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Un paese emergente di nome USA

E giunse il baccanale di dazi trumpiani. A strati, come le cipolle, causeranno gli stessi effetti lacrimogeni ai consumatori americani. Attenzione al rischio che il mondo sfiduci gli Stati Uniti: le conseguenze sarebbero drammatiche. 

Alcune considerazioni iniziali e ancora piuttosto a caldo sui super-dazi “reciproci” annunciati da Donald Trump, in attesa di capire se, quando e come la polvere si poserà e quale sarà il nuovo equilibrio di questo punto di caduta.

Dazio su dazio

La struttura della misura prevede un dazio “di base” del 10 per cento, a valere su tutte le importazioni da ogni paese. A cui si somma una “tariffa reciproca individualizzata” sui sessanta paesi con cui gli USA hanno il maggior deficit commerciale. Tale tariffa varia dal 10 al 50 per cento ed è frutto di un “complesso algoritmo”: il quoziente tra il deficit degli Stati Uniti e il totale delle importazioni. Il risultato finale è stato diviso per due, per permettere a Trump di dire che sono stati accomodanti e costruttivi nell’approccio.

La cosa più ingegnosa è che lo US Trade Representative ha preparato una sorta di documento metodologico dove cerca di spiegare come si è giunti a quei numeri. Un ingegnoso esercizio di reverse engineering, del quale segnaliamo i valori parametrici comunicati al pubblico: quello della elasticità al prezzo della domanda di importazioni è fissato a 4, in modo conservativo perché, si sostiene, in letteratura si riscontrano anche valori pari a 2. Poi, quello della elasticità dei prezzi all’importazione ai dazi, fissato a 0,25.

A parte questo aspetto, che fornisce una patina di rispettabilità “scientifica” a un’azione di bullismo dal notevole potenziale suicida, le misure sono decise in base agli ormai abituali “poteri di emergenza”, e tale presupposto giuridico sarà ovviamente sfidato nei tribunali.

Colpita soprattutto l’Asia: tasso reciproco per la Cambogia al 49 per cento, Vietnam 46, Laos 48, Sri Lanka 44, Madagascar 47, Myanmar 44. Ci sono delle esenzioni: Messico e Canada eviteranno le tariffe reciproche, per ora, mentre resteranno in essere dazi del 25 per cento sulle merci che non rispettano i termini degli accordi del trattato USMCA, ex NAFTA.

Quello che non tutti sanno, è che i paesi in surplus bilaterale saranno comunque colpiti da un dazio reciproco del 10 per cento. Su tutti, il Regno Unito. Sono quindi del tutto fuori luogo le manifestazioni di compiacimento da parte del premier Keir Starmer e anche della stampa anglosassone, che farneticano del ritorno della “relazione privilegiata” tra i due paesi. Pensate se tale relazione non ci fosse stata.

Fun fact: se prendessimo in considerazione i saldi commerciali bilaterali, l’Italia sarebbe ben più penalizzata rispetto alla tariffa reciproca applicata all’intera Ue. Per contro, la Francia “pagherebbe” meno.

Dietro le esenzioni

Saranno esentati da tariffe reciproche oro, energia e minerali non presenti negli Stati Uniti così come le schiveranno semiconduttori, farmaceutica, legname e rame, almeno per ora. Ma Trump ha già annunciato indagini che potrebbero portare a tariffe settoriali. A essere maliziosi si potrebbe dire che questi settori sono esentati perché colpirli accentuerebbe la debolezza geostrategica americana oppure perché sono stati molto abili col lobbying. Farei attenzione al settore farmaceutico, che peraltro se ne sta comodamente a eludere in Irlanda. Dubito che Trump non lo sappia.

Quali obiettivi di tale misura? Attirare produzioni negli Stati Uniti. Ma ci sono limiti fisici, logistici e di materiale umano, prima di raggiungere tale obiettivo. Le aziende non pianificano sugli umori di Trump al risveglio. Inoltre, resta la domanda: quanto tempo Trump riuscirà a resistere, di fronte alla devastazione che queste tariffe infliggeranno ai consumatori americani? Leggo commenti che traguardano il Midterm, a cui però mancano una ventina di mesi, cioè un’era geologica. Quindi lo lascerei fuori dall’equazione di scenario. Eviterei anche di fare paralleli con gli anni Trenta del secolo scorso: diciamo che, nel frattempo, il mondo è un filo cambiato. Soprattutto, sono cambiati i mercati finanziari, la loro velocità e la loro capacità di plasmare l’economia reale anche in modo vizioso e in tempi brevissimi.

Ci saranno ritorsioni da parte dei paesi colpiti, soprattutto da parte Ue? Questa è la domanda centrale. Se sì, il rischio è quello che la situazione precipiti rapidamente. Anche colpire il settore tech, dove gli americani hanno un surplus bilaterale, rischia di essere autolesionistico, vista la posta in gioco in termini di sicurezza. Pensate ai data center e al software.

Quello che abbiamo sin qui visto, soprattutto in Italia, è la corsa a chiedere protezione per il proprio settore. Ho anche letto, da parte dei rappresentanti dei settori, frasi prive di senso del tipo “La Ue tratti con fermezza”, che non è chiaro cosa vorrebbe dire. Mettere contro-dazi? In quel caso, tutti a piangere per il proprio settore. Ho una certezza: passeremo rapidamente da “la Ue ci protegga” a “la Ue ci ha danneggiati”, una volta decisi settori e ambiti di ritorsione.

I mercati e il dazio sulla fiducia

Uno sguardo ai mercati: il dollaro si comporta come una valuta emergente, perdendo quasi il 2 per cento contro le maggiori divise. Ma come, dirà qualcuno, i dazi non dovrebbero causare un rafforzamento del dollaro, come da libro di testo? Sì ma solo nel caso in cui non ci sia di mezzo l’ipotesi di una profonda recessione causata dalla universalità dei dazi medesimi. E infatti, anche il rendimento del titolo governativo decennale statunitense è sprofondato e ora è vicino al sotto il 4 per cento.

Sappiamo che il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, si è messo in testa di usare il rendimento del decennale come indicatore dell’efficacia di policy dell’amministrazione Trump. Forse serve che qualcuno lo informi che l’andamento di quel rendimento indica anche un crescente rischio recessivo.

Il mercato azionario cede ma non quanto ci si attenderebbe di fronte a dazi di questa entità. Forse si sconta il fatto che, alla fine, tra esenzioni che inizieranno a insinuarsi nella durezza della posizione di Trump e “accordi” bilaterali, ci sarà un rapido ridimensionamento della tariffa media che vediamo ora. Attenzione, se non dovesse andare così, il potenziale di ribasso è molto più elevato e aumenta col trascorrere del tempo.

Come finirà? Per finire, deve prima cominciare. E direi che malgrado tutto non siamo ancora a questo punto.

Alla radice di tutto, c’è una verità a cui non si possono imporre dazi: fintanto che gli Stati Uniti non risparmieranno abbastanza per finanziare il proprio investimento, saranno sempre costretti a prendere a prestito dal resto del mondo. Cioè ad avere un deficit commerciale. Sconvolgente, vero? E come si aumenta il tasso di risparmio statunitense? In primo luogo, eliminando il cosiddetto “risparmio negativo” (dissaving) causato dal deficit di bilancio.

In quel modo, si avrebbe anche un beneficio collaterale non da poco: i rendimenti sul dollaro scenderebbero, il dollaro si indebolirebbe. E vivrebbero tutti felici e contenti, almeno credo. Fin quando gli americani non inizieranno una vera lotta al deficit, il rischio è che questi movimenti folli da satrapia sudamericana producano deflussi di capitali, che causerebbero…dai che lo sapete. Gli USA come supremo paese emergente. Quello il cui collasso si porterebbe dietro il pianeta. Per tacere delle conseguenze non solo economiche ma sociali e civili. Come le omonime guerre.

E ora, si proceda con la più grande tassazione dei consumatori nella storia americana.

P.S. Detesto spiegare le battute ma l’immagine è una sorta di citazione multipla: un tributo al meraviglioso Devolved Parliament di Banksy, con aggiunta di un frutto -tipico di paesi emergenti- che simboleggia una peculiare forma repubblicana con un monarca (de)generato da un cupo scherzo della storia.

(Immagine creata con WordPress AI)

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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