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Di radici, Italie e 194

L’estirpazione delle radici, la criminalizzazione della nostra storia sono il male che ha scaturito metastasi in ogni ambito di questo Paese. Senza passato non c’è politica per il futuro. 

Sono passati 35 anni da quando mio padre ha lottato per quel diritto e, oggi, io mi ritrovo a dover impuntare i piedi e riprendere le fila della sua lotta, perché nel 2013 il silenzio che circonda questo tema inquieta e s’accontenta di una legge scritta e non applicata.

“Come vedi l’Italia di oggi?” Quando mi pongono questa domanda la prima reazione che ho è una risata. Quella tipica amarissima risata di chi vorrebbe dire tanto, tantissimo, e sceglie invece di soprassedere e lasciare a quel non detto tutto il mare delle cose da dire.

In questo scatto d’Italia moderna vedo molte cose, non tutte negative, certo, ma tante preoccupanti e serie. Vedo innanzitutto tante radici estirpate, viviamo di solo presente. Più che un male italiano, sia chiaro, questo è un peccato globale; ma nel nostro bel paese il tutto assume connotati grotteschi e inquietanti se associati a livelli di astensionismo mai raggiunti prima e disoccupazione record.

Crediamo che la nostra storia si esaurisca nell’interrogazione scampata o nell’imparare quattro date a memoria. Dimenticando le lotte per i diritti, per la parificazione dinanzi alla legge, per la laicità e sicurezza del lavoro. L’estirpazione delle radici, vedete, è un male grave. Con le radici scompare anche un sistema fatto di sogni e di ideali, di ragioni per cui effettivamente valga la pena impegnarsi, lottare e investire soldi e tempo - di tutti, il bene più prezioso.

La legge 194 del 1978, esempio tra gli esempi, sancisce il diritto della donna di scegliere. Un diritto sacrosanto che lo Stato italiano riconosce e che viene tradito ogni sacrosanto giorno da orde di obiettori di coscienza che inficiano l’efficacia della legge. Alcuni credono davvero sia un peccato, altri semplicemente rivendicano il proprio diritto agli avanzamenti di carriera e, quindi, per non ritrovarsi ad essere macchine da aborto, si dichiarano obiettori.

Sostanzialmente, l’interruzione di gravidanza non è più un diritto, ma un privilegio di quante riescono o possono spostarsi di provincia in provincia, di ospedale in ospedale, per cercare un medico che non sia obiettore e consenta loro di interrompere la gravidanza secondo legge.

Sono passati 35 anni da quando mio padre ha lottato per quel diritto e, oggi, io mi ritrovo a dover impuntare i piedi e riprendere le fila della sua lotta, perché nel 2013 il silenzio che circonda questo tema inquieta e s’accontenta di una legge scritta e non applicata.

L’estirpazione delle radici, la criminalizzazione della nostra storia sono il male che ha scaturito metastasi in ogni ambito di questo Paese. Senza passato non c’è politica per il futuro. Dicono che il PD, di cui sono attivista e militante, sia un partito di sinistra. Dicono.

Il partito non so dove stia andando, ma io sono di sinistra e voglio che le radici di questo PD non si dimentichino. Si prenda, quindi, una maledetta posizione, l’unica possibile: netta, decisa, chiara; si dicesse una volta e per tutte che la 194 è una delle battaglie che l’area democratica di questo Paese ha voluto e sostenuto per decenni.

E che, oggi, non ci si può permettere di fare neanche un passo indietro.
 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.12) 29 giugno 2013 10:10

    Perchè ’mio padre ha lottato’ e non ’mia madre’?
    La legislazione sull’aborto (se ci deve essere, non abbiamo delle leggi sull’appendicite, mi pare) deve essere fatta dalle donne. Solo dalle donne. E se un medico è talmente ignorante da essere antiabortista, può andare a fare un altro mestiere.

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