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 Home page > Tribuna Libera > "No taxation without rapresentation" e la questione della rappresentanza (...)

"No taxation without rapresentation" e la questione della rappresentanza ’virtuale’

L'iniziativa legislativa parlamentare è ridotta spesso ad una funzione di conversione degli atti del governo.

Peraltro la formula dei decreti legge governativi cosiddetta 'salvo intese' prevede che il Consiglio dei Ministri voti per l'approvazione di un decreto che non è ancora stato redatto, ma di cui si occuperà il Ministro, competente per la materia, oggetto del decreto.
Pertanto verrebbe a mancare la collegialità, nella fase istruttoria della norma decretata.
Le origini delle istituzioni rappresentative sono intimamente connesse con l'aspetto tributario.

Nè è un esempio l'art. 12 della Magna Charta inglese del 1215 secondo cui: nessuna tassa poteva essere imposta senza il consenso del “Consiglio generale del Regno" (il Parlamento).
Anche la nascita delle dittature è spesso legata ai provvedimenti fiscali: il primo provvedimento del governo Mussulini, datato 17 novembre 1922, all'indomani del discorso del 'bivacco', era un un disegno di legge concernente la 'delegazione di pieni poteri al Governo del Re per il riordinamento del sistema tributario e della pubblica amministrazione'.

Il governo Mussolini, che ottenne i pieni poteri, si originò in uno scenario economico critico da dopoguerra e dopo il disastro pandemico della spagnola.
Scenari lontani da quelli in cui noi viviamo.

Oggigiorno, la legge annuale di bilancio è spesso un decreto legge convertito dal Parlamento, esautorando così quest'ultimo delle sue prerogative dibattimentali e legislative.
La conversione del decreto legge è spesso accompagnata dalla questione di fiducia, che è un istituto non previsto in Costituzione, ma disciplinato dai regolamenti interni della Camera e del Senato nonché dalla legge n. 400/1988.

Spesso quando vi sono dei maxi emendamenti al decreto, si accompagna, la richiesta di approvazione del decreto, alla questione di fiducia, in modo che una eventuale mancata approvazione del decreto, così come redatto dal Governo, avrebbe come conseguenza la potenziale caduta del Governo.

L'uso eccessivo della decretazione d'urgenza, in mancanza di urgenza, contrasterebbe con il principio della riserva di legge,in materia tributaria, garantito dalla nostra Costituzione.
Forse proprio perchè il Parlamento conta sempre meno, che si è indetto il referendum per il taglio dei Parlamentari.

Per ciò che riguarda la stesura del decreto governativo, spesso non è chiaro chi materialmente scrive il decreto. In teoria dovrebbe essere l'ufficio legislativo di un Ministero o della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma forse non è sempre così.
Il Prof. Gianni Marongiu dell'Università di Genova, già sottosegretario governativo, in una conferenza, rivolgendosi all'intervistatrice, ha sottolineato: "Non penserà mica che il decreto legge sia oggetto del pensiero del governo riunito, il decreto legge è frutto semmai di una vaga idea che il Ministro può avere in governi diciamo un pò come questo e che poi si affida alla burocrazia e che la burocrazia stende quello che in buona sostanza le serve." (1)

Per di più, con l'emergenza sanitaria abbiamo assistito al proliferare dei DPCM, cioè la decretazione da parte di un Organo monocratico, quale il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Se la rivoluzione americana scaturì dal problema della tassazione imposta dalla Madre Patria inglese, a causa dell'introduzione di nuove imposte gravanti sulle colonie americane, a cui i coloni americani risposero con proteste e boicottaggi di merci inglesi, evidentemente le teorie allora in auge sulla 'rappresentanza virtuale' dei coloni nel Parlamento inglese, teorizzate anche Edmund Burke, secondo cui la rappresentanza era svincolata dal principio elettivo, non ebbero un vero successo.

Per Burke, infatti, non era necessario che ogni territorio fosse rappresentato direttamente in Parlamento.

Pertanto con questa sua teoria, Burke sosteneva che non era fondamentale per le colonie, essere rappresentate direttamente in Parlamento, ma che l'importante fosse che i loro interessi venissero rappresentati.

L'idea di 'nazione' e di appartenenza nazionale era, secondo il politico inglese, sufficiente affinché anche chi non avesse il diritto di votare i propri rappresentanti in Parlamento, potesse considerarsi appagato, nonostante la mancanza dell'esercizio di questo diritto/dovere.
ll problema era che gli interessi delle colonie americane non erano rappresentati, così Burke si rese conto che il sistema rappresentativo virtuale era insufficiente.
Alla fine egli riconoscerà i diritti delle colonie, ma non la loro richiesta di indipendenza.
Anche oggi la rete internet ci pone delle questioni sul luogo consono alla formazione del pensiero e al dibattito dei cittadini e al loro rapporto con i loro rappresentanti nelle Istituzioni.
A questo proposito vorrei citare alcuni studiosi della materia.
Il Professor Franco Gallo in 'Democrazia 2.0. La Costituzione, i cittadini e le nuove forme di partecipazione, in Gnosis, n. 2/2014', ha scritto:

"la Rete non sempre favorisce la discussione pubblica e la mediazione che dovrebbero svolgersi nella società civile o in Parlamento. Infatti, la creazione sul web di gruppi in base a legami di affinità tra “amici” e di ostilità contro “comuni nemici” avviene fuori dal tradizionale circuito politico, riduce la possibilità di incontro tra opposti schieramenti e quindi allarga, non sana, la frattura tra le comunità. Viene così favorita la tendenza a “schierarsi” sulla base di slogan piuttosto che a instaurare un dialogo ponderato. Né può dirsi che, ai fini elettorali, Internet costituisca necessariamente uno strumento di partecipazione più efficace di quelli tradizionali, pur essi carenti”;e: 

da sola la democrazia elettronica per sua natura non favorisce, anzi tende ad ostacolare, quei processi deliberativi ponderati e quella efficace interazione tra le parti politiche che sono l’essenza e, insieme, la ragione di ogni moderna democrazia parlamentare. "

Il problema odierno è legato al modo in cui la rete influisce sulle opinioni dei cybernauiti e se queste opinioni sono influenzate da vari fattori come le intenzioni dei gestori delle piattaforme web o la quantità di fake news circolanti nel web.
A questo proposito vorrei citare la professoressa Alessandra Valastro:

Il crescente utilizzo del web in mancanza di regole e garanzie adeguate in ordine ai contenuti e alle dinamiche di interlocuzione fra cittadini e soggetti pubblici, e cioè di una visione di policy alta circa il ruolo delle ICT rispetto ai diritti, ha fatto sì che le forme di partecipazione dialogica e inclusiva prefigurate dall’ambizioso concetto di e-democracy divenissero altro: nella migliore delle ipotesi, forme di consultazione che si riducono ad instaurare canali unilaterali e paralleli fra i singoli e il decisore, ossia forme di mero recapito di una sommatoria di punti di vista non comunicanti fra di loro anziché istanze risultanti da preventive discussioni; nella peggiore delle ipotesi, forme di manipolazione e strumentalizzazione del consenso. Gli esempi non mancano”. (2) 
Gli spazi virtuali possono rivelarsi una 'trappola' anziché strumenti di maggior democrazia:

"Le aule della rappresentanza si sono progressivamente indebolite nel loro ruolo di sede delle discussioni e delle deliberazioni. Prima a vantaggio delle sedi informali di concentrazione delle forze politiche, poi degli schermi televisivi, oggi del web, sono stati gli stessi partiti ad assecondare tale svuotamento, spostando anche formalmente fuori dalle assemblee i luoghi della composizione dei conflitti e determinando la tendenza a che il ruolo di “portavoce” del corpo elettorale fosse assegnato direttamente agli esecutivi ed agli organi monocratici”. (3)
Insomma il mondo virtuale di internet è problematico e la virtualità del consenso, intesa come appartenenza ideale alla nazione (ma priva di diritto al voto), come dapprincipio pensava E. Burke, oppure come semplice 'like' da apporre sullo slogan del leader politico di oggi, mina il concetto di corretta rappresentanza ed il funzionamento del massimo Organo rappresentativo del popolo a cui è demandata la funzione di legiferare, grazie alla formazione di una maggioranza e di una minoranza, entrambi necessari alla dialettica democratica.

 

(1) https://www.youtube.com/watch?v=5uAF77X1FYs&t=2551s (min 43:25)

(2) A. Valastro, Internet e strumenti partecipativi nel rapporto fra privati e amministrazioni, in M. Nistricò, P. Passaglia, Internet e Costituzione, Torino, 2014.

(3) Paola Marsocci, Cittadinanza digitale e potenziamento della partecipazione politica attraverso il Web: un mito così recente già da sfatare?, in La rete Internet come spazio di partecipazione giuridica Editoriale Scientifica, 2015  

Foto di Rosemary Ketchum da Pexels

Commenti all'articolo

  • Di Persio Flacco (---.---.---.136) 28 settembre 2020 00:26

    Articolo interessante, ma il deficit di democrazia derivante dallo svuotamento del potere legislativo del Parlamento da parte del Governo ha cause più semplici e immediate.

    Mi riferisco in primo luogo alla distorta applicazione dell’art.94 cost. a causa della quale la permanenza in carica del Governo viene fatta dipendere direttamente dalla permanenza della maggioranza parlamentare che gli ha assegnato la fiducia.

    Non è questo che stabilisce l’articolo citato, per il quale il Parlamento assegna la fiducia o la revoca, non la tiene appesa ad una maggioranza.

    Una volta ricevuta la fiducia il Governo resta in carica del tutto legittimamente a prescindere dalla sorte della maggioranza che l’ha votata. Questo è evidente già dalla corretta interpretazione dell’articolo, lo diventa ancora di più se si tiene conto del principio della separazione dei poteri, in base al quale Legislativo ed Esecutivo sono poteri indipendenti l’uno dall’altro.
    La distorta applicazione dell’art.94 non solo implica una incostituzionale avocazione della funzione legislativa da parte del Governo che svuota il Parlamento della sua funzione e dal suo prestigio, implica anche una grave instabilità istituzionale, dal momento che l’uso di far dipendere la tenuta del Governo dalla tenuta della maggioranza parlamentare comporta una enorme capacità di ricatto da parte anche del più piccolo componente di tale maggioranza.

    E’ a causa di questa distorsione che la durata media dei governi in Italia in 72 anni di Repubblica è stata di 14 mesi (!), di certo non per colpa dei Costituenti, che invece hanno disegnato una architettura molto stabile.

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