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La strage dei lavoratori sacrificati al profitto economico

E’ un necrologio continuo. Non parliamo del genocidio palestinese. Parliamo di un altro genocidio: i morti sul lavoro. Gente che per quattro soldi si alza la mattina per recarsi al lavoro e non tornare più a casa perché finisce sepolta in un cimitero dopo essere stata schiacciata da un macchinario o caduta da un’impalcatura.

Il problema è che si muore sempre più giovani. Anna Chiti aveva solo diciassette anni quando è morta annegata a Venezia durante una manovra d’attracco che non spettava a lei. Una strage degli innocenti che ogni giorno riempie le pagine della cronaca nera la quale parla di più di mille morti l’anno, con una media di tre morti al giorno. Come in una guerra silenziosa che non fa rumore come le bombe e le mitragliatrici in Ucraina o Palestina, ma che semina ugualmente lutti e dolore. 

La narrazione giornalistica è sempre la stessa. I lavoratori muoiono perché le norme di sicurezza non sono rispettate da imprenditori per cui il profitto vale più di una vita umana. Ma non è solo una questione di sicurezza. E’ anche una questione di produttività. Bisogna fare in fretta, rispettare tempi proibitivi, accelerare i lavori, bruciare le tappe e finisci nell’elenco dei caduti. Morte tua, vita mia. E’ lo slogan che bisognerebbe incorniciare alle spalle degli sfruttatori della manodopera. Si muore giovani, ma si muore anche avanti con gli anni. Era il primo giorno di lavoro per Massimo Mirabelli, un anziano uomo di settantasei anni di Livorno, costretto a tornare a lavorare come trasportatore per una lavanderia industriale perché la pensione non gli bastava. Lo ha ucciso un malore causato dallo stress lavorativo.

Dal canto loro, i media si limitano a dare notizia dell’ennesima vittima del profitto a tutti i costi con un breve trafiletto, dopodiché volta pagina e torna a dare spazio al piagnisteo degli imprenditori che pagano venti euro al giorno e che non trovano manodopera, lamentandosi dei giovani che preferiscono snobbare certe offerte e magari emigrare all’estero, piuttosto che lasciare la pelle in un sistema schiavista che ti espone a ogni sorta di rischi, sia precipitando da un'impalcatura di una casa in costruzione sia investito mentre trasporti cibo e pizze per due euro a consegna. 

Poi arriva il primo maggio e inizia la messinscena istituzionale. Il capo dello Stato parla di vergogna nazionale, si promettono maggiori controlli, si giura che la strage finirà e invece il giorno dopo tutto ricomincia. La gente muore come e più di prima e l’unica cosa che sa fare il governo è presentare una legge che riduce l’alternanza studio-lavoro a quindici anni. Così da far morire tutti prima, insegnando ai ragazzi che non è lo studio che conta, ma un ruolo da schiavista per cui conta solo il profitto.

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