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Magistrato, tu quoque. Ingroia e la fedeltà alla Costituzione

Chi lavora sui casi di mafia è oggettivamente scomodo alla politica, soprattutto a questa politica, e deve essere relegato all’esercizio esclusivo della propria funzione: deve assolvere i propri doveri ignorando le quotidiane minacce di sottrazione degli strumenti già scarsi di cui dispone, non prendere parte alla vita pubblica, e a capo chino dirigersi a casa scortato dall’Arma. Magari, pagandosi la benzina. Ingroia è scomodo, deve essere delegittimato. Per il PdL presta il fianco. Per me, sta chiedendo aiuto.

"Un magistrato deve essere imparziale quando esercita le sue funzioni, e non sempre certa magistratura che frequenta troppo certi salotti e certe stanze del potere lo è. Ma io confesso non mi sento del tutto imparziale, anzi, mi sento partigiano. (...) E fra chi difende la Costituzione e chi quotidianamente cerca di violarla, violentarla, stravolgere, so da che parte stare".

Indecente.

Come si permette un magistrato, più volte dichiarato antropologicamente diverso dalle moltitudini che vivono questo Paese, di asserire con tale determinatezza la propria fedeltà alla Costituzione?

Ma come, non vuole stracciarla come noi tutti?

Inquietante.

Ci sembra evidente dalle parole di Ingroia, correggetemi se sbaglio, il tentativo di sovvertire l’attuale ordinamento statale. Dalle sue parole si sottintende un chiaro incipit alla rivoluzione comunista, con tanto di mangia bambini ad ogni angolo di strada e primato del lavoro sul capitale.

Gravissimo.

Ma come si permette? Crede davvero di poter essere magistrato e lavoratore solo per una manciata di ore al giorno? Guardi, caro Ingroia, che per noi del PdL lei non può che essere un magistrato anche quando dorme. Anche quando va dal barbiere. E in tal caso, ove mai frequentasse saloni da uomo per accorciare le proprie protuberanze pilifere, le sconsigliamo di presentarsi con calzini turchesi, classico segno di “magistrato allo sbarbamento”.

Per fortuna, noi del PdL non stiamo a guardare, il prode Cicchitto subito lo arringa: "Sono gravi e inquietanti le parole di Ingroia che confermano l'animo militante di alcuni settori della magistratura”.

Ok, torno in me.

Prima cosa, i magistrati sulla Costituzione ci giurano. Avesse dichiarato cose diverse, o come tanto auspicate dalla maggioranza, “opposte”, oggi Ingroia avrebbe seri problemi con il proprio Ordine Professionale.

Seconda cosa: com’è che un politico può avere una vita privata, andare a puttane, togliersi il tricolore dopo aver omaggiato le vittime dei fascisti ed andare ad "onorare" quelle di Salò nello stesso giorno, e un magistrato, invece, deve esserlo 24 ore al giorno?

Non è che si nasca magistrati, sapete? Anche loro sono cittadini, possono (e oserei dire devono) esserlo. Ed è giusto che, fuori dall'orario di lavoro, si rechino ad un congresso di partito come farebbe un normale cittadino senza sdegno alcuno del vicinato. Non c’è santi.

Terza cosa: sarebbe troppo comodo relegare una parte della cittadinanza attiva al silenzio. Chi lavora sui casi di mafia è oggettivamente scomodo alla politica, soprattutto a questa politica, e deve essere relegato all’esercizio esclusivo della propria funzione: deve assolvere i propri doveri ignorando le quotidiane minacce di sottrazione degli strumenti già scarsi di cui dispone, non prendere parte alla vita pubblica, e a capo chino dirigersi a casa scortato dall’Arma. Magari, pagandosi la benzina. Ingroia è scomodo, deve essere delegittimato. Per il PdL presta il fianco. Per me, sta chiedendo aiuto.

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