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L’Impero e la Repubblica della Ragione

"Orbene, io ti dirò –e tu ascolta e ricevi la mia parola – quali sono le vie di ricerca che sole si possono pensare: l'una che "è" e che "non è" possibile che non sia – è il sentiero della Persuasione, perché tien dietro alla Verità – l'altra che "non è" e che è necessario che non sia.

E io ti dico che questo è un sentiero su cui nulla si apprende.

Infatti, non potresti conoscere ciò che non è, perché non è cosa fattibile, né potresti esprimerlo.

...

Perciò è tutto intero continuo: l'essere, infatti, si stringe con l'essere.

Ma immobile, nei limiti di grandi legami è senza un principio e senza una fine, poiché nascita e morte sono state cacciate lontane e le respinse una vera certezza.

E rimanendo identico e nell'identico, in sé medesimo giace, e in questo modo rimane là saldo.

Infatti, Necessità inflessibile lo tiene nei legami del limite, che lo rinserra tutt'intorno, poiché è stabilito che l'essere non sia senza compimento: infatti non manca di nulla; se, invece, lo fosse, mancherebbe di tutto.

Lo stesso è il pensare e ciò a causa del quale è il pensiero, perché senza l'essere nel quale è espresso, non troverai il pensare.

Infatti, nient'altro o è o sarà all'infuori dell'essere, poiché la Sorte lo ha vincolato ad essere un intero e immobile."

 

(dal poema 'Sulla Natura' di Parmenide – V sec. a.C.) (1)

 

La 'ragione' concetto tipico occidentale, antico quanto la filosofia, ebbe come maestro Socrate.

Egli lanciò il 'diktat', seguito in Occidente, secondo il quale, 'Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta'.

Una ricerca, che per noi è stata ed è, ricerca della verità, della libertà, della giustizia, della eguaglianza, ma anche, (ricordando la Costituzione americana), della felicità.

L' Occidente assume nuovi principi sulla base di un riscontro logico e non soltanto perché in uso alla tradizione, o perché ereditata dagli antenati: è necessario dar ragione di quello che si pensa possa essere veritiero - Logon Didonai (dar ragione di ciò che si dice, come diceva Socrate).

Insomma dare delle spiegazioni, anche di ciò che è tradizione, in assenza delle quali, ciò che si pensa non è corretto.

Pertanto con Socrate inizia la tradizione occidentale, secondo cui è accettabile solo ciò che si 'regge' su delle definizioni, su dei concetti, i quali si presumono evere valenza universale e non perché appartengono agli usi tradizionali oppure perché è l'autorità che li impone.

Questa ricerca di principi universali sarà recepita anche dal cristianesimo, naturalmente ponendo i valori universali, come voluti da Dio.

Una frase del filosofo Husserl potrebbe riassumere questo percorso: "la filosofia rifiuta completamente la tradizione, oppure ne riprende il contenuto e lo riplasma nello spirito dell'idealità filosofica".(2)

Un' altra frase del filosofo tedesco, che riconobbe l'origine della visione occidentale nella Grecia, per cui grazie ad: "...un paio di greci stravaganti" ( Socrate e a Platone, verosimilmente), si ebbe: "l’avvio a una trasformazione dell’ esistenza umana e di tutta la sua vita culturale, dapprima all’interno della loro nazione e poi di quelle vicine." (2)

Oggigiorno buona parte dell'umanità sembra aver abbracciato i valori occidentali, sia dal punto di vista ideale, che istituzionale.

Sempre Husserl, nel 1935, si poneva una domanda interessante, a cui forse, ancora oggi non è possibile dare una risposta definitiva: cioè se questa occidentalizzazione del mondo rappresenti il giusto dispiegamento della dimensione umana della ragione e della ricerca, sull'intero pianeta oppure se è un 'banale' incidente della storia.

Ecco alcuni passi illuminanti:

"Solo così sarà possibile decidere se quel telos ( scopo finale) che è innato nell'umanità europea dalla nascita della filosofia grecae che consiste nella volontà di essere un'umanità fondata sulla ragione filosofica e sulla coscienza di non poterlo essere che così, – nel movimento infinito dalla ragione latente alla ragione rivelata e nel perseguimento infinito dell’auto-normatività attraverso questa sua verità e autenticità umana, sia una mera follia storico-fattuale, un conseguimento casuale di una umanità casuale in mezzo ad altre umanità e ad altre storicità completamente diverse, oppure se piuttosto nell’umanità greca non si sia rivelata quell’entelechia che è propria dell’ umanità come tale .

....

La filosofia, la scienza non sarebbero allora che il movimento storico della rivelazione della ragione universale, innata come tale nell’umanità.

...

Solo cosı` sarebbe possibile decidere se l’Umanita` europea rechi in sé un’idea assoluta o se non sia un mero tipo antropologico empirico come la ‘Cina’ o l’‘India’, e inoltre: se lo spettacolo dell’europeizzazione di tutte le Umanita` straniere annunci la manifestazione di un senso assoluto rientrante nel senso del mondo, o se non rappresenti invece un non-senso storico." (2)

Molto incisiva questa affermazione, che mira a fare il punto sullo stato della globalizzazione e a tentare di capirne gli sviluppi.

Ma un altro filosofo tedesco, Martin Heidegger, accusato di irrazionalità e di eccesso di romanticismo, in campo filosofico, con l'intento di spiegare le vere origini della 'ratio', con quelle argomentazioni, che i suoi critici definivano cattiva letteratura e cattiva poesia, rispose alle critiche che gli venivano mosse, mostrando che quello che comunemente veniva considerata la ragione, era solo l'effetto di cio che 'solo assicura la possibilità del razionale e dell'irrazionale'.

Di seguito i passaggi salienti della sua difesa:

"In risposta domando: che significa ratio, percepire?

Che significa fondamento e principio e persino principio di tutti i principi?

....

Finché la Ratio e il razionale, in ciò che è loro proprio, restano ancora da interrogare, anche parlare di irrazionalismo è senza fondamento.

La razionalizzazione tecnico-scientifica, che domina l'epoca attuale, si giustifica certamente sorprendendo ogni giorno attraverso la sua effettività (Effekt). che noi riusciamo a malapena a prevedere nei suoi esiti.

Ma questa effettività non dice nulla di ciò che solo assicura la possibilità del razionale e dell'irrazionale.

L'effettività prova l'esattezza del processo di razionalizzazione tecnico-scientifico.

Ma la manifestatività possibile di ciò che è, si esaurisce nel dimostrabile? L' insistenza sul dimostrabile non sbarra il cammino verso ciò che è?

Forse c'è un pensiero che è più sobrio dell 'irrefrenabile dilagare della razionalizzazione e della furia sradicatrice della cibernetica.

Probabilmente è proprio questo furore l'estremo dell' irrazionale.

Forse c'è un pensiero che esula dalla distinzione tra razionale e irrazionale, più disíncatato ancora della tecnica scientifica, più disincantato e perciò discosto senza effettività e tuttavia avente una sua propria necessità. Se ora noi poniamo la questione del compito di questo pensiero, allora resta posta in questione non soltanto e innanzitutto questo pensiero, ma anche la questione stessa che lo concerne.

Riguardo a tutta la tradizione della filosofia questo significa: tutti noi abbiamo ancora bisogno di un'educazione al pensiero e prima ancora di questo, di un sapere di ciò che nel pensiero significa educazione e non educazione.

Su questo ci dà un cenno Aristotele nel IV libro della sua Metafisica. Esso suona: «E in verità assenza di educazione non avere occhio per ciò in riferimento a cui è necessario ricercare una prova e ciò per cui non lo è».

Questo detto di Aristotele esige che lo si mediti con la massima cura.

Giacché non è ancora deciso in che modo deve essere esperito ciò che non abbisogna di alcuna prova per divenire accessibile al pensiero." (3)

Ora vorrei introdurre un'altra personalità non di ambito filosofico, ma che è il più famoso naturalista e teorico dell'evoluzione della specie: Charles Robert Darwin, che contrappose le sue teorie naturalistiche alla morale comune e alla tradizione filosofica.

Riprendendo le parole di un grande studioso di Darwin, Gian Arturo Ferrari, 'l'opera di Darwin mira al cuore di questa cultura, in origine filosofica, ma ormai largamente diffusa. Là dove si celava l'interiorità più gelosa, là dove aveva sede la nobiltà dello spirito, là dove si parlava quel linguaggio dell'espressione che più eloquente di ogni altro, Darwin insedia un ombra ferina'.

'Naturalmente', l'ombra ferina è quel concetto evoluzionistico secondo cui l'uomo non è altro che un risultato dell'evoluzione naturale, cioè di mutazioni genetiche (all'epoca 'libere variazioni'), che al pari di quanto accade in qualunque altra specie animale, avvengono di continuo, in natura, e sono riproducibili, qualora queste mutazioni, permettano un miglior adattamento all'ambiente naturale.

Per l'uomo, in particolare, il suo specifico senso di empatia per il proprio simile, non scaturirebbe da una spiritualità, ma sarebbe il risultato dell'utilità che la nostra specie ebbe alle sue origini, che era talmente necessaria, all'alba dei tempi, che è rimasta in qualche modo interiorizzata in noi, tale da renderla infine indipendente da un contesto di utilità immediata.

Queste 'libere variazioni' furono anche studiate dal gesuita P. Teilhard de Chardin che le considerava un segno della forza divina.

Un'arguta obiezione, Darwin la ricevette dal direttore della North American Review, professore ad Harvard, Francis Bowen.

Infatti il professore, reclamava la necessità di una spiegazione puntuale dell'origine della ragione/intelligenza umana, proveniente dall'istinto animale originario.

Egli scrisse sulla rivista scientifica:

"Darwin è tenuto a spiegare l‘origine della specie umana proprio come quella del più piccolo insetto.

È ciò che egli ammette quando dice che, una volta accettato il suo sistema, «la psicologia avrà un nuovo fondamento, cioè il principio della necessaria acquisizione di ogni potenza e capacità spirituale per gradazione», come quando afferma che «si farà luce sull‘origine dell‘uomo e della sua storia».

Egli perciò deve trovare il mezzo di superare, con gradazioni impercettibilmente fini, l‘immensa frattura che ora separa l‘uomo dagli animali, anche i più vicini a lui, frattura che non si manifesta soltanto nelle due forme strutturali, le quali, per quanto dissimili, si possono ancora considerare della stessa specie (kind), ma anche fra la ragione e l‘istinto, la cui differenza quasi tutti gli psicologi sono d‘accordo nel dire che consiste nel genere (kind) e non nel grado (degree).

Qui certamente, come notammo al principio, è lo studioso della scienza fisica che, invece di protestare contro l‘intrusione di altri, si introduce a sua volta in un campo psicologico e metafisico, e cerca di spezzare quella divisione delle scienze che era stata stabilita in precedenza." (4)

Darwin poté affrontare la sfida posta da Bowen, che verteva appunto, su come si possa passare dall'istinto alla ragione, grazie all'aiuto di un intellettuale americano, della cerchia di W. James e C.S. Peirce, di nome Chauncey Wright, il quale scriveva a sua volta sulla North American Review.

Infatti Wright, filosofo che abbracciò la dottrina utilitarista di J. Stuart Mill, in un suo articolo, ascrisse la teoria evoluzionistica di Darwin, ad una branca dell'utilitarismo, in quanto le libere variazioni che si generavano in una specie animale, se accrescevano la capacità dell'animale ad adattarsi al suo ambiente (e quindi utili), erano riproducibili nella prole e quindi avere successo e affermarsi nel tempo.

Lo stesso principio valeva anche per l'origine dell'uomo, e specificamente egli analizzò l'origine dell'autocoscienza umana.

Wright dedusse: "istinto e intelligenza non sono che termini capaci di indicare solo i momenti estremi di due serie infinitamente convergenti" (5)

Gli studi di Darwin e Wright, perfezionati successivamente da G.H. Mead, tendevano ad evidenziare che per l'uomo, il fattore principale di evoluzione, era il linguaggio vocale.

In una lettera di Darwin a Wright, circa l'origine dell'autocoscienza egli scrisse:

"Sono incline a pensare a una selezione inconscia, applicata alle grandi variazioni del linguaggio, sino ai gradi superiori e cioè intelligenti e coscienti, della comunicazione."(6)

Il linguaggio umano non sarebbe altro in origine, che i suoni usati dai primati e dagli ominidi, tipiche delle specie animali, ma che subirono una variazione, dovuta alla forma del cranio, che permetteva un nuovo uso (il linguaggio) di vecchie facoltà (la facoltà di emettere suoni semplici).

"Wright ragionava in questo modo: dove non c'è nulla non possono sorgere nuove facoltà.

Dove c'è qualcosa non è necessario che il qualcosa presenti tutte le caratteristiche di ciò che poi sorgerà. Non si passa con un salto da facoltà vecchie a facoltà nuove, ma semplicemente si passa a un nuovo uso di facoltà vecchie.

Vecchie funzioni, che avevano un certo uso, magari marginale per il significato complessivo del fenomeno, assumono in seguito un nuovo uso che può farsi prevalente e innescare funzioni totalmente nuove e diverse."(6)

La capacità di una dimostrazione sperimentale di questi concetti è comunque ardua, ma in questo modo si apre la strada ad una origine evolutiva dell'uomo sia sotto l'aspetto fisico-biologico, sia dal punto di vista mentale.

Scrisse Wright:

"Quando un pensiero, o un'espressione esteriore, agisce nella mente di un animale o in quella di un uomo, in qualità di segno, porta avanti i movimenti di un treno e allontana l'attenzione da se stessa a ciò che significa o suggerisce; e la coscienza è concentrata su quest'ultima.

Ma essendo di per sé sufficientemente vivido da attirare un'attenzione distinta, determina un nuovo tipo di azione e una nuova facoltà di osservazione, di cui gli emisferi cerebrali sembrano essere gli organi.

Dall'azione di questi, nei loro poteri più essenziali nella memoria e nell'immaginazione, derivano anche gli oggetti o materiali di riflessione.

La riflessione sarebbe quindi, non ciò che la maggior parte dei metafisici sembra considerarla: una facoltà dell'uomo fondamentalmente nuova, elementare e primordiale come la memoria stessa, o il potere dell'attenzione astrattiva, o la funzione dei segni e delle immagini rappresentative nella generalizzazione; ma sarebbe determinato nei suoi contrasti con altre facoltà mentali dalla natura del suo oggetto." (7)

E' comunque dura, seguendo questa via, poter spiegare le 'selezioni inconsce' operate dall'uomo, tali che queste generino le culture e le civiltà.

Oggigiorno, con le scoperte dell'etologia e della biologia, rimane sempre difficile raggiungere una sperimentabilità di queste teorie, che però hanno non solo una loro ragionevolezza ma anche dei riscontri interessanti.

Gian Arturo Ferrari scrisse di Darwin che egli fu sul versante morfologico, la premessa obbligata perché si potesse instaurare il meccanismo selettivo. Sul versante non morfologico (mentale) Darwin non ritrovò alcun meccanismo, nessuna legge, anche se bastò quel primo passo a far avanzare in primo piano quell'altro campo della mente che è l'inconscio.

Considerando sempre questo concetto di 'selezione inconscia', ci si potrebbe chiedere quale specifica selezione, fu recepita dai greci, tale che essi furono spinti ad acquisire le categorie del 'logos' che noi ritroviamo nel Poema di Parmenide, il quale aprì la strada alla logica occidentale.

E' infatti questo poema, che avvia quel percorso 'della ragione'.

Eppure questa selezione culturale (inconscia) non può essere dimostrata scientificamente e sperimentalmente (almeno fino ad oggi).

Lo stesso Darwin scrisse: "Le superiori facoltà intellettuali dell'uomo, quali quelle di raziocinio, astrazione, autocoscienza, ecc., probabilmente derivano dal continuo esercizio e dal miglioramento delle altre facoltà mentali.

Lo sviluppo delle qualità morali è un problema più interessante."(5)

Nell'uomo tutto si complica, e si rende necessaria una genealogia della cultura.

L'Occidente ha tracciato un solco profondo, ha voluto dettare dei principi universali, ricercandoli ed elaborandoli e li ha affermati con forza anche oltre i propri confini.

Nel bicentenario dalla scomparse di Napoleone, vale la pena ricordare qualche passaggio delle sue memorie, scritte sull'isola di Sant'Elena, che con molta forza riassumono la grinta di un uomo occidentale:

"E poi, per quali fatti mi si potrebbe accusare, senza che uno storico potesse difendermi? Forse per le mie intenzioni? Ma non mancano ragioni per assolvermi. Forse per il mio dispotismo? Ma si potrà sempre dimostrare che la dittatura era assolutamente necessaria. Si dirà che ridussi la libertà? Ma uno storico potrà dimostrare che la licenza, l'anarchia, i grandi disordini erano ancora alle porte. Sarò accusato di aver troppo amato la guerra? Ma lo storico spiegherà ch'essa fu soltanto opera fortuita delle circostanze, e che furono i nostri nemici che ad essa condussero gradatamente. Mi si rimprovererà, infine, la mia ambizione? Ah, certo, lo storico me ne troverà molta; ma della più grande e della più alta che, forse, sia mai esistita: quella di stabilire, di consacrare finalmente l'impero della ragione, ed il completo esercizio, l'intero godimento delle facoltà umane." (8)

Il suo 'impero' della ragione, di cui tutti noi ancora beneficiamo, potrà ancora essere perseguito se i benefici di questa ragione saranno condivisi con le altre civiltà, sparse sulla Terra, ma forse con un atteggiamento di rispetto e di fratellanza reciproca e ascoltando le 'ragioni' dell'altro e del diverso.

Infine potremmo auspicare una Repubblica della ragione, perché è necessario un atteggiamento inclusivo di tutti gli strati della società e di dialogo permanente.

L'educazione e la formazione sono strumenti operativi necessari ed ogni punto di vista merita rispetto.

In conclusione ricorderei una frase, attribuita al filosofo inglese A.N. Whitehead "La ragione è oscillantevaga, oscura, ma c'è ".

 

 

(1) (Parmenide, Poema sulla natura, a cura di G. Reale e L. Ruggiu, Rusconi, Milano, 1991,)(2) La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale di Edmund Husserl - il Saggiatore 2015 traduzione di Enrico Filippini

(3) Tempo ed essere Di Martin Heidegger Guida editore 1998 – traduzione Eugenio Mazzarella

(4) IL DARWINISMO IN AMERICA https://air.unimi.it/retrieve/handle/2434/151788/132230/phd_unimi_R07550_2.pdf

(5) LA GENESI DELL'AUTOCOSCIENZA. DA DARWIN A MERLEAU-PONTY

Diego D’Angelo Nóema – Numero 3, anno 2012 – Ricerche

http://riviste.unimi.it/index.php/noema

(6) E avvertirono il cielo. La nascita della cultura di Carlo Sini e Telmo Pievani Jaca Book 2020, citazione presente anche nel riferimento (6) di seguito, cap 'Il gesto e la voce': https://www.unica.it/static/resources/cms/documents/SINIGliabitilepraticheisaperipp.1120.pdf

(7) Evolution of Self-Consciousness By Chauncey Wright (1873)First published in North American Review. Reprinted in Norton, C.E. (Ed.). (1877). Philosophical discussions

by Chauncey Wright (pp. 199-266). New York: Lennox Hill.(traduzione mia)

(8) Ritratto politico di Napoleone dettato da lui Longwood (Sant'Elena) 1° Maggio 1816.

 

 

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