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Il melodramma: nato e "ucciso" in Italia?

Ricordo di Claudio Monteverdi, inventore dell melodramma e uomo libero

400 anni fa, nel 1610 dunque, venne scritto ed eseguito il “Vespro della Beata Vergine", una delle opere di musica sacra più innovative della musica occidentale

 

Il musicista che compì questo miracolo era italiano, da alcuni musicologi tedeschi viene considerato il più grande compositore occidentale, ma in Italia non è molto conosciuto, si tratta del cremonese Claudio Monteverdi. Visse a Cremona poi a Mantova infine a Venezia tra il 1567 e il 1643. Già in vita il suo talento fu riconosciuto a livello internazionale

Il Vespro venne offerto al Papa.

Il musicista, che a Mantova non era abbastanza valorizzato e anche remunerato, sperava che grazie all’opera sublime sarebbe stato invitato al servizio del Papa, ma ciò non avvenne: l’opera fu ammirata, ma Monteverdi rimandato a Mantova dei Gonzaga.

Monteverdi è fondamentale per la storia della musica perché di fatto fu l’iniziatore dell’opera lirica, del melodramma. Di lui ci restano tre opere complete: “Orfeo”, “Il ritorno di Ulisse in patria” e “L’incoronazione di Poppea”.

Volevo scrivere del Vespro per ricordare Monteverdi, il mio grande amore musicale, ma mi rendo conto che scrivere dell’inventore dell’opera lirica è di un’attualità sconcertante.

Non discuterò del progetto Bondi, contro i cui tagli (perché questo governo quando taglia parla di riorganizzazione? Nella scuola è così, a quanto pare anche nel mondo della lirica!) si scagliano tutti i teatri d’opera, tutti i musicisti, persino direttori di fama internazionale come Zubin Mehta.

No, vorrei parlare ancora di Monteverdi la cui vicenda diventa oggi metafora della situazione dell’artista.

Monteverdi a Mantova non solo non venne riconosciuto, ma dovette sempre insistere per avere il suo stipendio, per essere pagato, avere i fondi (diciamo) con cui mantenere sé e i figli (rimase infatti vedovo molto presto). Fu sottoposto, lui, il più grande, ai capricci d’un signore, d’una famiglia, i Gonzaga, che dopo molti anni lo licenziarono su due piedi. Per fortuna sua (ma anche nostra) Monteverdi trovò non solo un nuovo impiego, ma l’onore che meritava nella Repubblica di Venezia.

E quando, dopo qualche anno e con un nuovo Principe, i Gonzaga gli chiesero di tornare rispose con un rispettoso, ma secco rifiuto perché impagabile era a Venezia la sensazione non solo della sicurezza economica, della dignità riconosciuta, ma anche l’ebbrezza della libertà...

Ecco la differenza fra un principe capriccioso, che non sa tenersi i suoi talenti, e uno stato libero che valorizza i suoi artisti, ricavandone merito imperituro.

Magari questo governo (e tutti i governi di tutto il mondo) dovrebbe ripassare la storia di Monteverdi: questa è a lieto fine per fortuna.

Speriamo sia un augurio anche per l’arte e gli artisti italiani.

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