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La deflazione è una minaccia per l’Europa (Germania compresa)

L'incubo di una crisi stile anni Trenta nel Vecchio Continente è ormai vicino.

Le stime relative alla crescita nel terzo trimestre delle principali economie della zona Euro hanno fatto tremare più di qualche scrivania a Bruxelles e dintorni. Il fatto è che, nonostante le misure espansive messe in campo da Draghi, in primis l'abbassamento del tasso d'interesse a livelli "americani", le condizioni dell'economia reale rimangono comatose. Se è vero che c'è una buona notizia (l'Irlanda è uscita dalla procedura di salvataggio), il resto del quadro è sconfortante: la Francia è in piena stagnazione, la Germania gode di una crescita anemica, l'Italia è ancora in leggera flessione.

Inoltre, i dati sulla disoccupazione continuano ad essere agghiaccianti: la percentuale di senza lavoro in Spagna e Grecia è sempre sopra il 25%. Una quota incompatibile (sul lungo periodo) con la democrazia, secondo molti storici.

Il punto è che, come scrive il premio Nobel Paul Krugman sul suo blog, l'Europa sta correndo a gran velocità verso il burrone della deflazione.

Dobbiamo ricordare che un paese come la Germania, nel periodo pre-crisi, ha potuto godere di una grande crescita della competitività anche (e soprattutto) grazie al differenziale d'inflazione accumulato: in parole povere, i paesi periferici avevano tassi d'inflazione molto più alti, e ciò permetteva alla Germania (e agli altri paesi nordici) di rendersi più competitivi in un lasso temporale piuttosto breve.

Tuttavia, a causa delle cure di austerità impartite dalla Troika, ora il tasso d'inflazione in paesi come Spagna, Grecia e Portogallo è crollato. Questi Paesi sono addirittura sull'orlo di un calo generale dei prezzi (cosa che gli economisti chiamano "deflazione"). Per la Germania e per i paesi nordici è quindi molto più difficile ottenere vantaggi di competitività basati sul differenziale d'inflazione. Essi sono costretti, a loro volta, a tenere l'inflazione bassissima per non perdere il terreno guadagnato rispetto ai cosiddetti "Piigs".

C'è quindi il rischio concreto che in Europa si scateni la corsa a chi deflaziona di più la propria economia, cioè a chi fa aumentare meno i salari e i prezzi. Una cosa che a prima vista potrebbe apparire positiva: il calo dei prezzi piace ai consumatori. Peccato che un calo generale dei prezzi su lungo periodo sia l'incubo di ogni buon economista: la deflazione prolungata è simile a quello che il coma farmacologico è per un individuo. Essa equivale a stagnazione dei salari e domanda interna in calo.

Una tale sciagura sarebbe, forse, il colpo definitivo per la credibilità delle istituzioni europee.

 

 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.53) 1 dicembre 2013 14:39

    Amico Giacomo Giglio se la deflazione sara’ un problema che acuisce la crisi, io vorrei ragionare sul fatto che se i margini di profitto sui beni prodotti possono diminuire e vendendo senza accumulare scorte di magazzino, i consumi si agevolano e magari aumentano, i lavoratori non perdono il posto di lavoro e lo Stato si garantisce sempre l’ entrate tributarie.Il fisco e’ tranquillo, il consumatore e’ agevolato dai prezzi piu’ bassi, il problema resterebbe sempre,invece, quello dei disoccupati che se non vengono assorbiti dai settori produttivi che per effetto della deflazione vendono, magari di piu’. Dunque resta sempre il problema di creare lavoro incentivando investimenti in settori dove esportiamo o alzare i dazi per l’importazione o addirittura l’abbassamento del costo generale del lavoro ci puo’ difendere il lavoro dalle importazioni di beni di bassa qualita’ cinesi ed altri.In assenza di politica vera la deflazione sara’ l’unico intervento riequilibrante dell’economia e occupazione.Naturalmente anche i costi della P.A devono deflazionarsi di consegunza.

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