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 Home page > Attualità > Economia > La deflazione: altro che "gufi", la realtà è amara

La deflazione: altro che "gufi", la realtà è amara

La stagnazione ormai decennale dei salari, sommata alle variabili demografiche e al grande numero di sotto-occupati, ha creato il clima perfetto per una Grande depressione stile anni '30.

La Grande Recessione partita nell'Occidente circa 6 anni fa è stata più volte paragonata ad uno di quei film horror in cui il protagonista non fa in tempo ad uccidere un mostro in salotto che subito si ritrova, qualche minuto dopo, uno zombie ancora peggiore nascosto in cantina.

In questi anni abbiamo visto di tutto: prima un crollo di alcune banche mondiali; poi il crollo delle Borse; successivamente l'esplodere della disoccupazione. Una tale sequenza può risultare simile ad un incubo, ma è perfettamente in linea con le previsioni degli economisti - o, almeno, degli economisti più seri.

L'unico precedente disponibile nella storia moderna - il grande crollo del 1929 e la conseguente Depressione degli anni Trenta - funzionò esattamente così: prima il caos finanziario, poi il crollo dell'economia reale, infine l'arrivo di una stagnazione paurosa propiziata dal crollo dei prezzi e dei salari. Nulla fa pensare che stavolta il copione possa cambiare, anche se la situazione per fortuna non è ancora grave come allora (grazie anche agli strumenti del Welfare, che proprio ora vengono messi in discussione).

Dobbiamo pensare alle grandi crisi come ad una malattia degenerativa: inizialmente il sistema immunitario cerca di reagire, e può anche resistere, a patto che sia adeguatamente supportato dalle cure mediche. 

Ma se la crisi non viene affrontata con i mezzi adeguati, allora tenderà a sclerotizzarsi: la malattia prenderà piede con facilità in un corpo debilitato e senza difese. I paesi più deboli dell'Eurozona, cioè quelli che stanno pagando di più lo scotto della deflazione, sono quelli che presentano una domanda aggregata più debole.

Sono nazioni tendenzialmente in stagnazione demografica, innanzitutto; una grande fascia della popolazione è, per ragioni diverse, al di fuori del mercato del lavoro e quindi ha una capacità di spesa ridotta; anche tra coloro che lavorano, una grande fascia di persone svolge lavori a tempo determinato, di natura precaria o, comunque, temporalmente delimitata; lo stato del credito bancario è asfittico, con scarse prospettive di recupero nel medio termine; infine, gli Stati non hanno capacità di spesa perchè sono imbrigliati nella regola del "pareggio di bilancio" contenuta all'interno del Fiscal Compact europeo.

Tutto ciò si sarebbe potuto evitare o, comunque, smorzare: se la Bce avesse avuto più coraggio, facendo politiche espansive simili a quelle operate dalla Fed americana o dalla Banca centrale giapponese, probabilmente l'inflazione sarebbe a livelli più accettabili. 

Se gli Stati avessero investito maggiormente in formazione e istruzione nei tempi di "vacche grasse", ora certamente la situazione sarebbe migliore. Ma la dura realtà è ora quella di una probabile deflazione in Italia e in molti altri paesi europei; con questo rischio alle porte, i politici seri dovrebbero pensare a come contrastare l'ondata deflattiva, invece che dare la colpa ai "gufi" per nascondere la propria incapacità totale.



Foto: Wikimedia
 

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