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Di Monti, ideologie e realtà da governare

Credo che sia giunta l'ora di far riposare i comunisti in pace e di smetterla, per amor di dignità prima che di ogni altra cosa, di considerare la loro presenza nella vita politica del Paese come il male assoluto. 

Col loro sangue è stata scritta la Costituzione, patto sociale e premessa alla parola Italia.

Voi, "giganti" dell'oggi: è giunta l'ora di guardare la politica di oggi negli occhi senza più lo spettro delle lenti di ieri.

Per sedici lunghi anni abbiamo vissuto l’incubo dei comunisti.

Un incubo. Erano ovunque: nella magistratura, nella stampa, nella scuola (intesa come dirigenti scolastici, personale ATA, professori e chiaramente ragazzini), al supermercato, nei bar. Comunisti in ogni dove. Accanitissimi, peraltro, contro il “bene supremo” tanto sbandierato, indifesa vittima di tanto male.
 
Abbiamo sventrato la faccenda, l’abbiamo afferrata per le budella e osservata per bene già all’alba dell’ancien régime. Abbiamo capito che nelle dinamiche del linguaggio di massa rientra la semplificazione e riduzione a stereotipi della realtà, in modo da renderla accessibile a tutti. Consentire, come diceva Umberto Eco, di sentirsi un po’ tutti migliori di quello che li circonda, trasmettendo messaggi banali che colpiscono l’epicentro, il nocciolo puramente sentimentale ed emotivo del vivere sociale: bene, male, bello, brutto, divertimento, tristezza, furbi e coglioni. Piccole pillole quotidiane di consolazione.
 
La politica è stata quindi violentata, ridotta in categorie for dummies, in cui, per carità: non si dica che non siamo tutti liberi da qualsivoglia ideologia! Anzi, di più: che peste ci colga anche solo per aver pronunciato questa parola!
 
Questa lenta amputazione della filosofia dalla politica, ridotta ad esclusiva pratica, considerata quanto più di valore tanto più è sradicata, nuova, senza passato, speravo con franchezza restasse uno spettro di anni ormai alle spalle.
 
Invece, vengo sorpresa - in negativo, purtroppo - dallo stato delle cose.
Va bene: è cambiata l’idea di partito, la sua stessa definizione, perché sono cambiati e cambiano gli interessi delle parti che questi organismi dovrebbero rappresentare e tutelare, essendosi modificati la società e i tempi. È nel corso delle cose, nello concetto stesso di progresso; nell'ontologia, se vogliamo, della politica. Come potrebbe, del resto, ignorare le evoluzioni del Paese dovendone essere teoricamente la guida?
 
Governare la realtà non vuol dire perdere di vista l'utopia, la stella polare che indica la rotta da seguire.
La de-ideologizzazione della politica, “grande” traguardo dello scorso millennio, ci ha lasciati orfani ancor prima di metterci al mondo. Per le strade, tra i ragazzi, parlando di Italia il paragone più diretto e immediato che viene usato è quello di un treno allo sbando, su binari imposti dall’Europa, la cui destinazione non è affatto chiara, quanto meno condivisa, men che meno comunicata.
 
Dove stiamo andando e perché?
 
Quando Monti ha recentemente tirato in ballo i comunisti, ricalcando orme già pestate da tristi precursori così biechi da trovarsi perfettamente a proprio agio nel fango in cui l’etica politica si è ridotta in questo ventennio recente, mi ha fatto ancora più fermamente convincere che bisogna smetterla di disturbare i comunisti. 
 
Perché, vedete, almeno quelli, quando s’è trattato di scegliere da che parte stare, hanno scelto quella della libertà, impugnando i fucili, alzando la testa e partendo per le montagne. Il loro sangue ha scritto la nostra Costituzione che oggi è fatta di gambe e braccia laboriose, che ogni giorno cercano, magari nel proprio piccolo, di lenire il dolore di questo triste e sconfortante pasticcio di Repubblica.
 
Perché seppur distanti da me (più o meno, non è importante), quelle posizioni sono ed erano fatte di ragionamento, filosofia e destinazione. Utopia, concreta perché declinata ogni giorno in fatti; in sostanza e realtà; discussioni e confutazioni.
 
“Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare, io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare”, cantava Fossati.
 
Questo è il tempo che loro avevano sognato. E adesso che il testimone è passato e noi ragazzi siamo arrivati al tempo “che bisognava sognare”, non abbiamo più gli strumenti per farlo. Aggiungeremo Monti alla lista di quelli da ringraziare di cotanto dono.

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