L’Iran e la “Siria utile”
Con l’aiuto militare dell’Iran il regime del presidente siriano Bashar al Asad sta accelerando l’evacuazione dei sobborghi sunniti assediati intorno a Damasco. Il 27 agosto, le forze di Bashar al Asad sono entrate a Daraya, poco più di tre chilometri dal centro della capitale, dopo aver convinto i circa 8 mila abitanti rimasti ad andarsene. Questo mentre il Segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov continuavano a cercare un accordo per la cooperazione militare e una cessazione delle ostilità in tutta la Siria.
(di Hanin Ghaddar*, per The Washington Institute. Traduzione dall’inglese di Claudia Avolio).
Quello di Daraya non è un caso isolato. Il regime ha iniziato a negoziare accordi simili con altre aree sunnite assediate intorno a Damasco per proteggere la capitale e il palazzo presidenziale dai ribelli che potevano usare quelle città come punti di accesso. Eppure il fatto che le milizie sponsorizzate dall’Iran siano pesantemente coinvolte negli assedi dice molto sull’interesse di Tehran a stabilire il controllo su quelle città, definibili parte della “Siria utile” (cioè la Siria controllata da Asad) e la più ampia mezzaluna sciita a cui la Repubblica Islamica dell’Iran ha da tempo dato priorità nella regione.
“O LA RESA O LA GUERRA”, UNA TATTICA. Gli abitanti di Daraya, sotto assedio per 4 anni, hanno lasciato la città dopo i pesanti bombardamenti del regime e le condizioni umanitarie in deterioramento. La tattica di Asad nota come “o la resa o la morte per fame” applicata nella regione pare aver obbligato molti ribelli ad arrendersi in cambio di beni di prima necessità come cibo e medicine.
Appena Daraya si è arresa, il regime ha iniziato a minacciare gli abitanti di Muaddamiyya nei sobborghi di Damasco e del quartiere di al Waar (Homs) con una “guerra totale”, come riportato il 31 agosto dal quotidiano con base a Beirut, NOW. Asad sembra passare dalla tattica “o la resa o la morte per fame” alla tattica “o la resa o la guerra”, per eliminare ogni presenza sunnita attorno a Damasco il più presto possibile.
È probabile che questa strategia demografica – nella quale i sunniti vengono spediti nella Siria del nord mentre il regime riacquista il controllo dei sobborghi della capitale – non si fermerà ad al Waer. Il resto dei sunniti nella Ghuta, a Zabadani, a Madaya, a Yarmuk e in altre zone attorno a Damasco alla fine saranno altrettanto costretti ad andarsene.
Questa settimana, NOW e il quotidiano panarabo ash-Sharq al Awsat facevano notare come delle famiglie irachene “soprattutto dalle province meridionali abitate da sciiti” siano state trasferite in Siria per ripopolare i sobborghi di Damasco di recente evacuati. Secondo quanto riportato, Harakat Hezbollah al Nujaba, una forza paramilitare irachena sciita vicina all’Iran, avrebbe supervisionato l’insediamento di 300 di queste famiglie, a cui sono state date case e 2 mila dollari ciascuna.
Mutamenti demografici del genere non sono nulla di nuovo: durante la sua presidenza il padre di Bashar al Asad, Hafez, si diede da fare per popolare di alawaiti e altre minoranze Damasco e le città intorno. Ad esempio, nel 1947 “solo 300 alawiti vivevano a Damasco (su circa 500 mila abitanti dell’area metropolitana)”, ma nel 2010 quella cifra era lievitata “a più di 500mila alawiti (su circa 5 milioni dell’area metropolitana), o un quarto della comunità alawita in Siria. Vivevano dunque più alawiti a Damasco che in ogni altra città siriana”.
Bashar al Asad sembra ora avviare una escalation rispetto alla strategia di suo padre Hafez nel regno della pulizia etnica.
IRAN. UN QUADRO PIU’ AMPIO. Se la strategia demografica di Asad punta ad aiutare il regime a mantenere il controllo su Damasco, l’Iran e le sue milizie proxy vengono altrettanto investite nel processo. Tehran spera che gli accordi con le città sunnite assediate amplieranno la sua strategia per una “Siria utile”, strategia che prevede ritagliarsi il controllo su un corridoio che collega la regione costiera della Siria alle roccaforti di Hezbollah in Libano.
Come principale forza proxy sciita dell’Iran, Hezbollah ha già condotto una propria pulizia etnica in alcune zone del confine (si vedano le campagne del 2013 a Qusayr e nell’area del Qalamun). Inoltre, centinaia di migliaia di sunniti sono stati evacuati da Homs tra il 2011 e il 2014, quando un accordo è stato infine messo a segno con le forze del regime, dopo che il lasciar morire di fame aveva raggiunto livelli terrificanti.
Uno dei risultati di questi sforzi è che il corridoio che collega il Qalamun a Damasco, Homs e l’enclave alawita potrebbero presto essere prive di sunniti. Oltre a fare da scudo alla capitale dalle forze anti-Asad a maggioranza sunnita, questo sviluppo darebbe a Hezbollah accesso sicuro alle Alture del Golan, permettendo potenzialmente al gruppo di aprire un altro fronte contro Israele. Anche l’Iran potrebbe usare la sua stretta fattasi più salda sulla Siria e sul Libano per progettare un maggior potere contro Israele, che sia sostenendo Hezbollah nel Golan o incrementando il suo aiuto a gruppi palestinesi come Hamas.
In effetti, questo corridoio dovrebbe essere visto in un contesto regionale – collegherebbe Iran, Iraq e la quasi completa “Siria utile” fino alla Valle della Beka’a e la roccaforte militare meridionale di Hezbollah in Libano, rendendo così completa la mezzaluna a controllo sciita di Tehran. (Anche se non ci sarebbe un collegamento territoriale tra questa parte della Siria e l’Iraq, preservare governi supportati dall’Iran a Baghdad, Damasco e Beirut permetterebbe a Tehran di creare una contiguità politica sufficiente a fargli realizzare i suoi obiettivi).
Dato quanto sangue, quanti soldi e quanto capitale politico è stato già speso in Siria, l’Iran non cambierà questo piano tanto facilmente, incurante di quanto gli Stati Uniti e la Russia siano o meno d’accordo. Tehran potrebbe limitare il suo scopo a proteggere il corridoio, ma non lascerà la Siria. Ha perseguito una soluzione militare sin dall’inizio, e tale soluzione è ancora la sua scelta primaria.
GUARDANDO AVANTI. Il piano comporta certo molte sfide. Anche se la comunità internazionale si è mostrata poco interessata a prevenire la formazione di un corridoio iraniano, Tehran ha comunque il compito di aiutare Asad, prima nel sottrarre terreno alle fazioni dei ribelli armati, e poi nel farle ritirare. In senso più ampio, la mezzaluna iraniana sarebbe circondata da un mare di sunniti, una più intensa retorica confessionale e una maggiore animosità verso gli sciiti. Tutto ciò renderebbe le aree controllate dall’Iran vulnerabili e difficili da mantenere.
Per assicurarsi in toto il suo corridoio, dunque, l’Iran dovrà imporre una sorta di buffer zone regionale. Fuori dalla Siria, è probabile che cercherà di rafforzare il controllo sulle istituzioni statali libanesi per assicurarsi che nessuno attenti alla sua egemonia. Si sforzerà poi di aumentare il controllo nella zona della Beka’a, facendo sì che la popolazione sunnita locale si arrenda al controllo di Hezbollah. Al contempo, cercherà di rafforzare il controllo sulle istituzioni statali e religiose dell’Iraq, imponendo nell’area anche le sue milizie sciite come realtà politica.
Ciò significa che le milizie dell’Iran, compreso Hezbollah, dovranno restare dispiegate su diversi fronti per proteggere la mezzaluna: in Libano, Siria, Iraq e ovunque ce ne sia bisogno. Tra le altre conseguenze, un dispiegamento così indefinito creerà probabilmente maggior scontento alla base che sostiene Hezbollah in Libano.
Nessuna di queste conquiste sarà ottenuta facilmente, ma l’attuale sforzo per rendere Asad ben saldo al timone della zona di Damasco di certo aiuterà. Ed è probabile che nessuna delle sfide elencate impedirà alll’Iran ed a Hezbollah di garantirsi il corridoio, visto che non possono permettersi di mettere a rischio il proprio collegamento geografico e la sfera di controllo regionale.
Anche mentre Mosca e gli Stati Uniti discutono di un accordo per il cessate il fuoco, gli aerei russi continuano a bombardare le zone controllate dai ribelli, e i foreign fighters dell’Iran continuano a entrare e uscire dalla Siria a loro piacimento. Il Consiglio di Cooperazione del Golfo teme che a Tehran sia stata data carta bianca per raggiungere i propri obiettivi, e che Asad stia ottenendo più potere in modo graduale e costante.
Dunque, una soluzione che non riconosca i pericoli dell’egemonia regionale iraniana non funzionerà, soprattutto se Asad restasse al potere. La maggioranza degli abitanti della regione sono sunniti, e non accoglieranno bene la prospettiva di un regime alawita feroce che detenga il controllo in Siria, né di una mezzaluna iraniana sciita che inglobi diversi Paesi.
In circostanze simili, le crepe confessionali finirebbero solo per allargarsi, e altri sunniti potrebbero andare verso gruppi estremisti che promettono soluzioni più sanguinarie. È probabile che lo Stato Islamico e l’affiliata di al Qaida, Jabhat al Nusra (oggi Jabhat Fath ash Sham, ndr) sopravvivrebbero in un modo o nell’altro, coltivando minacce terroristiche costanti all’interno di questi Stati dominati dall’Iran.
Una soluzione politica per la Siria – che sia presentata in modo congiunto da Stati Uniti e Russia o dall’inviato ONU Staffan de Mistura, il quale il 1° settembre ha detto che intende proporre una “iniziativa politica piuttosto chiara” – dovrebbe essere comprensiva e giusta. Dovrebbe anche prendere in considerazione il contesto regionale, principalmente in Iraq e Libano. Altrimenti, la guerra confessionale in Siria potrebbe divorare l’intera regione.
*Hanin Ghaddar è una giornalista e ricercatrice libanese, già capo redattore della rivista online NowLebanon.
A questo link si possono leggere alcuni dei suoi articoli più recenti.
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