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Gli Usa annunciano cessate il fuoco Israele-Iran

Volendo prendere per buone le parole del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Israele e Iran avrebbero raggiunto l'altro ieri sera un cessate il fuoco. 

Alessandro De Pascale - Atlante delle guerre

Sempre a suo dire, dovrebbe essere entrato in vigore quando in Italia erano le 6 di stamattina. Per l’inquilino della Casa Bianca, se reggerà, terminerà quella che ha definito “la guerra dei 12 giorni”, iniziata nella notte di giovedì 12 giugno con bombardamenti israeliani su larga scala alle strutture nucleari iraniane e l’assassinio di comandanti militari e tecnici del programma atomico della Repubblica Islamica. Al momento di scrivere, l’Iran aveva confermato, ma nessuna dichiarazione ufficiale era ancora arrivata da Israele. Si vedrà quindi nelle prossime ore se è soltanto l’ennesimo annuncio del presidente Usa o davvero questo nuovo fronte di guerra in Medio Oriente si chiuderà.

La giornata di ieri è stata particolarmente cruenta sul campo e si è conclusa con 14 missili lanciati in serata dall’Iran contro la base statunitense di Al Udeid. Situata a 45 chilometri a sud est di Doha, in Qatar, è la più grande struttura militare statunitense in Medio Oriente, sede dell’Us Central Command (Centcom), in grado di ospitare oltre 10mila soldati e un centinaio di velivoli. Teheran ha avvisato dell’imminente azione il Qatar e di conseguenza anche gli stessi Stati Uniti. Il portavoce del ministero degli Esteri qatariota, Majed Al Ansari, ha dichiarato che “le difese aeree hanno sventato l’attacco e intercettato con successo i missili iraniani”. La base “era stata evacuata in precedenza in conformità con le misure di sicurezza e precauzionali approvate” e non ci sono né morti, né feriti.

L’attacco iraniano è avvenuto meno di 48 ore dopo il bombardamento statunitense dei siti nucleari iraniani, anche questo preventivamente annunciato a Teheran da parte degli Stati Uniti. Sempre nella giornata di ieri, Israele ha bombardato le regioni occidentali, orientali e centrali dell’Iran (Kurdistan compreso), prendendo nuovamente di mira anche il sito nucleare sotterraneo di Fordow, situato a sud di Teheran (nella provincia di Qom). Lo Stato ebraico ha dichiarato di aver condotto sulla capitale iraniana il più intenso bombardamento mai effettuato finora. Oltre un centinaio gli obiettivi, tra cui un quartier generale dei Guardiani della Rivoluzione e il tristemente noto carcere di Evin, dove nella sezione quattro sono reclusi i prigionieri politici.

Le poche immagini filtrate mostravano Teheran avvolta da colonne di fumo. Come sempre, nessuna informazione ufficiale è trapelata sulle possibili vittime civili, che in questi 12 giorni si stima possano essere almeno 500, cui si aggiungerebbe qualche migliaio di feriti. In Israele fin dall’alba, da Gerusalemme a Tel Aviv, ieri sono risuonate per tutto il giorno le sirene di allarme per i missili balistici lanciati dall’Iran, con persino i parlamentari della Knesset costretti a interrompere le riunioni per raggiungere le aree sicure dopo gli avvisi del Comando del Fronte Interno. Prese di mira anche infrastrutture energetiche, provocando diversi blackout elettrici, poiché anche stavolta le difese aeree israeliane non sono riuscite a intercettare tutti i missili in arrivo. Diverse vittime civili in un condominio nella città di Beer Sheva.

Sul fronte interno politico iraniano, la Repubblica islamica ha annunciato l’intenzione di voler uscire dal Trattato di non proliferazione nucleare (TNP). Tale accordo impegna attualmente legalmente l’Iran di fronte alla comunità internazionale a non sviluppare armi atomiche, consentendo le ispezioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). Israele ha attaccato obiettivi iraniani dichiarando di voler distruggere il programma nucleare di Teheran, temendo un possibile uso di armi atomiche. Le centrali nucleari richiedono un arricchimento dell’uranio attorno al 3-5%, mentre per le bombe bisogna arrivare anche al 90%. Secondo le informazioni disponibili l’Iran potrebbe essere arrivata a circa il 60%.

Il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) è entrato in vigore nel 1970. Tale accordo internazionale mira a prevenire la diffusione delle armi nucleari, promuovere il disarmo e favorire l’uso pacifico dell’energia atomica. Israele, al contrario dell’Iran, non vi aderisce, mantenendo così segreto e lontano da occhi esterni il proprio programma nucleare. Lo Stato ebraico non dichiara né nega di possedere armi nucleari, ma organizzazioni specializzate come la Federation of American Scientists e l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI) stimano che possieda circa 90 testate nucleari.

Lunedì il parlamento iraniano ha inoltre approvato una mozione per chiedere al Consiglio per la sicurezza nazionale di chiudere lo stretto di Hormuz. Questo passaggio marittimo, largo appena una cinquantina di chilometri, unisce il Golfo Persico e il Golfo dell’Oman proiettandoli nell’Oceano Indiano, Vitale per le rotte del commercio internazionale, interessando le coste di Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Bahrain, Qatar e Oman, vi transitano circa il 20% del gas e il 30-40% del petrolio mondiale. Anche l’import e l’export iraniano passano per lo Stretto, motivo per cui molti analisti ritengono controproducente per la stessa Repubblica Islamica il tentativo di bloccarlo. Anche perché così facendo pesterebbe i piedi anche alla Cina. La sola possibilità della chiusura dello Stretto hanno già portato a un aumento del prezzo del petrolio e all’ipotesi di un intervento Nato a protezione del commercio marittimo nell’area.

Alessandro De Pascale

Questo articolo è stato pubblicato qui

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