii formali≫ (II, vv. 71-72) perché il poeta (il figlio deliro), non l’uomo, ha saputo arrivare fino lì: ≪li occhi drizzo ver me con quel sembiante / che madre fa sovra figlio deliro…≫ (I, vv. 101-102). La gnosi libera ed è generatrice di poesia: ≪Da questa istanza può deliberarti / esperienza, se già mai la provi, / ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’arti≫ (II, vv. 94-96).

Una interpretazione del poema dantesco secondo un modello performativo sembra confermata da Rudolf Steiner.

Egli sostiene che Francesco d’Assisi è stato ≪il primo vero materialista≫, colui che ha fatto ≪sorgere animicamente un sentimento per il mondo materiale≫, ≪la prima delle grandi personalità che allontanano del tutto lo sguardo da quanto fluiva dalle antiche visioni, ricche di fantasia, e rivolge invece la sua attenzione a ciò che direttamente si muove sulla Terra e soprattutto agli uomini≫.

Secondo il fondatore dell’antroposofia, Francesco avrebbe avuto il merito di ≪interiorizzare la vita dell’Occidente≫ e di valorizzare l’individuo: ≪Il singolo diventa ora importante, ognuno rappresenta un mondo a sé. L’eterno […] deve manifestarsi nel petto umano e non più fluttuare al di sopra della terra≫.”(8)

Francesco è rivoluzionario, a suo modo: “Francesco rifiuta il linguaggio inerte della Chiesa e rivela una forte tensione simbolizzatrice, che però mai si fa testo o monumento, e nemmeno “opera” nel senso di manufatto, ne aspira a diventarlo, e agisce sempre “sul limite” (Deleuze), dunque all’esterno, in tal modo sottraendosi al processo degenerativo del sapere-potere basato sulla scrittura e sulla censura dell’organico, processo destinato a conoscere una colossale accelerazione e che, si deve anche ammettere, nella storia dell’arte produrrà molte straordinarie innovazioni." (8)

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reale portata della sua (proposta di) rivoluzione antropologica, secondo la quale scopo della vita è la Vita, più che il Sapere, mentre il vero, il bello e il giusto, supremi ideali della filosofia classica, si realizzano nella padronanza-superamento del dolore e del piacere”(8)

 

Forse quell' ambivalenza nicciana tra profondità e superficie, cioè tra senso e sua rappresentazione, si potrebbe trasporre nella performance, in ciò che Attisani spiega essere il vero compito dell'attore, modello 'Francesco d'Assisi':

L’attore di Francesco, infatti, giullare o ≪mimo dalle scene multiple≫, viene prima della divaricazione prodottasi storicamente tra l’attore artifex, produttore di merce-spettacolo, professionista rinchiuso in un orizzonte secolare, da una parte, e l’attore pontifex, votato all’introspezione, all’ascesa, alla creazione dell’evento, eventualmente anche spregiatore del professionismo e comunque impegnato in un lavoro di trasformazione “spirituale”. Questa divaricazione non deriva – come vuole fare intendere la vulgata – dalla secolarizzazione dell’arte teatrale, è una degenerazione successiva, da molti scambiata per progresso.

Con Francesco questo attore che è anche autore e protagonista della propria esistenza torna a esistere come figura storica, dimostrando che è possibile realizzare entrambi gli obiettivi.”(8)

La danza di Zarathustra verrà descritta meglio in seguito, ma come ricorda Attisani:

"≪Il Performer, con la maiuscola, è un uomo d’azione≫. Questo uomo d’azione è colui che negli stessi anni Grotowski chiamava, con espressione piu neutra e “preliminare”, ≪attuante ≫, e intravedendo in Thomas Richards, soprattutto, la possibilità di andare oltre, di superare il quadro dell’arte scenica.

Non è l’uomo che fa la parte di un altro. E' il danzatore, il prete, il guerriero: e al di fuori dei generi artistici≫. Qui si avverte, oltre al tema artaudiano della vita oltre il teatro, un’eco nicciana (Zarathustra) e il ricordo della polemica ottonovecentesca contro il ≪commediante≫ – colui che fa la parte di un altro – a favore dell’attore, poeta della scena o facitore d’opera che si confronta con autori e temi."(8)

Un accenno alla nostra condizione attuale, rispetto alla prerogativa francescana, la si evince nel seguente passaggio:

Di ampia rilevanza, poi, è l’implicito enunciato francescano sul corpo: corpo-prigione e corpo-strumento, corpo che cambia condizione fino a “smaterializzarsi”.

In questo senso l’esperienza francescana anticipa le questioni poste da Artaud e Deleuze, e dovrebbe essere presa in considerazione, oltre che nella riflessione generale su cosa sia e come funzioni il corpo, anche in quello sulle interazioni tra livelli di realtà e in particolare sui cambiamenti introdotti nell’antropologia contemporanea dall’informatica.

La direzione indicata da Francesco è insomma del tutto contraria a quella realizzata dalla societa di massa, che ci ha dotati di “organi senza corpo”.(8)

Nella nota del libro di Attisani, scritta dalla filosofa Florinda Cambria, la 'trasmutazione' alchemica tra estetica ed etica prende azione nel teatro:

"In altri termini, e ai nostri scopi, potremmo allora dire che apprendere significa produrre una modificazione etica mediante un evento estetico. E' esattamente a questo genere di esperienza che si applica il nome di teatro come azione efficace operante nel dominio della più-che-realtà. La modificazione etica è infatti il portato ≪irreale≫ al quale rinvia il dato ≪reale≫ dell’evento estetico, della performance teatrale; la quale è appunto performativa perché porta a compimento (ovvero porta alla presenza dandole forma) una configurazione etica nuova, implicita (ovvero presente in assenza) nella disponibilità ricettiva del nostro sentire (ovvero del nostro con-sentire).

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Questo statuto della performance (inutile sottolineare la sua irriducibilità a qualsiasi forma di ≪spettacolarità≫) fa appello a ciò che, in generale, potremmo chiamare azione efficace e non appartiene all’ordine dell’estetico, ma dell’etico.”(8)

Il concetto di 'più-che-realtà' fu ideato dal grande saggista francese Antonin Artaud e Attisani ne dà una spiegazione:

Antonin Artaud, per suggerire questa peculiare collocazione del fare teatrale, parlò di una ≪più-che-realtà≫ come dominio dell’azione creativa e della formazione di mondi, caratterizzato dalla espansione del reale mediante il rinvio consapevole alle multiformi direzioni delle sue silenti operazioni costitutive, ai quanta di assenza presupposti in ogni presenza, al correlato di irrealtà (ovvero di possibilità) implicito in ogni realtà.

Teatrale è questo rinvio, questo movimento della vita che si avverte come oscillazione inestinguibile (≪inafferrabile dalle forme≫, diceva ancora Artaud) tra l’evanescenza del dato di realtà e l’efficacia trasformatrice del non-dato, dell’assente come fantasma e come ombra che mostra il diverso orientarsi della luce e dei corpi."(8)

Infine anche Carlo Sini, membro dell'Accademia dei Lincei, nella sua nota al libro, cita Artaud:

Artaud stabiliva fra teatro spettacolo e teatro puro, intendendo quest’ultimo come una sorta di azione metafisica sperimentale, in grado di ricollegare, nel corpo dell’attore, l’unità organica di astratto e concreto.”(8)

Una citazione di Kant, sul quel processo di creazione artistica, per mezzo dell'azione/performance che genera una nuova 'natura', potrebbe essere la seguente:

«la soluzione sta qui, nel punto in cui l’arte pervenuta alla perfezione, si converte essa stessa in natura, ecco che questo è il fine ultimo della destinazione della specie umana… Quindi si passerà dalla natura alla storia e dalla storia, tramite l’arte, alla vera natura umana».

L'illuminista Kant individua quindi il filone alchemico di rigenerazione e perfezione.

Ma Antonine Artaud è stato una personalità che ha ricercato le origini del teatro e della danza nelle società pre-alfabetiche e pre-scientifiche, sia quelle orientali, che in Messico: nazione che visitò e di cui riportò i riti tribali delle popolazioni locali.

Artaud, nell'opera 'Il teatro e il suo doppio' spiega, con grande eleganza letteraria, le origini di quei miti:

I Misteri Orfici, che tanto affascinavano Platone, devono aver avuto sul piano morale e psicologico qualcosa del carattere trascendente e definitivo del teatro alchimistico, e aver evocato, con elementi di straordinaria densità psicologica, in senso inverso ai simboli dell’alchimia i quali offrono il mezzo spirituale per decantare e trasfondere la materia, aver evocato l ’ardente e decisiva trasfusione della materia ad opera dello spirito.

Ci hanno insegnato che i Misteri di Eleusi si limitavano a mettere in scena un certo numero di verità morali.

A mio parere dovevano piuttosto mettere in scena proiezioni e precipitazioni di conflitti, indescrivibili lotte di principi, colte in quell’angolazione sfuggente e vertiginosa in cui ogni verità si smarrisce, realizzando la fusione inestricabile ed unica fra astratto e concreto; e grazie alla musica degli strumenti, a combinazioni di forme e colori di cui abbiamo perduto persino l’idea, dovevano, da un lato, colmare quella nostalgia della bellezza pura di cui Platone ha dovuto incontrare almeno una volta in questo mondo la realizzazione completa, sonora, fluente e spoglia, e, dall’altro, risolvere attraverso congiunzioni strane e inimmaginabili per i nostri cervelli di uomini ancora desti, risolvere, o anche annullare, tutti i conflitti prodotti dall’antagonismo fra materia e spirito, fra idea e forma, fra concreto e astratto, e fondere tutte le apparenze in un’unica espressione che doveva essere l ’equivalente spirituale dell’oro.”(9)

L'oro è la materia alchemica per eccellenza.

Alcuni rituali messicani, furono così descritte da Artaud: I re della danza indossano una corona di specchi, il grembiule massonico in forma di triangolo e un gran mantello rettangolare sulla spalla. Hanno inoltre pantaloni speciali che finiscono in forma di triangolo , appena al di sotto delle ginocchia.

...

quante volte ho ritrovato la croce della tradizione Rosacrociana: 4 triangoli orientati verso i 4 punti cardinali e centrati, tutti attorno ad un punto; ho visto questo segno ! Cosa posso farvi se è conforme a quello della tradizione dei Rosacroce , se è in questo modo che ci viene rivelato che i Rosacroce formavano le loro croci;(10)

In una trasmissione televisiva di approfondimento politico-culturale del 2014, dove era intervistato il Gran Maestro Stefano Bisi, il giornalista, ospite della trasmissione, concluse la trasmissione con una battuta: “Andiamo a ballare il ballo del massone”. A cui Bisi replicò: “Facciamo volentieri anche quello”.(11)

Ed è proprio nel tentativo di dare importanza alla danza, quale momento di creazione e rigenerazione di spirito ed etica, che Antonine Artaud può essere utile.

Una citazione dal sapore bruniano di Artaud, riferito all'ideologia marxista, che nel suo tempo era diffusa:

Il marxismo non può spiegare la coscienza e si rifiuta di riconoscere il mondo della coscienza, perché crede che sarebbe riconoscere la realtà assoluta dello spirito. Da parte mia, io dico che di conseguenza adotta un atteggiamento spiritualista.

Il suo timore di studiare la coscienza come un mondo in sé fa sì che, per parlare dei fenomeni della coscienza, continui ad applicare il vecchio linguaggio spiritualista che stabilisce ancora una distinzione tra materia e spirito.

Davanti allo spirito il materialista si trova disarmato. Io voglio che si entri armi alla mano nel regno della coscienza, perché ho dello spirito un’idea materiale, benché abbia una filosofia antimaterialista della vita. Credo che la vita esiste.

Non credo che la vita sia nata dalla materia, ma credo che la materia nasce dalla vita. […]

È perciò che dico: non c’è rivoluzione senza rivoluzione nella cultura, cioè senza una rivoluzione della coscienza moderna di fronte all’uomo, alla natura, alla vita."(12)

Poi la sua defezione nei confronti della scrittura alfabetica occidentale:

L’Europa ha creduto che la cultura fosse contenuta nei libri, ed ogni nazione europea ha i suoi libri, cioè la sua filosofia. In questi ultimi anni è nata una moltitudine di sistemi, ciascuno dei quali corrisponde all’apparizione di un nuovo libro, e non solamente ciascuna nazione, ma anche ciascun partito politico possiede il suo.

E al contrario di ciò che avveniva nelle grandi epoche in cui i filosofi comandavano la vita e davano origine alla politica, ciascun nuovo sistema politico si crea i filosofi che tentano pietosamente di giustificarne la demagogia." (12)

La concezione di fondo, di cosa è il corpo umano, la si può evincere in queste sue parole:

"Il corpo umano è una pila elettrica, […] è fatto per assorbire tramite i suoi spostamenti voltaici le disponibilità erranti dell’infinito del vuoto, dei buchi di vuoto sempre più smisurati di una possibilità organica mai colmata," (12)

Il commento successivo di Florinda Cambria del documento da cui è tratta questa sorta di poesia è il seguente:

"Corpo in opera, corpo en-ergico, corpo al lavoro: Artaud vi si richiama con la metafora di un corpo-pila elettrica. La sua operatività consiste anzitutto nella capacità di assumere su di sé le «disponibilità erranti dell’infinito del vuoto». Tali disponibilità, assorbite dal corpo energico, determinano, di volta in volta, la sua conformazione; conformazione dinamica in quanto attinge ad una possibilità di organizzazione (o di strutturazione funzionale) che non è mai colmata: essa è anzi continuamente rinnovata proprio da quel vuoto a cui continuamente torna e da cui continuamente attinge." (12)

Un'altra piccola dissertazione del drammaturgo francese, per meglio comprendere il fascino del suo pensiero è:

"Non esiste mondo né dominio invisibile occulto, nessun mondo di spiriti, niente spiriti, c’è semplicemente uno stato nascosto e remoto, un passaggio o partenza invisibile del corpo umano in cui lo stato organico e anatomico esterno è il solo stato valido e riconoscibile di ogni corpo.

Questa partenza o passaggio invisibile del corpo umano è uno stato dove non si resta, non si può restare, ed è il vuoto e il nulla. […] Non è uno stato, insomma, ma un corpo, è un grado del corpo, una eliminatoria di ogni corpo […]." (12)

Nella conclusione di questa dissertazione sull'importanza della danza, quale momento apicale di conoscenza 'non scritta', ma dai risvolti, che noi occidentali ignoriamo, ma che dovrebbero essere rivalutate, e che potrebbero essere interessanti, di seguito un ulteriore pensiero di Artaud e a seguire il commento della filosofa Cambria:

No, le cose non sono nate da uno spirito infinitesimale giunto dal nulla allo spessore e alla densità dell’essere.

Sono nate da un corpo esistente che ha ricavato già compiuti, dal nulla stesso, con il soffio, dei corpi, degli oggetti e delle cose che ha modellato con la mano. Ecco il materialismo assoluto." (12)

Florinda Cambria:

"Assoluto potrà dirsi solo un materialismo che, sciolto da qualsivoglia spiritualismo, sia anche in grado di render conto del prodursi della materia come dinamismo fondamentale. Il materialismo assoluto, che già in Messico Artaud riconduceva ad una precisa concezione del «modo in cui la vita entra nello spazio », si profila così come una assolutizzazione della dinamica drammatica.

È infatti nell’accadere spazializzante dell’azione, nel suo duplice movimento di pre- e post- posizione, che si radica il senso di quel «far con la mano» significativamente richiamato da Artaud come dimensione sorgiva della materia, compresa, ben inteso, la materia della mano stessa.

Per indicare il senso di tale materialismo, Artaud ricorre, in un passaggio successivo al brano che abbiamo appena letto, alla parola tropulsione.

Si tratta di un neologismo che riassume esemplarmente le istanze fondamentali che abbiamo visto intrecciarsi nella sua riflessione intorno alla natura della azione.

Sull’eco di tali istanze, che di seguito richiamiamo in modo sintetico, potremo infine tornare circolarmente ai moventi dai quali eravamo partiti.

1) Anzitutto, tropulsione è pulsione verso un tropos, cioè verso un ordine.

Una pulsione non è ancora una azione; è, piuttosto, un impulso alla azione. In tal senso, essa ha natura gestuale: la natura di un gesto che si orienta verso un ordine. In quanto motilità, la materia assoluta è dunque anzitutto il passaggio dal gesto alla azione orientata, esattamente nei termini in cui questo si mostrava nella dinamica del dramma essenziale.

2) La dinamica di orientamento del gesto in azione è però anche un rivolgimento e un ritorno (tropé). L’orientamento dell’azione è sempre un ritorno, una ripetizione: azione non è altro che gesto ripetuto, e perciò riconosciuto come l’informe presupposto nel conforme posposto.

3) In quanto messa in forma del gesto, la ripetizione agita ha natura metaforica.

Tropulsione è dunque pulsione verso un tropo: una metafora, una traslazione che prende luogo, che viene in uso, che si fa costume (tropos = abitudine, costume = ethos). In tal senso, il materialismo assoluto si ripropone come istanza eminentemente rivoluzionaria, rintracciando il luogo precipuo di una rivoluzione possibile nella matericità dei corpi in opera, in quanto corpi «tropulsivi», interamente attraversati dallo slancio gestuale (irriducibile alla loro individualità separata), che ne fa corpi dalla morfologia dinamica, corpi incarnanti l’ethos della traslazione, disposti al rivolgimento catatomico delle loro statiche conformazioni.

Una rivoluzione totale, sosteneva Artaud di fronte agli studenti di Città del Messico, potrà realizzarsi soltanto come «trasformazione pressoché materiale dell’uomo e della terra», una trasformazione che, lo si è ripetuto più volte, riguarda i modi in cui la vita entra nello spazio, tracciando confini, centri e periferie in un gigantesco «teatro della crudeltà» fatto di instabili anatomie e mobili geografie. In ciascuna di esse prendono forma corpi in opera, nei quali la massa indistinta e ultraindividuale delle gestualità possibili si disperde e si organizza secondo pesi, valori e durate variabili.

Ognuna di tali conformazioni parziali si instaura obliando la polarità drammatica nella quale è presa, assegnandosi provenienze e destinazioni a loro volta conformi e relative.

Sciolta da tale relatività resta però la assolutezza tropulsiva di una «danza terribile», che ridisegna la terra sul punto di ogni passo, assegnando ogni configurazione geosomatica ad un capovolgimento e a una traslazione.

Forse per questo, al rientro dal Messico, Artaud scriverà lapidario: «La Rivoluzione che non abbiamo saputo fare il Mondo la farà contro di noi»" (12)

Una frase scritta dal professor Carlo Sini, sul teatro artaudiano è sintesi del pensiero fin qui esposto:

Progetto ancora oggi essenziale e ineludibile per avviare un confronto con l'esperienza di senso di culture «altre» da quella occidentale. nel loro modo di essere produttive di corpi all'opera e di una pratica di verità del teatro inteso come luogo «metafisico» originario del senso d'essere dell'uomo.”(13)

 

SFONDAMENTO A ORIENTE

 

L'espressione 'sfondamento a Oriente' è utilizzata da Carlo Sini, in un suo seminario (14), per indicare la contaminazione della civiltà occidentale, attraverso quelle pratiche, quelle religioni e il pensiero dei popoli orientali antichi.

Dal documento proveniente dal suo seminario:

...chi è lo Zarathustra di Nietzsche? E qui abbiamo incontrato un’altra soglia destinale del nostro percorso. Nel nome di Zarathustra si compie infatti l’ultimo “sfondamento a Oriente” e l’ultimo grande esercizio della memoria. Si sa infatti che Nietzsche si ispirò allo zoroastrismo, ai testi dell’Avesta e alla cultura iranica.

Da discepolo di Schopenhauer, la grande rivoluzione culturale dell’inizio dell’Ottocento non gli era certo estranea. In un Frammento postumo del 1884 Nietzsche scrive:

«Nel considerare il mondo un gioco divino e al di là del bene e del male – ho come predecessori la filosofia dei Vedanta ed Eraclito»".(15)

L'importanza della ritualità antica ( degli egizi o degli orfici, ad esempio), tanto considerata nella Massoneria, era un riferimento fondamentale anche per Aristotele.

Si legge nel documento di Sini:

Ma certamente un altro testo era familiare a Nietzsche, antico filologo, e questa è anche per noi una notazione molto importante: si tratta del Peri philosophias di Aristotele. Opera giovanile in 3 libri, ce ne rimangono ampi frammenti.

Nel I libro Aristotele ricorda l’Avesta e la figura di Zaratustra; lo fa per celebrare Platone, il suo maestro (sebbene nel II libro critichi la dottrina delle idee), e si tratta dell’elogio più straordinario mai scritto da un discepolo.

Se Zarathustra aveva annunciato la dottrina del Bene, questo annuncio tornava seimila anni dopo per bocca di Platone. Questo lo spunto da cui parte anche Nietzsche.

Il 'Sulla filosofia' è oggetto di un famoso studio da parte di Werner Jaeger ... Ne ricordiamo qualche passaggio.

Aristotele pone il tema dello sviluppo storico della filosofia, ma non si limita a partire da Talete, come farà nella Metafisica; si spinge fino a Oriente (come a dire che Aristotele avrebbe dovuto essere il nostro primo testimone) e tratta dei sacerdoti egiziani, dei Magi, degli Orfici, della religione apollinea e della religione iranica ... .

Egli ricorda che le stesse verità affiorano infinite volte (cfr. l’eterno ritorno!) nel corso della storia umana, a intervalli regolari ... Questi riferimenti, fa intendere Aristotele, costituiscono il patrimonio spirituale di tutta l’Accademia, che allora costituiva proprio il centro di una tendenza orientaleggiante (presagio della spedizione del grande Alessandro in Asia, inizio, come si dice, della storia del mondo..).

«L’infatuazione accademica per Zarathustra fu un impeto entusiastico, simile a quello di Schopenhauer quando fece la scoperta filosofica del pensiero indiano.

La coscienza storica, che la scuola aveva di sé, era esaltata dal fatto che il profeta dell’Oriente avesse già rivelato da millenni, alla sua umanità, la dottrina platonica del bene come principio divino del tutto» ....

Ora, Nietzsche si impadronisce della figura di Zarathustra per affidarle il capovolgimento totale della storia umana segnata dall’avvento ciclico del Bene, ogni volta instauratosi dopo grandi lotte cosmiche: lo Zarathustra di Nietzsche fa ammenda e ritratta, in accordo con la negazione spinoziana del senso “morale” (umano, troppo umano) del tutto e in accordo con Al di là del bene e del male (1886)." (15)

Ed è proprio nella quarta parte dello Zarathustra, che Nietzsche ritratta il carattere da 'uomo superiore' del suo personaggio, spingendolo verso una condizione compassionevole.

Scrive Sini:

Dopo il “tramonto” della Parte terza, Nietzsche sentì il bisogno di aggiungere una quarta parte allo Zarathustra.

In essa si descriveva, per dirla con un motto heideggeriano, l’addio al pensiero che si era avuto sino ad allora e anzi l’addio a tutto un mondo e a una storia del mondo.

Qui Zarathustra deve affrontare il più grande dolore e il più grande pericolo, da fronteggiare con inaudita durezza. Già nella Parte terza emerge del resto il tema della “crudeltà” di Zarathustra: «Fratelli miei, forse sono crudele? Ma io dico: a ciò che sta cadendo si deve dare anche una spinta!". (15)

Dallo Zarathustra (quarta parte):

Le onde attorno alla tua montagna salgono e salgono, onde di grande afflizione e mestizia: presto solleveranno anche la tua barca e ti porteranno via”. A queste parole, Zarathustra tacque, pieno di meraviglia. – “Non odi ancora nulla? continuò l’indovino: non senti lo scroscio mugghiante che vien su dall’abisso?” – Zarathustra tacque ancora una volta e si mise in ascolto: ed ecco che udì un lungo, lungo grido, che i baratri lanciavano l’uno all’altro e rinviavano altrove, perché nessuno di loro lo voleva trattenere: tanto male faceva il suo suono.

Tu, profeta di sciagure, disse infine Zarathustra, questo è un grido d’aiuto, il grido di un uomo, che forse giunge da un mare di tenebre. Ma che mi importano le sventure degli uomini! L’ultimo mio peccato, quello che mi è stato risparmiato, tu sai come si chiama?” – “Compassione!” Rispose l’indovino col cuore traboccante e alzò ambo le mani – Zarathustra, io vengo per indurti al tuo ultimo peccato!” (15)

Lo Zarathustra è l'uomo della volontà di potenza, moderno, anche democratico, che si ascrive nell'età del Leone (cfr Sini video - 16) , che precede il 'fanciullo' dell'ultima età, che ha da venire.

Come argomentato dal professore, Zarathustra non dice la verità perchè egli stesso parla nella sua età (quella del leone) e ciò non permette il distacco necessario per prevedere un'età futura.

L'istituto democratico è l'emblema della modernità.

La compassione (come quella che sente Zarathustra) e la democrazia, sono due aspetti interconnessi e che si riflettono nella catalogazione ATECO della Massoneria come: associazioni miranti a promuovere le relazioni sociali ", come fossero dei club service al pari del Rotary o Lions.

La Massoneria, che anelita al progresso si dà alla democrazia, in Italia, con il Gran Maestro Ettore Ferrari e di seguito riporto uno stralcio di una circolare del GOI del 1907:

Questo programma è così alto e comprensivo, che in esso ben possono trovarsi uniti – pur non rinunziando ai propri ideali politici – tutti coloro che sinceramente e lealmente professano principi democratici e liberali.

E così, dissipati alcuni malintesi ed eliminate alcune diffidenze che non avevano ragione di essere, il verde vessillo massonico diviene il segnacolo di battaglia intorno al quale si riunisce il grande esercito di tutti i liberali italiani, nessuno escluso; dai monarchici, i quali nel sovrano considerano, non già il depositario del diritto divino, ma il primo magistrato della nazione, che soltanto dal diritto immanente e supremo del popolo attinge la ragione della sua potesta, ai repubblicani, i quali nella forma elettiva del supremo potere politico ravvisano la logica conseguenza e la massima espressione del diritto popolare, ai socialisti, i quali dalla lotta per la conquista dell’uguaglianza economica attendono dall’uguaglianza l’avvento di un felice ordinamento di giustizia, di fratellanza e di pace. In questo grande esercito democratico non vi è posto per i timidi e per i malfidi.

Nè altezza di uffici, nè benemerenze passate possono scusare coloro che, per timori od ambizioni, vagheggino ibride alleanze, assurde tregue, transazioni funeste." (17)

Una funzione di servizio al prossimo, come i Frati cappuccini dei Promessi Sposi, a cui il Manzoni ha dedicato la sua prosa universale, con i concetti dell' 'alto privilegio' e del 'grande Ministero'; in cui verità ed errore si avvicendano nella dimensione umana e di cui riporto il concetto più elevato, con le parole di frate Felice:

«Per me,» diss'egli, «e per tutti i miei compagni, che, fuor d'ogni nostro merito, siamo stati trascelti all'alto privilegio di servir Cristo in voi; io vi domando umilmente perdono se non abbiamo degnamente adempiuto un sì grande ministero. Se la pigrizia, se l'indocilità della carne ci ha renduti meno attenti alle vostre necessità, men pronti alle vostre chiamate; se una ingiusta impazienza, se un colpevole rincrescimento ci ha fatto talvolta mostrarvi un volto annoiato e severo; se talvolta il miserabile pensiero che voi aveste bisogno di noi, ci ha portati a non trattarvi con tutta quella umiltà che si conveniva, se la nostra fragilità ci ha fatti trascorrere a qualche azione, che vi sia stata di scandalo; perdonateci! Così Dio rimetta a voi ogni vostro debito, e vi benedica.»

 

IL SENZA NOME

 

Un'altra componente fondamentale della modernità è la scienza, con il suo sviluppo in tutti gli ambiti di azione umana.

La scienza ha eroso il pensiero filosofico e già Heidegger scriveva in questo senso:

Il compito del pensiero sarebbe allora l'abbandono del pensiero che si è avuto fino ad ora in favore della determinazione della cosa del pensiero " (18)

Per Heidegger la scienza è il compimento della metafisica, grazie al metodo scientifico che non è più sillogistico/logico (come per la filosofia), ma analitico/sperimentale.

Nietzsche è anch'egli esplicito:

Si potrebbe rinunciare all’arte, ma con ciò non si perderebbe la capacità da essa appresa; così come si è rinunciato alla religione, ma non agli incrementi e alle elevazioni dell’animo per mezzo di essa acquisiti. […] L’uomo scientifico è l’ulteriore sviluppo dell’uomo artistico»"(15)

La scienza, che pure è figlia del pensiero umanista, prima e poi illuminista, ci dona oggigiorno, quelli che Giulio Preti (un importante filosofo italiano del '900) definiva pseudo oggetti:, come ad esempio l'atomo o l'elettrone; elementi che non si possono vedere, a cui però è attribuita una realtà più intima di quella visibile all'occhio umano:

Tali enti hanno una particolare esistenza, sintattica o quasi-sintattica (pseudo-oggettica), costituendo essi la interpretazione di formule dedotte in seno all’assiomatica propria di quei discorsi.

D’altra parte, da quelle medesime formule si possono dedurre altre formule associabili con misure, conteggi e dati empirici. Hanno dunque una realtà oscillante tra quella meramente sintattica dei simboli matematici […] e quella delle “sostanze”. Anche qui i motivi della tendenza a dare a queste realtà uno stato di privilegio rispetto ai fenomeni più immediati è al contempo la loro operatività è il fatto teorico che mediante tali rappresentazioni si ottiene una vasta sistematica “spiegazione” di molte classi di fenomeni. “(19)

Ma la storia dell'uomo è qualcosa di diverso dalla scienza ed è forse più complessa come ci spiega Nietzsche:

"La storia, fino a quando è a servizio della vita, è a servizio di una potenza storica e perciò non potrà e dovrà mai diventare, in questo ordine subordinato, scienza pura come lo è la matematica.

Ma la questione fino a quale grado la vita avrà bisogno dei servizi della storia è una delle questioni e preoccupazioni somme per quanto riguarda la salute di un uomo, di un popolo, di una civiltà, dato che con un certo eccesso della stessa si sbriciola e degenera la vita e alla fine, attraverso questa degenerazione, la storia stessa." (20)

Pertanto, non solo la storia, ma l'esistenza stessa dell'uomo è una realtà che la scienza non è (ancora) in grado di spiegare e quindi il filosofare è ancora necessario.

Ricordando ancora Nietzsche:

Ora tutto l’essenziale dell’evoluzione umana è avvenuto in tempi remotissimi, assai prima di quei quattromila anni che all’incirca conosciamo e durante i quali l’uomo non può essere gran che cambiato. Ma nell’uomo attuale il filosofo vede «istinti» suppone che essi appartengano ai fatti immutabili dell’uomo e possano quindi fornire una chiave alla comprensione del mondo in generale: tutta la teologia è basata sul fatto che dell’uomo degli ultimi quattro millenni si parla come di un uomo eterno, al quale tendono naturalmente tutte le cose del mondo. Ma tutto è divenuto; non ci sono fatti eterni: così come non ci sono verità assolute. Per conseguenza il filosofare storico è da ora in poi necessario, e con esso la virtù della modestia.” (15)

Un fratello massone del Grande Oriente, moderatore della conferenza del 6 aprile 2019 (21), con ospite lo scrittore Gianrico Carofiglio, ha rivolto a quest'ultimo una domanda , “L'arte del dubbio può farci riflettere sulle nostre perfezioni provvisorie e magari, applicando la regola dell'equlibrio, si può addivenire alla mutevole verità?"

Se la verità è mutevole allora è facile incappare nell' errore.

Hegel è stato il maestro che ha spiegato, nella fenomenologia dello spirito, quanto verità ed errore siano correlate:

"E' una rappresentazione naturale quella secondo cui in filosofia, prima di andare alla cosa stessa, e cioè alla conoscenza effettiva di ciò che è in verità, sarebbe necessaria un'intesa preliminare sul conoscere, che viene considerato come lo strumento tramite cui ci s'impadronirebbe dell'assoluto, o come il mezzo attraverso cui si guarderebbe a esso.

Sembra giustificata, da una parte, la preoccupazione che si possano dare diverse specie di conoscenza, fra le quali l'una potrebbe essere piú idonea dell'altra a raggiungere questo scopo finale, e che tutto ciò possa comportare una scelta sbagliata tra di esse; e dall'altra la preoccupazione che, essendo il conoscere una facoltà di specie e di portata determinate, se non se ne determinano piú precisamente la natura e i limiti, si possa finire fra le nubi dell'errore anziché raggiungere il cielo della verità. " (22)

Per cercare di non sbagliare troppo, forse sarebbe opportuno un percorso conoscitivo che possa unire le arti e la scienza: una nuova filosofia pratica attraverso l'azione (come scriveva Husserl), che è forse la vera 'sfida' della nostra modernità.

Lo stesso Nietzsche, in età avanzata, nel suo 'Tentativo di autocritica', pone la questione di come amalgamare arte e scienza:

E la scienza stessa, la nostra scienza, ma sì, che cosa vuol dire in sostanza, considerandola come sintomo della vita, tutta la scienza? A che, peggio: donde tutta la scienza? […] Ciò che allora mi venne fatto di afferrare, qualcosa di formidabile e di pericoloso, era un problema cornuto, non di necessità addirittura un toro, ma sempre, a ogni modo, un problema nuovo; e oggi sto per dire che era per l’appunto il problema della scienza: della scienza intesa per la prima volta come un fatto problematico, un fatto discutibile. […] O, per dirla con le parole di quello stregone dionisiaco che si chiama Zarathustra: “In alto i cuori, o miei fratelli, in alto, sempre più in alto! E non dimenticate le gambe!

In alto anche le gambe, o bravi danzatori; o meglio ancora: testa in giù e gambe in su! Questa corona del riso, questo ‘risario’: io stesso me lo imposi; io stesso proclamai santo il mio riso. Non trovai ancora nessuno capace di far tanto. Zarathustra il danzatore, Zarathustra il leggero, che agita l’ali, pronto al volo, che fa cenno agli uccelli, pronto e agile, beato della propria levità; Zarathustra l’indovino ridente, non impaziente, non intollerante, che ama i salti e le capriole; io stesso mi imposi questa corona! Questa corona di risa, questo ‘risario’, io vi passo, o miei fratelli! Ho proclamato santo il riso; uomini superiori, imparate dunque a ridere!” (15)

Florinda Cambria in un suo seminario di arti visive coniuga in questo modo:

Non c'è contrapposizione tra scienza e arte... scienza e arte, musica e conoscenza possono esssere ricomposti ...se la scienza è l'insieme dei segni che la raccontano e l'arte è l'arte di questo racconto...” (23)

I depositari della sapienza alchemica, come qui li vogliamo intendere, sarebbero il 'coro dei satiri danzanti', che osano 'andare oltre la natura, portando con sé la natura stessa', riprendendo le parole della Pereira; che 'vivono per così dire indistruttibili dietro ogni civiltà' come scritto da Nietzsche, per ognuna delle quali, 'fin dove giunge a risalire la storia, vi siano sempre state istituzioni educative segrete',come teorizzato da Fichte.

Se l'arte è la messa in scena e la rappresentazione originaria, di come il legame naturale tra l'uomo e il mondo si viene esprimendo e manifestando, allora la performance, sia essa rituale, simbolica, alchemica , teatrale, scientifica sperimentale, avrebbe la funzione di rendere possibile la esibizione del modello esecutivo.

Insomma l'arte è l' idea platonica esecutiva.

La conoscenza del 'come fare', per un fare, che, al fondo è sempre alchemico e musicale, anche quando si tratta di promuovere la scienza razionale, che non sarebbe altro che un'altra forma d'arte, anche se la più efficiente di tutte le altre.

Il cammino umano, che procede a piccoli passi, alla ricerca della verità, che è non esisterebbe senza l'errore e che ha come protagonista ogni singolo uomo, in cui è incarnata la verità fluttuante, potrebbe essere grandiosamente poeticizzato da Nietzsche, in questo passo:

Ma se non vuoi piangere, se non vuoi sfogare nelle lacrime la tua melanconia purpurea, allora dovrai cantare, anima mia! – Vedi, anche io sorrido, io che ti predico: cantare un canto mugghiante, finché tutti i mari ammutoliscano, per ascoltare il tuo anelito, – finché, su muti mari anelanti, galleggi la navicella d’oro meravigliosa, attorno a cui saltellano guizzanti tutte le buone malvagie stravaganti cose – e anche molti animali grandi e piccoli e tutto quanto vada su piedi leggeri e stravaganti, tanto da poter camminare su sentieri di azzurro violetto, – verso la meraviglia d’oro, la libera navicella e il suo signore: questi però è il vignaiuolo, che attende col suo falcetto di diamante, – il tuo grande liberatore, anima mia, il senza nome – cui canti futuri troveranno un nome! E, in verità, il tuo respiro ha già il profumo di canti futuri." (15)

Il 'senza nome' o vignaiuolo, forse è il 'dio dietro di Dio (che) la trama inizia' della poesia di Borges, intitolata 'Scacchi'.

 

CONCLUSIONI – SPUNTO DI RICERCA PER UNA NUOVA FILOSOFIA

 

Nella ricerca di una nuova filosofia, un interessante seminario di Carlo Sini (24) può essere d'aiuto.

Se riprendiamo i concetti di tesi, antitesi e sintesi, di Hegel, ma anche di Peirce; come asserito da Sini, la sintesi, successiva alla tesi alla antitesi, 'racconta' della tesi e dell'antitesi, ed è il luogo provvisorio di rivelazione del vero e di formazione della realtà, è ricostituzione di una storia comune: rappresentativa di una verità fluttuante, di cui ogni volta diventa interprete.

Alla luce di questo ragionamento, la tradizione alchemica potrebbe rappresentare il concetto di 'sintesi' tra civiltà politeistiche pre-cristiane e quella cristiana (tesi e antitesi).

Se vi è inoltre, la necessità di una nuova filosofia, che non consideri più la sintesi come successiva a tesi e antitesi, ma che "retrofletta la sintesi allo stesso livello di tesi e antitesi", perchè la sintesi è sempre presente coscientemente, negli stadi di tesi e sintesi, in questo contesto, forse l'alchimia o la massoneria sono nella posizione concettuale migliore per dare il loro contributo.

Chissà se l'avvento di una nuova civiltà, avente come simbolo il 'Socrate musicista' coniato da Nietzsche, nella Nascita della tragedia, sia auspicabile, nel modo in cui egli lo definì: Io voglio con ciò sotto il nome di spirito scientifico intendere la fede, apparsa per la prima volta con la persona di Socrate, nell’intelligibilità della natura e nell’universale potenza sanatrice del sapere." (6)

 

Bibliografia

Le parole sottolineate nel testo non lo sono nella versione originale

 

(1) Carlo Sini - "Il foglio-mondo" - Lez. 6 - @Immagini della Filosofia

https://www.youtube.com/watch?v=y33...

(2) I misteri ebraici ovvero la più antica massoneria religiosa di Reinhold, Karl L., curato da Paolucci G.e Assmann J Quodlibet, 2011

(3) Lezioni di Massoneria J.G. Fichte https://digilander.libero.it/VNereo...

(4) Filosofia della massoneria vi. 3 – stampato in proprio -2006

(5) Saggio di Michela Pereira – Mater Alchimia, tratto da: Alchimia. I testi della tradizione occidentale - novembre 2006-2014 a cura di Michela Pereira - Mondadori

(6) La nascita della tragedia di Nietzsche Friedrich - Rusconi editore traduzione di Angelo Treves - 2014

(7) Liberi dal pregiudizio. Dibattito nel tempio con Mieli, Chirico, Cecchi – 8 aprile 2018

https://www.youtube.com/watch?v=r0UbIDEEuwc (h/m/s 1:39:18)

(8) Logiche della performance Dalla singolarità francescana alla nuova mimesi Antonio Attisani Editore : Accademia University Press Anno di pubblicazione : 2012

(9) Il teatro e il suo doppio di Antonin Artaud. A cura di Gian Renzo Morteo e Guido Neri. Prefaz. di Jacques Derrida. - 1978 – Piccola biblioteca Einaudi

(10) La danza del Peyote di Antonin Artaud – a cura di Matteo Pinna – Ortica editrice 2019

(11) https://www.youtube.com/watch?v=2CPZ2LTtjpQ Otto e mezzo – La7 tv - Massoneria, parla il Gran Maestro (Puntata 07/04/2014) (min/sec 29:29)

(12) "DRAMMA E MATERIA. SUL «MATERIALISMO ASSOLUTO» DI ANTONIN ARTAUD" scritto da Florinda Cambria

https://riviste.unimi.it/index.php/...

(13) Copertina posteriore scritta da Carlo Sini del libro di Florinda Cambria Corpi all'opera. Teatro e scrittura in Antonin Artaud - 03/2001 – Jaca Book editore

(14) Carlo Sini: I confini dell'anima: musica e cosmologia - Sessione 8 - 1 parte – associazione Mechrì https://www.youtube.com/watch?v=a0b...

(15) Seminario di filosofia I CONFINI DELL’ANIMA. MUSICA E COSMOLOGIA Considerazioni dopo l’ottavo incontro (13 giugno 2020-recupero) di Carlo Sini- associazione Mechrì

http://www.mechri.it/20192020/SEMIN...

(16) Carlo Sini - "Le tre età" - Lez. 3 - @Immagini della Filosofia - P. 3/3 https://www.youtube.com/watch?v=ixP...

(17) Marco Novarino - Progresso e Tradizione Libero Muratoria Storia del Rito Simbolico Italiano (1859-1925) ANGELO PONTECORBOLI EDITORE – FIRENZE - 2009

(18) Etica della scrittura Di Carlo Sini - Il Saggiatore 2000 pag 142

(19) Praxis ed empirismo Un manifesto di filosofia democratica di Giulio Preti – 2007 -pag 78

( 20) Friedrich Nietzsche (traduzione a cura di Monica Rimoldi), Sull'utilità e il danno della storia per la vita 

https://www.mcurie.edu.it/files/godi.oreste/image/Seconda%20Inattuale%20TESTO.pdf

(21) Carofiglio e i mille volti della verità. Incontro in Gran Loggia - https://www.youtube.com/watch?v=8DZ... (min/sec 48:29)

(22) Georg Wilhelm Friedrich Hegel - La fenomenologia dello spirito – Giulio Einaudi editore – 2008 pag 57

(23) Florinda Cambria: Corpi musici, la conoscenza che danza - Sessione 7, parte 2 - https://www.youtube.com/watch?v=IKoosLrWBjU&list=PLfVLynJV69wVfMUERrFAQmWH1jpuZppjL&index=6 (h/m/s 1:14:15)

(24) Carlo Sini. Hegel: la comprensione dell’intero https://vimeo.com/135947076

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