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La salute e la malattia

Sempre più ostinatamente si sente parlare di salute e di malattia. Ne consegue però soltanto una soporifera litania, la quale risulta essere ben lungi dalla loro autentica accezione: infatti, normalmente, il significato di salute si confina nella mera assenza della sintomatologia di una specifica malattia, quando invece essa dovrebbe riguardare le più eterogenee potenzialità della singola persona.

Attraverso i suoi odierni sacerdoti, pesantemente condizionati dalla rispettiva settorialità formativa, la medicina si conferma incapace di superare una proposta di salute intesa come semplicistico ripristino di una condizione di assenza della malattia. Penalizzando così il desiderio di salute inteso nella completa espressione di potenzialità nei confronti di sé stessi e dell'ambiente circostante.

E' indiscutibilmente essenziale conseguire il recupero di un arto o di una qualsiasi altra funzione dell'organismo; ma è ancora più importante capire il senso profondo della vita, della malattia e della morte. Diversamente, il concetto di malattia si annichilisce nel modesto significato di opposizione alla salute, e viceversa. Stabilendo così un circolo vizioso escludente la globale situazione del malato. Atteso che, venendo meno la salute, normalmente manchi anche il senso della vita. Per questo, la domanda di salute si impone come imperativo inerente il senso della persona. Mancando questa presa di coscienza, viene meno anche la fiducia in sé stessi, la quale infirma alla radice ogni concreta possibilità di guarigione: non esiste, infatti, una autentica guarigione capace di prescindere dalla attivazione della forza autoguaritrice presente in ciascun individuo. Non a caso, essa si attiva soltanto nel momento in cui la persona abbia compreso i valori che la costituiscano fisiologicamente, ontologicamente e moralmente. Altrimenti, riducendo l'individuo malato a semplice luogo di espressione di una determinata sintomatologia e quello sano al ruolo di asintomatico, si tratterebbe di guarigione o di palliazione?

La società odierna sembra aver smarrito il senso della malattia e della guarigione. L'uomo risulta essere ormai sempre più soggiogato dagli automatismi medici suscettibili di fargli smarrire la propria memoria e, con essa, la propria storia. Quando invece si impone prioritariamente il fatto che le cause delle malattie debbano essere ricercate nel singolare rapporto intrattenuto dall'individuo con l'ambiente: quindi, con un individuo non diviso in sottosistemi, ma in piena armonia con le leggi della natura.

Eraclito, nel V sec. a. C., sosteneva che lo sviluppo del mondo si riconducesse alla dinamica evoluzione dell'equilibrio ricorrente tra forze contrarie. Quasi contemporaneamente, Lao Tze gettava le premesse filosofiche di un assunto destinato a riscontrare uno sviluppo ancor più profondo di quelle idee. Egli, infatti, così si esprimeva: il Tao genera l'Uno, che comprende il Due; il Due si manifesta come Tre. Da cui “derivano i Diecimila Esseri” ( Lao Tze, Daodejing, cap. XLII).

Questa concezione filosofica conoscerà un punto d'incontro con la cultura occidentale soltanto attraverso l'evoluzione del pensiero scientifico del XX secolo. Si deriva così come il Tre simboleggi il Cielo, l'Uomo e la Terra, quali manifestazioni della creazione. Ma una manifestazione può prodursi soltanto dove l'Uno, e quindi l'Energia, si esprima direttamente come Due e quindi come energia più concentrata. Questo si apprezza meglio nella materia intesa come massa e quindi come energia meno manifesta. Un così virtuale paradosso concettuale e linguistico lo ritroviamo nella fisica, e ancor più nella fisica quantistica, attraverso la nota equazione riferita alla “Derivazione relativistica di Einstein”, la quale scandisce il momento di separazione dalla fisica classica attraverso l'equiparazione della materia con l'energia.

Secondo questa concezione, l'Universo nelle sue più eterogenee manifestazioni, non comprende altro che strutture energetiche la cui differenza fenomenologica si apprezza attraverso il rapporto relativo ricorrente fra la materia e l'energia. L'uomo è naturalmente partecipe di questa dialettica dell'Universo. Di cosa egli sia fatto, lo troviamo del resto specificato nel “Neijing”, un classico della medicina cinese risalente al IV sec. a. C.: “La nascita è una condensazione di energia, la morte una dissociazione di materia”. Il che comporta una visione del rapporto uomo/ambiente e della medicina diverso da quello derivante dalla costruzione del sapere medico condizionato dalle nozioni fornite dalla fisica classica. Per cui, la medicina di qualsiasi organo, come per esempio il cuore o il cervello, attraverso la terapia rivolta allo stesso avulso dalla “sinfonia degli organi”, altro non è che la inequivocabile conseguenza di tale premessa.

L'uomo muta in armonia con i sistemi di riferimento, con i ritmi ambientali e con le energie cosmiche. La cronobiologia insegna che il trascorrere del tempo modifichi profondamente le reazioni del corpo umano. Questo si dimostra fondamentale in un contesto medico sempre più affannato nella ricerca di una patente di scientificità capace di liberarla dal frustrante angolo nel quale il suo oggetto d'amore, l'uomo/malattia, appare sempre più unico nella sua peculiarità nello scorrere del tempo.

 

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