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Lettera aperta al Direttore Calabresi (La Stampa)

Lettera aperta al Direttore Mario Calabresi per il suo articolo su Mani pulite del 13 febbraio 2010.

Lettera aperta al Direttore Calabresi (La Stampa)

Gentile Direttore
il suo sentito pezzo sulla memoria -persa- di tangentopoli, merita più di un momento di riflessione e di condivisione.

Non ci conosciamo, ovviamente, ma le poche volte nella quali ho avuto il piacere di vederla in televisione (quando la guardavo ancora), lei mi è parsa persona perbene e con la faccia pulita.

Posso quindi comprendere questo disagio e "dolore" che lei manifesta nel suo pezzo e non posso che condividerlo. Rilevo, però, un certo grado di ingenuità, nelle sue parole, e su questo vorrei porre la sua attenzione.

Siamo stati in molti ad aver sperato che, quell’anno 1992, rappresentasse un momento di svolta nella politica italiana e nella storia del paese; abbiamo creduto ad un nuovo inizio, ad un modo diverso di intendere ed applicare la gestione della politica.

Debbo qui, subito, fare ammenda per me stesso e per una illusione cui, seppur per poco tempo, fui soggetto: credetti che il sig. Silvio Berlusconi potesse rappresentare un elemento di novità; dirò di più, quando vidi per la prima volta il libro "I’odore dei soldi" di Veltri-Travaglio pensai, con disappunto, a questi giornalisti che <<tentano di infangare chi cerca di fare qualche cosa per cambiare il paese>>. Peccati di gioventù, sorretti dall’ignoranza.

Di lì a poco, iniziai a comprendere di che pasta era fatto il soggetto.

Oggi il "Fatto Quotidiano", non me ne voglia Direttore, è l’unico giornale per il quale ho sottoscritto, in vita mia, un abbonamento. Per gli altri non ho mai sentito questa necessità. Sopratutto negli anni in cui, con un po’ di militanza politica, vedevo fatti e situazioni con i miei occhi e non trovavo mai corrispondenza adeguata nell’informazione. E qui, mi permetta, trovo corrispondenza con quel velo di ingenuità che ho rilevato nel suo appassionato discorso.

Fuori dalla retorica e dalla polemica fine a se stessa, dovremo, prima o poi, interrogarci seriamente sul perché non avvengono mai delle trasformazioni reali in questo paese. Se avvengono, accade che finiamo, quasi sempre, con il rimpiangere il tempo in cui pensavamo di stare peggio.

Sembriamo un paese che non impara mai; che non riesce a far tesoro delle esperienze negative del passato per costruire un futuro diverso: magari con nuovi errori; sarebbe già una novità.

Quanti disastri, economici, sociali, ambientali, sono frutto di questa incapacità ?
Dunque come fare per imparare? Quali sono gli strumenti ed i metodi?

Lei non può non convenire che l’informazione, prima ancora della cultura, sia uno strumento fondamentale per agire nel cambiamento. Difatti, la maggiore attività della politica politicante, in questi anni, si è concentrata nell’appropriarsi, nel distribuire, nel gestire in proprio l’informazione.

Chi meglio dei giornalisti può rappresentare la conoscenza della storia più recente? Chi meglio di loro, con il loro lavoro, possono costruire quei legami, invisibili nel quotidiano, ma che sono l’intreccio del malaffare e di chi opera contro la società, per interessi privati e mai pubblici?
 
Chi può garantire meglio la possibilità di avvicinarsi alla realtà dei fatti, con documenti, indagini, riflessioni?

Eppure, oggi noi cittadini "liberi" da ideologie, fanatismi, interessi di parte, possiamo davvero contare su poca, reale informazione, genuina e corretta. Se domani mattina l’80% delle testate giornalistiche in mano a qualche proprietà, para-pubblica o privata, sparisse, non ci accorgeremmo della differenza.

Qui sta il cuore della questione; i motivi per i quali, in questi 18 anni, è stato possibile, ad una casta politica, stravolgere il significato, e portare in soffitta, l’era di Mani Pulite.

Com’è possibile, in un paese senza più capacità di sdegno, mantenere viva la memoria del vero significato di Tangentopoli?

Nell’80% dei casi, la Casta è composta sempre dalle stesse, identiche, persone.
Così come gli antidemocratici transitarono dal fascismo caduto alla nuova Repubblica camuffandosi, così è stato possibile a farabutti senza età, continuare a vivere nell’ombra del post-tangentopoli, un’era, in realtà, mai iniziata veramente.

La deriva morale del paese è sotto gli occhi di chiunque la voglia davvero scorgere. Ne seguono una deriva economica e sociale. Tutte hanno in comune un unico fattore: la menzogna.

Le bugie di chi si presenta come paladino dei valori cattolici; quelle di chi lucra sulle speculazioni economiche fottendo i risparmiatori; quelle di chi attende che una zona sia così depressa sino al punto in cui la gente accetterà qualsiasi lavoro, anche se questo comprometterà la sua salute e quella della sua famiglia e la vita biologica del territorio in cui abita.

Le menzogne hanno tutte un denominatore comune: un interesse economico di parte; benefici per alcuni, a scapito del bene delle collettività. Per convincere con le menzogne ci vogliono le casse di risonanza e, purtroppo, i giornali e troppi giornalisti, si prestano a questo gioco.

Come si può pensare, con questi presupposti, che rimanga viva la memoria di una stagione nella quale i farabutti venivano definiti come tali e non come "diversamente onesti" ?

Le confesso che, da ragazzo, ambivo a fare il giornalista di opinione. Mi piaceva l’idea di riflettere a voce alta e confrontarmi con il pubblico, con gli altri. Il mio radicato senso di rifiuto contro le raccomandazioni mi ha precluso questa strada. A distanza di tempo ne sono ben felice. Oggi nel mio piccolo blog possono scrivere e condividere ciò che penso.

La rete: una conquista poco tollerata dalla Casta. Così come poco tollerata è quella parte di paese che ha aperto gli occhi ed esige di essere governata da una classe politica con un minimo di decente coerenza. Un mondo di identità diverse ed ancora grezzo nella sua forma, ma che potrebbe rivelarsi dirompente se comprenderà il proprio potere e si saprà dare delle regole adeguate.

Il paese è oggi spaccato, realmente, in termini di conoscenza. C’è chi cerca la verità dei fatti e c’è chi si accontenta di ricevere ciò che gli viene propinato (magari dal Minzolini di turno). Cambierà questa situazione? Chi e cosa prevarrà? Non lo so francamente. Posso dirle che negli anni ’70 desideravo non morire democristiano. Oggi penso di andarmene da questo paese per non morire berlusconiano.

Direttore, lei è stato colpito profondamente dalla violenza assurda e cieca degli anni ’70, frutto di una ideologia malata, estremista e totalizzante.

Le domando però, con massimo rispetto per il suo dolore: non crede che, in questa vita, la violenza trovi radici e terra fertile nell’ipocrisia e nella menzogna di chi si erge paladino del bene comune ed invece persegue, nei fatti, altri interessi che sono proprio contro questo bene?

Credo che se la violenza vada sempre e comunque condannata, non ci si può più nascondere dietro i fili d’erba perbenisti, illudendosi che lo sfruttamento degli altri per i proprio scopi non conduca a qualche forma di rivolta che può avere, anche, sbocchi drammatici. Questo vale per ogni luogo e per ogni filosofia politica o religiosa.

Allora in questo paese, nel quale il costo sociale dei farabutti (60 miliardi stimati dalla Corte dei Conti), implica il venire meno di apporto finanziario per quelle opere (non grandi, ma bensì piccole) necessarie al miglioramento della vita di tutti, se non abbiamo il contributo vigile di una informazione libera ed indipendente a cosa siamo destinati?

Se l’intreccio tra informazione e potere è stretto, troppo stretto, non solo la memoria si affievolisce, ma la possibilità di modificare il presente in tempo utile può venire vanificata.

L’illusione che ci circonda, è che saranno saranno sempre "gli altri", a pagarne il prezzo.

Non sarà così.
Confido che nella sua coscienza lei trovi sempre l’indirizzo giusto per agire e contribuire al bene collettivo. Abbiamo bisogno di verità per sconfiggere il male.
Con cordialità sincera.

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