Dead Quran Walking
Salwan Momika, l’attivista ateo ex cristiano iracheno noto per aver bruciato il Corano scatenando le ire degli integralisti islamici di tutto il mondo, è stato ucciso in Svezia. La sua morte solleva discussioni sull’estremismo religioso (e anti-religioso), sulla libertà di espressione e sulla censura contro la “blasfemia” nei Paesi secolarizzati. Affronta il tema Valentino Salvatore sul numero 2/2025 di Nessun Dogma.
Era sul balcone di casa nell’amena cittadina di Södertälje, vicino a Stoccolma, per fumare una sigaretta: una piccola pausa durante una live su TikTok. Poi gli spari. La trasmissione va avanti, finché non arriva un agente di polizia che spegne il cellulare. Così è morto, la notte del 29 gennaio 2025, l’uomo che aveva suscitato la rabbia degli integralisti islamici di tutto il mondo.
Ma anche imbarazzi e disapprovazione nel campo laico e progressista per la vita controversa e le provocazioni. Era Salwan Momika, un assiro iracheno apostata dal cristianesimo diventato ateo e diventato famoso – e famigerato – nel mondo per aver bruciato in pubblico il Corano nella laica e civilissima Svezia.
Il giorno dopo avrebbe dovuto affrontare, assieme al compatriota Salwan Najem che lo aveva accompagnato, il verdetto del tribunale nel processo per incitamento all’odio verso un gruppo etnico di cui erano entrambi accusati per i roghi dei testi sacri islamici. A Momika era stato revocato il diritto d’asilo, ma le autorità svedesi non si arrischiavano a cacciarlo: nel natio Iraq sarebbe andato incontro a morte certa – o almeno, più certa in teoria rispetto a un Paese dove l’islam non è religione di stato.
La città di Kufa aveva messo una taglia sulla sua testa, promettendo 2 milioni di dollari e un Corano fatto con 2 chili d’oro. Il processo è stato rinviato e la posizione di Momika stralciata. Ma Najem poi viene condannato: fuggito dall’Iraq nel 1998 e dal 2005 cittadino svedese, almeno non può essere rimpatriato.
Al di là della poca simpatia che possiamo avere verso forme di esibizionismo dissacrante o nei confronti di una figura ambigua come Momika, la sua uccisione deve preoccupare per una serie di motivi. Prima di tutto normalizza ancora di più la violenza e l’intimidazione di natura religiosa nelle nostre società apparentemente civili, tolleranti, multiculturali e secolarizzate di cui la Svezia rappresenta(va) l’emblema oramai in declino.
La morte dell’iracheno è stata accolta da una sfrenata ondata di giubilo mondiale, con il fioccare di commenti entusiasti di tanti devoti, e ha ringalluzzito chi minaccia i “blasfemi”. Najem ha scritto sui social: «il prossimo sono io». Ha ricevuto dopo l’assassinio numerose minacce. Notizie e video dedicati alla morte di Momika, su diverse piattaforme, sono subissati di commenti compiaciuti di insospettabili integralisti della porta accanto.
Anche l’elevazione di Momika a martire del libero pensiero scoperchia delle problematiche nel mondo laico. Non saremo noi a farne un santino: la sua storia – come abbiamo dettagliato in un articolo sul numero 5/2023 – è piena di ombre, tra affiliazione a milizie irachene anti-Isis e scivolamento verso l’estrema destra anti-islam comune a una fetta di rifugiati dai Paesi islamici (tendenza accennata nello scorso numero trattando il caso del terrorista ateo ex muslim di Magdeburgo).
Il lascito delle azioni di Momika rischia di alimentare una spirale di emulazione tale da esacerbare i bollenti spiriti dei fanatici musulmani, poco avvezzi alla critica anche dissacrante del credo e dei simboli che è – piaccia o meno – uno dei caratteri della secolarizzazione illuminista, con innumerevoli esempi da secoli anche in campo artistico e intellettuale.
La fobia per i bruciatori di Corani offre su un piatto d’argento il pretesto a diversi governi per rispolverare, con l’etichetta della lotta ai discorsi di odio e pure per guadagnarsi consensi nelle comunità islamiche in crescita (o quanto meno per stemperarne una certa focosità identitaria), una imbellettata censura della blasfemia. Il risultato? Una tutela privilegiata della religione che per molti, soprattutto musulmani, è sempre più un tratto imprescindibile, in reazione alla secolarizzazione. E che porta a un passo indietro per la laicità e la libertà di espressione di tutti, credenti e non.
Nel luglio del 2023, mentre i roghi coranici infiammavano il dibattito, il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha approvato una risoluzione, proposta dal Pakistan con alle spalle l’Organizzazione della cooperazione islamica, per criminalizzare i roghi dei testi sacri. Tra i no si segnalano Belgio, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Francia. Dal canto suo, proprio per le tensioni suscitate dai roghi, la Danimarca a fine 2023 si è rimangiata l’abolizione del reato di blasfemia datata 2017.
Anche il Regno Unito scricchiola. Nel novembre del 2024 un deputato laburista musulmano, Tahir Ali, ha chiesto al premier Keir Starmer – proprio citando il voto Onu – di intervenire contro la «dissacrazione di tutti i testi religiosi e dei profeti delle religioni abramitiche». E il premier si è impegnato a contrastare «l’islamofobia in tutte le sue forme».
Mentre le associazioni laico-umaniste locali sono preoccupate per il tentativo istituzionale di ridefinire, stridendo con diritti e libertà consolidati, il concetto di “islamofobia”. Nel Paese vive una nutrita e influente minoranza musulmana e vige un impianto istituzionale multiculturalista che alimenta l’identitarismo religioso (come spiega il filosofo Kenan Malik in un libro pubblicato da Nessun Dogma).
A Manchester, pochi giorni dopo l’uccisione di Momika, un uomo ha distrutto una copia del Corano in diretta streaming, portandosi la bandiera israeliana, davanti al memoriale per le vittime dell’attacco islamista che causò 22 morti nel 2017. Ha un alterco con un passante musulmano, che racconterà come vedere quel libro in fiamme stesse per «spezzargli il cuore» e gli avesse suscitato «la più intensa emozione che abbia mai avuto», nientemeno.
L’autore del gesto è Martin Frost: la data di nascita e la sua città vengono spiattellati dalla polizia, a proposito del tatto istituzionale verso le persone che potrebbero ricevere intimidazioni. Viene subito arrestato con l’accusa di aver causato «molestia, allarme, disagio intenzionali aggravati da motivi razziali e religiosi». Racconterà in tribunale di aver voluto esprimere solidarietà a Momika e che da mesi ha un forte disagio mentale per la morte della figlia, uccisa nel conflitto israelo-palestinese.
La giudice, pur esprimendo vicinanza, puntualizza: «il Corano è un libro sacro per i musulmani e trattarlo come ha fatto causerà una estrema angoscia. Questo è un Paese tollerante, ma non tolleriamo questo comportamento». Anche le associazioni laico-umaniste hanno espresso preoccupazione per il processo.
Humanists Uk ha evidenziato i rischi che corre l’accusato per la divulgazione dei dati, ribadendo l’inattualità delle leggi contro la blasfemia. Per Stephen Evans della National Secular Society «la condanna di un uomo per aver bruciato un Corano ci porta pericolosamente vicini alla reintroduzione delle leggi sulla blasfemia». L’uso delle leggi per la sicurezza per punire le offese alla religione, spiega, fa rientrare le leggi anti-blasfemia dalla «porta sul retro».
Un paio di settimane dopo un ex musulmano turco, Hamit Coşkun, ha dato fuoco al Corano davanti al consolato della Turchia a Londra: un dipendente è uscito e lo ha aggredito bandendo un coltello. Anche Coşkun è incriminato e sotto processo. Sui social si proclama ateo e ha condiviso diversi post contro l’islam; aveva inoltre espresso forti critiche al governo Erdogan e annunciato di voler bruciare il Corano, anche per esprimere vicinanza verso l’apostata iracheno ucciso.
Oggi una delle fratture politico-ideologiche più profonde polarizza, nel Regno Unito e non solo, da una parte una sinistra anti-razzista percepita come filo-islamica, pusillanime e censoria e dall’altra una destra suprematista, identitaria e xenofoba che però indossa la maschera libertaria. Una ferita riacutizzata dalla sconcertante uccisione di Momika.
Non a caso l’episodio è stato strumentalizzato dal nuovo vicepresidente statunitense J. D. Vance nell’intervento alla conferenza di Monaco sulla sicurezza per dare addosso all’Europa, dipinta come illiberale. Nella narrazione di Vance – neoconvertito cattolico dalle posizioni ultraconservatrici – il «governo» svedese ha «processato un attivista cristiano per aver partecipato ai roghi del Corano che hanno portato alla morte del suo amico».
Vance ha criticato le norme svedesi, dando a intendere che solo in teoria proteggano la libertà di espressione, citando un passaggio della sentenza contro Najem in cui si afferma che esse non garantiscano «un “lasciapassare gratuito” per dire o fare qualsiasi cosa senza rischiare di offendere il gruppo» che ha una certa fede.
Un altro elemento è la drammatica impreparazione delle istituzioni nel gestire il diffondersi delle minacce islamiste specie quando si intrecciano a marginalità e migrazione. Preoccupante che un uomo riconoscibile e divisivo come Momika non fosse adeguatamente vigilato, come ha denunciato la sua avvocata. Viveva in una casa nel quartiere di Hovsjö – seppure su indicazione della polizia e campanello con diverso nome – nella cittadina dove era stato picchiato in piazza da un uomo in guantoni da box nell’agosto del 2023.
Poco dopo il delitto sono state arrestate cinque persone, quattro delle quali pare abitassero nello stesso condominio e un paio con legami familiari con il “pugile”, ma sono state rilasciate subito e scagionate. Momika aveva subito doxing, con diffusione sui social dei dati personali, compreso il vecchio indirizzo di casa (distante poche miglia dall’ultimo).
E l’aggressione pare studiata: chi l’ha ucciso è entrato nel balcone di casa passando dal tetto della palazzina. Alcuni esperti sospettano che possa essere un omicidio commissionato da un Paese estero. Rimane che, dopo settimane, le indagini non hanno portato a nulla e si percepisce una diffusa evasività di media e istituzioni.
La morte di Momika ripropone una serie di scomodi interrogativi sulla libertà di espressione, sia pure dissacrante, sulle fratture politiche e sull’impazzare dell’estremismo religioso nelle società occidentali. Ma pare che tanti ci abbiano messo un’altra pietra (tombale) sopra. Stavolta, quella di Momika.
Valentino Salvatore
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