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La base della sinistra è fatta di deficienti o c’è altro che non funziona?

So che questo articolo farà imbestialire molti per il titolo, ma se avrete la pazienza di leggere anche il resto, forse vi arrabbierete anche di più. O forse no. Vediamo…

Uno degli interventori di questo blog, commentando una mia affermazione per cui il Pd è un partito con un gruppo dirigente di destra ed una base (militante ed elettorale) prevalentemente di sinistra, ha scritto che, stante questa premessa, occorre concludere che “l’elettorato del Pd è in larga parte composto di deficienti”. Deduzione impeccabile… apparentemente, in realtà sbagliata perché troppo superficiale.

Le cose sono molto più complicate di un rapporto lineare per il quale una base, che non si vede rappresentata nelle sue istanze più importanti, dopo un po’, sfiducia il gruppo dirigente. Sarebbe troppo bello se le cose fossero così semplici. In realtà, nel rapporto di rappresentanza, giocano molte mediazioni ed elementi di “disturbo”.

Ovviamente non è affatto escluso che ci sia una porzione di deficienti che giochino un ruolo di supporto alle burocrazie dominanti e senza alcun vantaggio per sé (altrimenti che deficienti sarebbero?). E questo vale per tutti, anche per la sinistra: non fu Sciascia, sin dal 1963, a decretare la “nascita del cretino di sinistra”? Ma non è questo l’elemento decisivo: si tratta di una porzione decisamente minoritaria e non determinante.

Ben più decisiva è la porzione di persone direttamente legata da rapporti di interesse con il gruppo dirigente: funzionari, consulenti, personale amministrativo, cui si aggiungono i membri di corporazioni garantite e comitati d’affari vari. A sinistra questa coda clientelare e burocratica è particolarmente fitta e ben collegata (si pensi agli apparati di partito, al personale politico degli enti locali, alle cooperative, alle corporazioni di accademici, sindacalisti, magistrati, notai, architetti ecc.).

Non è affatto detto che questo gruppo di persone condivida o meno gli indirizzi politici del gruppo dirigente che sostiene: nella maggior parte dei casi vi è indifferente, ma anche nel caso dissenta dagli indirizzi generali del gruppo dirigente - a prescindere se considerati troppo di destra o troppo di sinistra - continuerà a votarlo, per il prevalere degli interessi particolaristici o anche solo personali.

Naturalmente, questa politica di distribuzione selettiva delle risorse, per definizione, deve riguardare minoranze abbastanza ristrette, quindi questa parte della base non è numerosissima e, presumibilmente, non supererà mai una quota del 4-5% degli iscritti al partito e molto meno degli elettori, quindi, in sé, non si tratta di un gruppo decisivo. Ma occorre tener presente che queste persone hanno parenti, amici, clienti, dipendenti, che sono spesso interessati indirettamente al mantenimento di quegli stessi assetti di potere: se un architetto vive della committenza degli enti locali in cui ha amici politici, è interessato alla loro permanenza alla guida dell’ente locale e del partito, ma altrettanto interessati al permanere di quegli equilibri saranno i suoi familiari, la segretaria ed anche il giovane precario del suo studio che vivono di quello stipendio, pur magro.

Così come a votare per lo stesso assessore saranno i clientes che hanno ricevuto qualche favore, anche piccolo. Sicuramente non tutte queste persone voteranno conformemente ai loro interessi particolaristici, ma una parte - più o meno ampia - sì. E questo determina un effetto moltiplicatore, per cui quel 3-4%, diventerà facilmente il 15-20% dei voti congressuali ed una percentuale più bassa, ma non trascurabile, dell’elettorato.

Ma veniamo alla parte maggiore della base. Qui il discorso si differenzia fra base di partito e base elettorale. Nella base di partito un effetto decisivo lo giocherà l’apparato dei funzionari strutturati in una precisa catena di comando che va dal centro alla periferia e che è il modello organizzativo base della sinistra. Oggi l’apparato è decisamente più debole rispetto a quello che era nel Pci, ma mantiene un peso considerevole e si integra con la nuova figura del “consulenti”. Il funzionario è un lavoratore dipendente privilegiato da un certo punto di vista (elasticità di orari di lavoro, accesso ad ambienti decisionali, spesso migliore retribuzione ecc.), ma ha un forte handicap: è licenziabile ad nutum, per cui deve assicurarsi un solido ancoraggio nei livelli superiori dell’organizzazione, attraverso un rapporto di dipendenza politica dal gruppo dirigente nel suo complesso o di una sua particolare frazione.

A sua volta, però, il funzionario, ha un discreto potere di distribuzione di riconoscimenti selettivi verso chi gli è sottoposto: può influenzare la scelta dei membri di direttivo regionale o provinciale, dei segretari di sezione, dei membri di commissione o di particolari incarichi di partito o degli enti locali, la formazione delle liste quanto meno per le elezioni amministrative ecc. E questo, ovviamente, sfocia nella costruzione di un seguito organizzato che seguirà le sue indicazioni di voto congressuale. E così si determina una catena di consenso che prescinde totalmente dall’adesione ad una determinata linea politica: il segretario della sezione “Gramsci” è un vecchio militante del Pci, totalmente estraneo alla cultura liberista del gruppo dirigente e che non ama affatto Renzi, ma è stabilmente collegato al gruppo che nella federazione provinciale fa riferimento al signor Bianchi, ex sindacalista Cgil, a sua volta collegato al gruppo regionale dell’on. Neri, che deve la sua candidatura al membro della direzione Rossi che, a sua volta, ha scelto di stare con Renzi. Quel segretario di sezione, dunque, voterà Renzi e, siccome ha un nutrito gruppo di amici ed estimatori, molti di essi, pur pensando cose totalmente diverse, voterà seguendo le indicazioni del segretario del circolo.

Come si vede ci sono una serie di passaggi che prescindono totalmente dalla condivisione o meno della linea politica. A questo meccanismo (particolarmente radicato nei partiti di sinistra nei quali da sempre l’apparato è la spina dorsale) si sommano meccanismi di natura diversa che hanno anche più peso nell’area degli elettori non iscritti al partito.

In primo luogo, al pari di quanto accade nei mercati finanziari, giocano un ruolo molto importante le “asimmetrie informative”, per cui l'“offerta”, cioè il gruppo che chiede la delega, possiede una quantità ed un livello di informazioni decisamente superiore a quello della “domanda”, cioè la base alla quale non resta che stare sulla parola di chi gli chiede fiducia. Come si sa, chi vende sa ciò che vende, ma chi acquista non sa quel che compra.

Questa asimmetria informativa di base poi va stratificandosi, creando una vera e propria “gerarchia informativa”: all’interno del gruppo, corrente o partito, il capo cordata avrà il massimo di informazioni, i suoi immediati subordinati conosceranno gran parte di esse ma non tutte, a loro volta i subordinati di medio livello avranno a disposizione una massa inferiore di informazioni che trasmetteranno solo in parte ai loro sostenitori e così via, in un crescendo di opacità che raggiungerà il suo massimo al livelli di base. Se il capo corrente ha stabilito un’ intesa coperta con altro capo corrente, probabilmente lo dirà solo ai collaboratori più stretti ed ai supporter più fidati, gli altri forse ne sapranno qualcosa o la intuiranno e forse qualcosa trapelerà a livello medio alto, ma al di sotto di esso nessuno ne saprà o immaginerà nulla. Dunque, primo problema: la base compie le sue scelte in condizioni di ignoranza più o meno parziale, per cui la scelta basata sulla fiducia personale spesso sopperirà ad una scelta consapevole.

Ma, qualcuno osserverà, questo può essere giusto per il futuro, ma come giustificare il persistere di un rapporto fiduciario anche “dopo”, quando l’azione politica (di governo o di opposizione, poco importa) del gruppo dirigente si è dispiegata ed ha dato i suoi frutti magari divergenti dalle aspettative? Perché la base non giudica il gruppo dirigente sulla base dei risultati effettivamente conseguiti? Anche qui c’è una quota di asimmetria informativa, che contribuisce a spiegare il fenomeno: non tutti i militanti di un partito seguono la vita politica con l’attenzione necessaria o, semplicemente, hanno il tempo di documentarsi adeguatamente; e fra gli elettori non iscritti, presumibilmente, il tasso medio di interesse per la vita politica è ancora più basso.

Peraltro, giudicare le decisioni, ad esempio, di politica economica, presuppone un minimo di strumenti culturali che spesso non sono disponibili. L’uomo della strada percepisce che l’economia non va, che occupazione e consumi calano e che la pressione fiscale è poco sopportabile, ma di fronte a spiegazioni del tipo “E’ l’eredità dei governi precedenti”, “E’ l’effetto cella crisi mondiale che sarebbero ancora peggiori se il governo non avesse fatto questo o quello”, “E’ quello che si può fare entro i vincoli dei trattati internazionali”, “E’ colpa della Germania” oppure “Gli altri avrebbero fatto di peggio”, non ha gli strumenti per orientarsi. E, nella maggior parte dei casi, o si fiderà di quello che legge nel giornale che prende abitualmente o si rivolgerà al suo opinion leader di riferimento (un amico insegnante o professionista o giornalista ecc.) che spesso sarà un militante o simpatizzante di partito. Oppure farà leva sul “pre-giudizio ideologico” che lo dispone a favore di uno schieramento piuttosto che di un altro, a prescindere da qualsiasi analisi di merito.

Ed in questo influiranno anche una serie di riflessi psicologici da non sottovalutare: confondere i desideri con la realtà, scacciare le notizie sgradite, cercare di giustificare sempre la parte politica per cui si tiene, il desiderio di non smentirsi e di “tenere il punto” della propria appartenenza politica, la resistenza ad accettare i mutamenti storici in corso e la conseguente tendenza, in particolare nei più anziani, a leggere quel che accade con le lenti del passato.

Questi meccanismi sono più forti a sinistra, dove, pur essendoci un più alto tasso di politicizzazione, c’è una maggiore propensione ad affidarsi al “partito-apparato”, dove il radicamento ideologico è maggiore e con una più spiccata propensione acritica, dove il “patriottismo di partito” ha ragioni antiche e spesso sfocia in una deplorevole assenza di laicità. E non si dimentichi che la densità di anziani a sinistra è particolarmente alta (come giustamente ricordava qualcuno: una grossa fetta degli elettori del Pd sono i pensionati). I giovani si astengono o votano il M5s, pochi la destra, ma solo pochissimi Pd. E questo ha il suo peso.

Ma, soprattutto incide un fattore particolare: l’assenza di alternativa prodotta dallo stesso ceto politico al “potere”. Quando chiedi ad un militante di sinistra perché vota per una certa corrente o perché non reclama le dimissioni immediate di un segretario sconfitto alle elezioni ecc. novanta volte su cento la risposta è: “E chi ci metti al suo posto?”. Ed è vero, perché non c’è un’offerta alternativa. Ma non c’è perché il ceto politico al potere ha accuratamente fatto in modo che non ci sia. Ed un gruppo dirigente alternativo non cade dalle nuvole come un dono del Cielo.

All’interno dei partiti è la totale assenza di democrazia interna ad impedire qualsiasi ricambio. Beninteso, non mancano le liturgie congressuali o le primarie, ma alla linea di partenza arrivano solo già quanti sono dentro la casta e la scelta è sempre fra diverse frazioni della stessa burocrazia. Per affermarsi un nuovo gruppo dirigente ci sarebbe bisogno di una dialettica aperta per tutto il periodo che va da una consultazione all’altra, tenendo conto tanto della difficoltà dell’affermarsi di una nuova cultura politica in presenza del naturale conservatorismo delle organizzazioni. C’è una viscosità interna che penalizza le novità e punisce le innovazioni, per cui, per affrontare le sfide interne, al gruppo dirigente in carica basterà monopolizzare l’immagine esterna del partito ed escludere dalla sua discussione interna ogni “terzo incomodo” che cerchi di inserirsi. Anche quando si conceda qualche avarissimo spazio marginale (le lettere al direttore del giornale di partito o qualche raro post nel blog vigilato dalla direzione), questo non avrà alcun effetto.

Quando si arriverà al congresso o alle primarie, i giochi saranno già fatti: il regolamento provvederà a rendere quasi impossibile ai nuovi arrivati anche solo di presentare una loro mozione e loro candidati; se anche qualcosa dovesse accadere, i dirigenti uscenti potranno usare le risorse economiche del partito per le loro manifestazioni, spostamenti, inserzioni pubblicitarie, manifesti ecc. mentre i nuovi dovranno fare tutto da soli. Poi ad indirizzare i consensi provvederanno i funzionari sul territorio e la stampa nazionale che, ovviamente, darà spazio solo a quelli che già sono i principali esponenti di partito. Qualche nuovo candidato al massimo sarà preso in considerazione come una curiosa e divertente anomalia. E, sempre che il conteggio dei voti sia corretto (del che…) i consensi si suddivideranno più o meno nella misura dei rapporti di forza preesistenti fra le diverse frazioni burocratiche.

Questo poi si rifletterà anche nelle elezioni politiche, dove l’elettore si troverà sempre a scegliere fra le solite offerte politiche. A scoraggiare la formazione di nuove liste influirà anche la legge elettorale maggioritaria che, con il richiamo al voto utile e le soglie di sbarramento, mette fuori gioco eventuali nuovi arrivati.

Per dimostrare come tutto questo sia ancor più vero nel caso delle organizzazioni di sinistra, nel prossimo articolo mi occuperò di un caso da manuale di “paralisi del gruppo dirigente” ed impossibilità del ricambio: Rifondazione Comunista.

 

Foto: Kalupa/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.234) 27 dicembre 2013 12:46

    Ma che bravo che sei Giannulli! ottima spiegazione sul come funzionano i rapporti clientelari, che a sinistra non sono mai stati estranei alla gestioni del PCI ed eredi. Ma le tue analisi non ci fanno capire come e perché già un 30% dell’elettorato di sinistra votò Renzi e non Bersani alle primarie di coalizione (quando l’intero apparato del partito era con Bersani), né ci fanno capire come e perché - dopo la batosta elettorale - circa due milioni di elettori e iscritti abbiano scelto Renzi e non Cuperlo (continuatore della linea Bersani e company). E anche mettono in ombra assoluta il fatto che con Renzi il PD si è definitivamente liberato delle scorie socialdemocratiche e stataliste, assumendo il ruolo di partito democratico effettivo, simile agli altri partiti europei della sinistra, alcuni dei quali continuano a chiamarsi socialdemocratici o socialisti, ma nessuno dei quali ha più in programma gli obiettivi della socialdemocrazia.

    Egregio Giannulli forse è il caso che cominci a riflettere - in fondo l’intelligenza non ti manca - sulla fine dei sogni otto/novecenteschi del socialismo egualitario (comunismo e socialdemocrazia) e sulla necessità di avere dei partiti democratici che difendano lo Stato sociale e le classi più deboli dall’arroganza della destra.

    Mi permetto di suggerire alla tua attenzione un testo di storia italiana di Massimo Salvadori, di recete ripubblicazione aggiornata da Il Mulino, che spiega molto meglio del tuo articolo la vischiosità degli elettorati di destra e di sinistra, in perenne guerra civile ideologica.

    Egregio Giannulli so che tu hai l’abitudine di non rispondere ai commenti non intelligenti ovvero a chi è in radicale disaccordo con te, per cui non mi aspetto una vera risposta ai quesiti che ti ho avanzato, ma non ha importante, ciò che conta è che chi legge il tuo articolo e il mio commento si ponga qualche interrogativo che mettano in discussione le certezze acquisite.

    • Di (---.---.---.234) 27 dicembre 2013 12:57

      mi scuso per l’errore all’ultimo capoverso. Una intossicazione semantica, tra "non è importante" e "non ha importanza", mi è uscito fuori "non ha importante".

    • Di Il Gufo (---.---.---.115) 28 dicembre 2013 13:12

      Alcune inesattezze nel commento:
      1) Il 30% che scelse Renzi e non Bersani non è "l’elettorato di sinistra": io voto a sinistra ma non mi sogno nemmeno di contribuire alle primarie del PD. Inoltre mi sembra un dato che rafforza la tesi dell’articolo, quel trenta percento che scelse Renzi perse contro la burocrazia del partito.
      Esattamente quel che si voleva dimostrare.
      2) Con Renzi il partito avrà una strategia di comunicazione efficace; ma è davvero difficile trovare prove dell’affermazione "il PD si è definitivamente liberato delle scorie socialdemocratiche e stataliste". Solo perchè ha eletto segretario qualcuno che non è mai stato comunista e parla di snellire la PA?

  • Di (---.---.---.234) 27 dicembre 2013 12:51

    P.S.: sarebbe il caso che prima o poi ti decida a definire cosa è sinistra e cosa è destra, dato che il discrimine di una volta tra destra e sinistra - "l’egualitarismo" - non c’è più, se non nella mente di alcuni irriducibili giapponesi della sinistra politica.

  • Di (---.---.---.89) 27 dicembre 2013 16:48

    Invece ti rispondo visto che, pur essendo in dissenso con me, questa volta hai fatto domande intelligenti.
    1. Già nella volta scorsa Renzi aveva dalla sua una parte dell’apparato (sintomaticamente proprio nelle regioni rosse) in parte perchè si trattava dei vecchi veltroniani sconfitti precedentemente dal blocco Bersani-D’Alema, in parte di ex margheritini (anche la Margherita aveva un apparato ed una buona metà stava con Renzi) in parte perchè convinti che l’immagine troppo legata al Pci di Bersani non era di buon auspicio per vincere elezioni nelle quali si temeva che Monti potesse attrarre voti dal Pd.
    In secondo luogo Renzi ha assorbito buona parte dei consensi che prima andavano a Vendola e che, dopo la decisione di sbaraccare le "fabbriche di Nichi", sono passati armi e bagagli al sindaco di Firenze.
    Settori di Cl non hanno fatto mancare il looro consenso già da allora
    Inoltre Renzi già da quella occasione ha potuto godere di una notevole esposizione mediatica.
    Come vedi un fenomeno composito
    2. Sul cosa significa per me sinistra l’ho già scritto due anni e mezzo fa sul mio blog e vattelo a vedere.
    Ovviamente per me il valore di eguaglianza è irirnunciabile. Capisco che non sia così per te che sei evidentemente uno di destra, ma ti faccio notare che il valore di eguaglianza non è solo dei comunisti, ma anche dei socialisti, socialdemocratici, repubblicani, cattolico sociali e liberali di sinistra.
    Tu pensi -probabilmente come il sindaco di Londra- che sia superato e che sia roba da ultimi giapponesi. Una opinione rispettabile ma non una verità universalmente stabilita mi pare.
    Ti faccio notare solo che senza il valore di eguaglianza non esiste neppure quello di democrazia. Ma forse per te anche questa è roba da ultimi giapponesi nella jungla.
    Mi pare si sufficiente per oggi

    • Di (---.---.---.88) 27 dicembre 2013 18:31

      L’uguaglianza riferita ai partiti comunisti e socialisti aveva ed ha (visto che esistono ancora dei nostalgici delle orrende società dell’est europeo) un preciso significato politico che a te sembra sfuggire (ma so che fai finta), uguaglianza economica.

      La "verità universale" su socialismo e comunismo l’ha scritta la storia. A parte alcuni nostalgici (c’è sempre una piccola quota di persone talmente irragionevoli da negare l’evidenza storica) sono falliti tutti i partiti comunisti e anche quelli socialdemocratici, sebbene i risultati pratici di questi ultimi siano stati ben diversi e positivi rispetto a quelli mostruosi del comunismo.

      Ti ripeto l’invito a leggerti la storia d’Italia 1861 - 2013 di Massimo Salvadori e visto che ti trovi da anche una occhiata all’articolo di Libero Mercato su Renzi e la nuova sinistra democratica nella stessa pagina di oggi. Entrambi vanno al di la dei tuoi schemini validi solo a spiegare il meccanismo di funzionamento del clientelismo politico e nulla più.

      Per quanto mi riguarda, checché tu ne possa pensare, mi considero di sinistra perché sono per una politica di pace (ma non pacifismo), per la difesa della democrazia, per la difesa dello Stato sociale e per politiche redistributive a favore dei ceti più deboli. Questo mi basta e non ho bisogno della tua uguaglianza economica e del tuo orrendo e fallimentare  comunismo.

    • Di (---.---.---.89) 27 dicembre 2013 18:35

      adesso non ti allargare e studia qualcosa
      Ciao

  • Di (---.---.---.226) 27 dicembre 2013 17:17

    Il lungo articolo mi sembra troppo facilmente applicabile a qualsiasi gruppo politico, sia di sinistra che di destra, seppure con qualche ritocco.

  • Di (---.---.---.194) 29 dicembre 2013 19:56

    Bollicine >

    Renzi è diventato Segretario grazie a 1 milione e 890 mila voti.
    Eppure afferma di aver ricevuto il mandato popolare da “3 milioni di persone” che, precisa, “mi hanno votato” perché “hanno condiviso quello che ho promesso di fare”.

    Forse si confonde (?) con gli oltre 3 milioni di voti ricevuti da Prodi nel 2005 e non ricorda (?) i 2 milioni e 690 mila avuti da Veltroni nel 2007.
    Non solo.
    Il suo staff sta ancora preparando una “agenda con dentro grandi riforme” da rendere nota entro gennaio.
    Secondo Renzi, mentre il premier Letta ha chiesto la fiducia “in bianco” ai parlamentari della maggioranza, chi ha eletto lui Segretario del PD lo ha fatto perché ha apprezzato quello (?) che ha promesso di realizzare. Finora da Renzi sappiamo solo che con l’anno nuovo passerà “dalle chiacchiere alle cose scritte”.

    Quante bollicine!! Forse è Tutta colpa di Carosello” se anche in politica piovono gli spot

  • Di (---.---.---.144) 1 gennaio 2014 15:02

    A me pare che la spiegazione piu’ semplice e quindi piu’ credibile secondo il principio di Occam, sia che la base che vota a sinistra si informa guardando la TV e giornaloni e quindi non sa un accidente. Solo una minoranza intorno al 30% si informa sulla rete dove con molta fatica trovi anche le cose vere. 

    Guardando la TV uno si fa l’idea (sbagliata) che il PD e la sua dirigenza siano un partito di sinistra che per 20 anni ha combattuto Berlusconi e che ci sia riuscito poco e male per colpe non sue. Insomma la dirigenza PD sarebbe poco furba forse, ma di sinistra.
    L’idea che dirigenza PD e PDL facciano parte di uno stesso sistema, che litighino in pubblico ma collaborino in privato sugli affari (loro) non passa minimamante in TV.

  • Di GeriSteve (---.---.---.94) 1 gennaio 2014 19:57

    Articolo complesso, in buona parte condivisibile, a cui sarebbe troppo lungo rispondere punto per punto.

    Mi limito a segnalarne la grande lacuna: i cosiddetti mezzi di informazione, che sarebbe più giusto chiamare: i mezzi di disinformazione e di formazione di opinione.

    Sono tutti (tranne forse Il Fatto Quotidiano) fortemente controllati da poteri economici e politici che, sotto molti aspetti, costituiscono un potere unico, interessato a non informare, a non far capire e a far credere che la recita del teatrino dei politici sia politica vera.

    Sono questi mezzi di informazione - disinformazione che impediscono la nascita di alternative reali, sia di sinistra che di destra o centro: non parlano mai di chi si pone fuori dell’apparato, se non talvolta, ma solo per delegittimarlo: l’elettore non può sceglierli per l’ottimo motivo che non ne sa niente, oppure sa vagamente che esistono incapaci, buffoni, estremisti...

    Il grande successo del m5s è dovuto al fatto che Casaleggio, con mezzi tutt’altro che chiari e condivisibili, è riuscito a sfondare quel muro di disinformazione e a convincere che il m5s esiste. Ingroia, con la sua rivoluzione civile, non ha saputo sfondare quel muro e quindi non è stato votato dall’elettorato di sinistra, non in quanto "non convicente", ma in quanto "ignorato".

    Oltre a questa grande lacuna, ci sono altri due fattori che si sarebbe dovuto considerare:

    - la elefantiasi del sistema di rappresentanza e la sua estenuante complicazione: se anche un elettore si dedicasse a tempo pieno a cercare di capire cosa fanno davvero i suoi rappresentanti in circoscrizione, comune, provincia, regione, camera, senato, parlamento europeo, non ci riuscirebbe, quindi gli elettori sono impossibilitati a controllare e valutare i loro rappresentanti.

    - la omertà di partito dovuta al porcellum: anche prima i deputati ribelli rischiavano la esclusione dalle liste o la inclusione in collegi sicuramente perdenti, ma il porcellum affida completamente la loro elezione all’apparato di partito. E’ per questo che TUTTI i partiti, m5s compreso, amano il porcellum.

     

    GeriSteve

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