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Le liberalizzazioni: una farsa tutta italiana

Mentre la politica discute sul problema delle liberalizzazioni, le associazioni danno il via alle proteste

Come sovente accaduto nella storia del "belpaese", ecco che in un momento di crisi, politici ed esperti vari si ricordano del problema delle cosiddette "liberalizzazioni": annosa questione che ha le radici nell'assurda situazione italiana in cui sopravvivono categorie professionali simili alle corporazioni delle arti e dei mestieri in voga intorno al XII secolo.

Quello che personalmente trovo scandaloso è che di questi problemi si dovrebbe discutere in situazioni normali, in modo da affrontarli con la serenità e la forza necessarie, e non solamente quando ci si ritrova con l'acqua alla gola in un periodo difficile: ma dato che la saggezza pare virtù in via d'estinzione accontentiamoci pure di parlarne adesso, ben sapendo che, in caso le problematiche cadano nel dimenticatoio, sarà ancora più arduo riproporle all'attenzione dei più.

Il caso delle farmacie è emblematico: la riforma proposta vorrebbe "aumentare il numero di medicinali disponibili nelle parafarmacie" (e già non si comprende perché queste benedette parafarmacie, gestite da laureati in farmacia come le farmacie normali, debbano essere così chiamate anziché esser parificate a tutti gli effetti alle farmacie), e di aumentare il numero di licenze per le farmacie (attualmente una ogni 3000abitanti) tramite l'indizione di concorsi: il che si tradurrebbe in un sostanziale mantenimento dello status quo, con un lieve "allargamento del mercato".

Se infatti non si comprende cosa giustifichi quella sorta di diritto divino dei possessori di licenze, ed in che cosa essi si differenzino dai farmacisti di serie b o parafarmacisti che dir si voglia, mi pare che indire concorsi nell'ambito della categoria sia ben differente dal liberalizzare il mercato.

Basti osservare il caso dei notai - altra categoria sotto i riflettori -, professione per cui i concorsi ci sono ma guarda caso vengono vinti per la maggior parte da figli di notai; forse perché anch'essi in possesso di qualche diritto divino rispetto agli altri aspiranti (fantastico il caso di un'intervista rilasciata anni fa alla rivista Panorama da un rampollo della famiglia Micheli, tal Michele Micheli, notai da 550 anni, da quando cioè Cristoforo Colombo aveva la tenera età di quattro anni, ed in cui con una sublime faccia di bronzo, dopo aver elencato una decina di familiari viventi tutti notai, nega con forza la statistica - forse una maldicenza ma mai smentita "dati alla mano" - secondo cui l'80% dei notai aveva, guarda caso, il padre notaio.)

Tornando al punto credo che la riforma proposta, per quanto apprezzabile negli intenti, non sia assolutamente abbastanza radicale da risolvere questo problema secolare: e farebbero sorridere, se non fossero un segnale del baratro in cui viviamo, le vivaci proteste delle associazioni di farmacisti, notai &C deflagrate al solo sentir nominare la parola "liberalizzazioni", soprattutto a fronte di riforme non certo epocali, così come farebbe sorridere il fatto che la prima categoria colpita sia stata quella degli edicolanti, se ciò non derivasse dalla mancanza di rappresentanti in parlamento.

Perché nella nostra bella Italia se non hai qualcuno che ti rappresenta ti prendono tutti a calci nel deretano, perché come per trovar lavoro devi essere in qualche modo raccomandato, così per tutelare i tuoi interessi hai bisogno di qualcuno "più in alto".

Eterna sorge la speranza, e muore rimanendo tale.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.234) 18 gennaio 2012 12:07

    Ahinoi, se continuiamo a guardare al dettaglio perdendo di vista il processo più profondo, si rischia di prendere abbagli.
    Non servono più taxi, servono più investimenti pubblici per costruire metropolitane, questi sono investimenti che creano ricchezza e posti di lavoro qualificati, il settore servizi non crea ricchezza, la sposta.
    Ciò che dovrebbe spaventare – ma ormai non più sorprendere – è che tra i politici e i mass media ben pochi osano mettere in discussione il teorema proposto dai grandi centri finanziari internazionali e dai loro rappresentanti nelle banche centrali: più liberismo = più crescita.

    Non è stato proprio questo modello a provocare la crisi?
    Ci è stato detto che le banche dovevano competere a livello internazionale, e quindi bisognava ridurre le regole per permetter loro di giocare con i derivati e investire nei comparti più rischiosi; che era necessario mettere i propri risparmi nei titoli azionari, per agganciare la grande volata delle borse.

    Ma la realtà è che il modello liberista cerca il guadagno facile nell’immediato, ignorando le conseguenze sulla popolazione a medio e lungo termine.
    www.nobigbanks.it

  • Di (---.---.---.172) 18 gennaio 2012 21:30

    Guardi lei tutto sommato ha ragione pero’ deve considerare che Monti é stato chiamato a fare il capo del governo ora e quindi solo ora puo’ mettere in pratica le sue idee. Quindi non se la prenda con il governo attuale.


    Secondo: io sono (come lei credo) dell’idea che liberismo debba significare che qualunque laureato in farmacia possa aprire una farmacia dove piu gli aggrada PUNTO! Parafarmacie, allargamento della fascia C, aumento del numero delle farmacie sono tutte fregnacce. 

    Il problema é che questo liberismo va introdotto si con determinazione, ma anche con gradualità. Si metta nei panni di chi 6 mesi fa ha contratto un mutuo di qualche milione di euro, da rimborsare in 20 anni per l’acquisto di una farmacia e contando sui guadagni a venire.

    Attraverso queste manovre (parafarmacie bla bla bla) il valore della farmacia andrà a ridursi gradualmente negli anni fino a rendere inutile questa ingiusta compravendita di una rendita di posizione e tra 10 - 15 anni si potrà arrivare a quanto da me auspicato (cioé che ogni laureato in farmacia possa aprire la sua farmacia)
  • Di (---.---.---.182) 18 gennaio 2012 22:16

    Raramente ho letto così tante sciocchezze concentrate in un unico articolo.

    E’ proprio vero, sul web si può leggere di tutto.
    Si arriva persino a ribaltare un dato, per cui l’80% di notai non "ereditari", diventa l’80% di notai figli di notai (che in realtà sono solo il 17% del totale).
    Se solo qualcuno avesse voglia di leggere i dibattiti in USA sull’opportunità di introdurre anche da loro un notariato di tipo latino, si renderebbe conto delle fesserie che vengono diffuse in Italia.
    Ma si sa, lo sport preferito dall’italiano è trovare sempre un capro espiatorio cui addossare tutte le colpe e le responsabilità.
    • Di martin (---.---.---.23) 20 gennaio 2012 15:08
      martin

      beh è vero che secondo l’Ordine dei notai è come dici tu, ma io riportavo solamente il dato dell’intervista che citavo (il giornalista chiedeva esattamente "è vero che l’80% dei notai è figlio di notai?" e l’altro non rispondeva), dicendo che poteva anche essere una maldicenza come pare essere.. Ma resto dell’idea che il 17% sia già troppo e non casuale (ed a proposito inserisco un commento preso da un forum in cui si dibatteva il problema e che mi pare emblematico:

      "Ciò che mi colpisce è il numero di notai figli di notai (17,5%). A prima vista può sembrare un numero anche basso, ma se ipotizziamo che in italia vi siano 6000 notai, vuoi dire che questi sono circa lo 0,01% della popolazione e quindi se la distribuzione fosse prettamente statistica mi aspetterei che i figli di notai si aggirino intorno a quella percentuale. Posso anche concepire che un padre notaio instilli la passione notarile al figlio e che magari vi possa essere addirittura una predisposzione genetica ma a passare da un 0,01% al 17,5% ci sono vari ordini di grandezza di differenza (rapporto di 1750 a 1) ed onestamente non so come spiegarmi la cosa"

      Ad ogni modo non mi pare tu abbia citato questo gran numero di sciocchezze che avrei concentrato in un unico articolo! Che il notariato in Italia sia un campo zeppo di privilegi è fuor di dubbio, per quanto riguarda farmacie e parafarmacie non mi pare di aver detto grandi corbellerie, ed inoltre liberalizzare in campo finanziario è una cosa, nel mondo del lavoro reale tutt’altra! Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio! Certo la finanza non deve (dovrebbe) mai esser totalmente slegata d’ogni controllo statale o sovrastatale, ma che gli Ordini professionali siano anacronistici, contrari ad ogni interesse della popolazione e forieri di orribili privilegi è verità assodata! Che poi nell’immediato per risolvere la situazione (ingiusta) ci possa essere chi ci perde anche ingiustamente è ovvio, ma credo che il particolare dovrebbe soccombere innanzi al generale, il problema di uno non può bloccare la soluzione di molti.

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