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Dall’empirismo allo scientismo

La storia della medicina è purtroppo scandita da contingenze suscettibili di testimoniarne il drammatico percorso. Quella odierna, può precisarsi come una medicina fenomenologica, la quale viene, più semplicemente, definita scientifica, o, ancor meglio, scientista.

Essa affonda le proprie radici in una fra le più raccapriccianti sciagure della storia e della quale residua una traccia capace di far ricordare la portata dello scontro consumatosi fra due linee di pensiero articolate, rispettivamente, sull'unità psicosomatica della persona e sulla dissociazione della stessa in un soma e in un nucleo emozionale.

Tale scontro, risalente al periodo feudale, coinvolse soprattutto le donne portatrici della tradizione medica popolare, le quali furono mandate al rogo con l'accusa di essere streghe. Quel delirio collettivo segnò il declino di un pensiero medico e filosofico incentrato sulla priorità dell'unità psicofisica ed emozionale della persona, secondo la quale la malattia non si annichilirebbe in un arido corteo sintomatologico, ma coinvolgerebbe anche e soprattutto la componente psicoaffettiva della medesima.

Nei roghi delle streghe, periva anche quella antica concezione medica, la quale poneva la salute dell'essere vivente nel contesto di un delicato equilibrio contemperante le esigenze specifiche unitamente con le concrete possibilità di realizzarle offerte dalla contingenza socioantropologica. Con le streghe moriva anche la concezione umana della medicina, lasciando spazio all'essere vivente inteso come macchina e quindi all'uomo tecnologico: vale a dire, all'individuo concepito come un insieme di organi e di apparati in reciproca dinamicità.

La rottura dell'unità psicofisica ed emozionale modulava la concezione scientifica che andava stratificandosi. Per essa contava esclusivamente il soma, perché misurabile e quantificabile. La componente emozionale della persona veniva abbandonata alle pseudocompetenze del clero e dei consolatori di professione. In quel modo, l'attitudine scientifica posta alla base dell'emergente concezione medica, si limitava alla descrizione delle variazioni condizionanti un sistema biologico in relazione con un altro di riferimento assunto come normale. Ne conseguiva che un determinato sistema biologico veniva considerato in condizioni di equilibrio o comunque in condizioni prossime a esso. Per cui, la transizione fra diverse condizioni dinamiche, poteva conseguire soltanto per perturbazioni esogene: ecco perché si diffondeva nella disciplina medica l'ossessiva ricerca di una causa esterna delle malattie, la quale poteva identificarsi in un virus, in un batterio o in altro capace di produrre comunque quella oscillazione. Vista in quell'ottica, ogni malattia doveva necessariamente riconoscere un responsabile esterno capace di incidere sul fisiologico equilibrio di un determinato sistema biologico. Quando invece, al fine di poter studiare e comprendere il divenire di un organismo vivente, è inderogabile procedere alla integrazione della sfera emozionale con quella somatica. Solo che, per poterlo fare, è necessario recuperare la medicina primitiva o popolare: bisogna, cioè, recuperare il mondo delle “streghe” nell'algido tempio della “scienza”.

L'organismo vivente, non è costituito da un semplicistico assemblaggio di organi e di apparati in una mera reciproca interazione, ma si offre come un dinamico sistema biologico condizionato da variabili endogene ed esogene. La condizione necessaria per il mantenimento di tale relazione si apprezza nel fatto che detto sistema possa dissipare all'esterno l'energia derivante dal proprio metabolismo.

La presentazione di un ostacolo a tale dissipazione energetica costituisce pertanto la premessa per la comparsa della malattia, atteso che l'organismo vivente debba cercarsi costantemente canali idonei all'assolvimento di tale compito. Ecco perché la malattia si propone come la risultante dello scontro fra due forze contrarie: da una parte, si pone l'energia prodotta dall'individuo e dall'altra la difficoltà incontrata nella sua dissipazione.

Il criterio restrittivo della patologia, derivante dalla adozione di apposite valutazioni morfofunzionali, può soltanto prendere atto degli effetti prodotti dalla interazione di una contingente precarietà. Perciò esso non consente di poter derivare informazioni utili capaci di rendere conto della portata dello scontro in corso, né, tanto meno, sulle passioni che lo abbiano determinato: infatti, la negazione della portata emozionale cristallizza la malattia in una tipizzata e impersonale entità nosologica.

Il conflitto fra questi due mondi dipende dall'interruzione delle connessioni ricorrenti tra il corpo libidico e il corpo somatico. La negazione del corpo libidico priva l'organismo del suo motore. Non a caso, esso si modella sin dalla primissima infanzia in funzione della storia emozionale dell'individuo, e, ancor più, sulla base di quella fondamentale forma di comunicazione preverbale, conosciuta come “dialogo tonico”, attraverso la quale, sin dall'infanzia, viene acquisita una conoscenza emozionale o libidica del proprio corpo e dei singoli organi. Così che il soma diventi una sorta di mosaico dei ricordi che saranno poi evocati per risonanza sulla base delle specifiche esperienze di vita.

Proprio grazie al dialogo tonico, il bambino registra le emozioni provate. Poi, quando nel corso della vita gli capita di non riuscire a esprimere appropriatamente una determinata emozione, allora essa risuona sull'organo corrispondente il quale esprime la sua sofferenza attraverso un determinato corteo sintomatologico. Ecco come la malattia stabilisce un corto circuito fra l'esigenza emozionale e il linguaggio dei relativi organi.

 

Immagine, da:

https://attivismo.info/lo-scientism...

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