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L’ignoranza, la corruzione e la (dis)informazione

Un grande filosofo e logico come Bertrand Russell, suggeriva “l'arte di leggere i giornali con incredulità”. Sminuendo evidentemente il fatto che anche l'incredulità, al pari della superstizione, annoveri i suoi entusiasti.

La sua esortazione solleva un interessante interrogativo: chi dovrebbe essere delegato all'insegnamento di questa “arte”? Verosimilmente, toccherebbe all'autentico giornalista: vale a dire a colui dimostratosi capace di saper discernere e quindi di saper separare il grano dal loglio.

Un altro grande filosofo, Hegel, puntualizzava che “la preghiera del mattino dell'uomo moderno, è la lettura del giornale. Questo ci permette di situarci quotidianamente nel nostro mondo storico”; per poi precisare che “gli uomini e i governi non hanno imparato nulla dalla storia, né mai agito in base ai principii da essa dedotti”. Donde, la menzionata “preghiera del mattino”, si dissolveva in una melensa liturgia.

Sembra sia piuttosto radicata l'opinione che vorrebbe la mancanza di una fede necessariamente dipendente dalla decisa sfiducia verso qualcosa sulla base della fede in un'altra convinzione enfaticamente denominata “scetticismo”, ordinariamente inteso come esibizione di diffidenza e sospetto verso ogni verità e valore.

La resistenza nel credere; il fatto di assumere come opinabile e discutibile tutto il possibile e l'immaginabile, ripropone la consunta situazione di come “gli uomini siano portati a credere soprattutto in ciò che non capiscono”, secondo Montaigne, o, ancor più: “Gli uomini credono comunemente a ciò che vogliono sia vero”, come annotava puntualmente Giulio Cesare nel “De Bello Gallico”.

Siccome per Russell l'”arte di leggere i giornali” assurgeva a disciplina socratica, un atteggiamento conforme con quanto esposto indurrebbe, di conseguenza, a dubitare di ogni contingenza percepita come tale, e quindi di quel che la controparte non sa, ma che creda soltanto di sapere. Lo stesso assunto di “sapere di non sapere”, viene perciò a costituire di per sé una consapevolezza. Una verità evidente. Da non dubitare. Dimostrando così l'esistenza sia della coscienza, sia del vero. Dovrebbe essere questa la via dell'uomo “socratico”, il quale si protende verso la continua ricerca: perciò questa disciplina dovrebbe essere insegnata sin dalla più tenera età. Bisogna nel contempo rilevare come ciò non possa ottenersi quando gli insegnanti percepiscano esigui compensi: cioè contropartite economiche assai modeste rispetto agli agevoli introiti di certi fenomeni dello spettacolo. Ma non basta. Non si capisce come potrebbe farsi ascoltare dai suoi allievi un insegnante, versando nella oggettiva impossibilità di destare la naturale curiosità giovanile, quando essa venga completamente assorbita da altri stimoli che non solo non abbiano nulla da spartire con la scuola, ma che spesso le si pongano addirittura in antitesi. La scuola odierna è stata ormai delegata a svolgere una sola funzione: quella di sfornare una pletora di individui forse anche capaci di leggere, ma assolutamente incapaci di distinguere quel che meriti di essere letto. Per questo Russell insisteva sull'”arte di leggere i giornali con incredulità”.


Come completamento di questo ragionamento, Franz Kafka, aggiungeva: “Il giornale presenta gli avvenimenti del mondo, pietra accanto a pietra, lordura su lordura. Si tratta di un mucchio di terra e di sabbia. Che senso ha? Vedere la storia come un cumulo di avvenimenti non vuol dire niente. Ciò che conta è il senso degli avvenimenti: la percezione del valore degli eventi e dei processi, della loro natura e portata e quanto contano nel cambiamento”.

Indubbiamente, gli uomini nascono, amano e muoiono. Il modo in cui questo avviene è però sempre diverso. Perché all'uomo compete la facoltà di scegliere, nella consapevolezza di essere responsabile delle proprie scelte. Egli possiede inoltre una intelligenza capace di renderlo creativo.

Chissà cosa avrebbe pensato Russell qualora avesse conosciuto gli odierni giornali e soprattutto i telegiornali. Cosa avrebbe pensato degli attuali “ipocriti”? E' bene ricordare che nella tragedia greca, l'ipocrita era colui che sulla scena imitava e rappresentava anche la parte dell'attore principale: era colui che spiegava (krités) gli accadimenti dal di sotto (ypò). Proprio come fanno oggigiorno i replicanti destinati dai politicanti a manipolare la pubblica informazione. Ad accompagnare l'ipocrita c'erano i dodici coreuti (da khoros=dove si balla), che declamavano e danzavano intervallando l'azione scenica. Nella “Poetica”, Aristotele sosteneva che fu Eschilo a elevare “da uno a due il numero degli attori”, poiché originariamente ce ne era uno solo che recitava più ruoli: l'ipocrita, appunto, che, innalzato dal coturno e con il volto mascherato, indicava, commentava e complicava, con la fonetica e con la mimica, gli eventi della tragedia.

Oggigiorno, l'autentico ipocrita si individua nel giornalista televisivo: ossia in colui che interpreti o reciti più ruoli, mentre la schiera del coro gli tenga bordone. Ecco perché, a oltre duemila anni di distanza, l'informazione, soprattutto quella televisiva, riproponga il dramma (dràma=azione): una celebrazione di culto rituale e perciò invariabile nel suo stereotipo. Un dramma assolutamente privo di catarsi, reiterantesi monotonamente e attraverso il metalinguaggio dei massmediologi, tanto pedanti e presuntuosi, quanto mancanti della benché minima erudizione. Tale contesto non propone cultura, che per costoro è come lo era per Gobbels: appena ne sentono parlare, la mano che lui faceva scivolare verso la fondina, loro la usano per togliere la parola.

La tragedia antica evocava eventi luttuosi, terribili disgrazie, e non soltanto era vissuta, ma suscitava sentimenti di dolore, finendo in espiazione o in purificazione. Invece, quella odierna di tragedia, e quella televisiva più in particolare, è protesa verso l'affannosa ricerca della punta di ascolto: della percentuale delle persone che seguano un determinato programma in rapporto con il numero globale degli utenti che, in quel determinato frangente, abbiano il televisore acceso. Se a questo si aggiunge la possibilità offerta dal telecomando di procedere al repentino cambiamento di canale, commista con la ossessionante pubblicità, allora viene da domandarsi quando e come lo sprovveduto telespettatore possa seguire e comprendere un determinato programma. Praticamente, mai! Dal momento che la programmazione non sia destinata a essere compresa e assimilata, ma soltanto a risultare convincente e persuasiva. Purtroppo, in questo modo non si offre cultura: si propinano semplici suggerimenti commerciali.

In questo contesto, l'azione esperita dall'ipocrita viene accompagnata da ballerini, saltimbanchi e pagliacci, cui fanno da sfondo svestite veline e ignudi palestrati.

E' infine il caso di ricordare che anche Orazio riferiva di una “nuda veritas” non arrossente, cioè “nec erubescit”, come ricordava anche Tertulliano. La quale, per taluno, è anche “cruda”. Esattamente come nuda e cruda è la realtà sociale che ci affligge, che ci inquina, che ci droga e che ci avvelena quotidianamente.

Commenti all'articolo

  • Di Geri Steve (---.---.---.165) 20 giugno 2012 22:07

    l’articolo tocca argomenti importanti.
    Peccato però che il filo logico sia confuso da tante dotte e inutili citazioni in greco e latino.

    Oggi non abbiamo più un solo spettacolo a cui assistere nel teatro: abbiamo tanti giornali e tanti canali radio e televisivi; sarebbe da indagare sul perchè queste moltitudini, differenze formali a parte, presentino ancora un solo spettacolo, come accadeva duemilacinquecent’anni fa in quell’unico teatro...

  • Di Geri Steve (---.---.---.165) 20 giugno 2012 22:09

    l’articolo tocca argomenti importanti.
    peccato che il filo logico sia confuso da tante dotte e inutili citazioni in greco e latino.

    Oggi non abbiamo più un solo spettacolo a cui assistere nel teatro: abbiamo tanti giornali e tanti canali radio e televisivi; sarebbe da indagare sul perchè queste moltitudini, differenze formali a parte, presentino ancora un solo spettacolo, come già accadeva duemilacinquecent’anni fa in quell’unico teatro.

  • Di Piero Tucceri (---.---.---.56) 21 giugno 2012 09:01

    Quelle "citazioni" a me non sembrano invece "dotte e inutili", perché, di fronte all’ignoranza che si palpa in giro, esse sembrano tali, ma in realtà servono a far capire meglio e ad attualizzare l’argomento. Comunque, se la pensi così, rispetto la tua opinione. Grazie per il commento.

  • Di Piero Tucceri (---.---.---.56) 21 giugno 2012 12:37

    Caro Geri, alla prova di maturità hanno assegnato...Aristotele. Questo non ti suggerisce niente?

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