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Il Nobel a Patrick Modiano. L’accademia di Svezia ci ha trollato di nuovo

 
Qualche anno fa (doveva essere il 2008) creai un gruppo su Facebook: "PNAC: Premi Nobel A Casaccio". Ovviamente si trattava una piccola provocazione per il modo in cui l'Accademia di Svezia, che dal 1895 nomina l'autore "che si sia maggiormente distinto per le sue opere in una direzione ideale", assegnasse il premio per la letteratura. Quell'anno venne dato ad uno scrittore francese, Jean-Marie Le Clézio. Non proprio un perfetto sconosciuto, ma neppure il rappresentante più illustre delle lettere francesi. 
 
Ricordo che la cosa creò un po' di scompiglio al dipartimento di francesistica. L'ultima opera davvero brillante di Le Clézio risaliva al 1963 (era la sua opera prima, tra l'altro); uno spumeggiante testo d'avanguardia che aveva un titolo volutamente ambiguo: Le Procès-verbal (Il Verbale). Abbandonata la scuola del nouveau roman negli anni '70, lo scrittore originario delle Mauritius si era dedicato più che altro al viaggio, al mito e all'autobiografia, con alterna fortuna. Lodevoli, senza dubbio, i suoi tentativi di sprovincializzare la letteratura francese, "per una letteratura-mondo in francese", con l'invito ai suoi colleghi a lasciarsi colonizzare da popoli e culture che la Francia ha colonizzato per secoli. Tentativi lodevoli ma extra-letterari, e anche un po' naif. Le Clézio viene visto un po' come un "simpatico boy-scout" che ce la mette tutta, ma non sempre ce la fa. Non certo degno di un nobel.
 
Oggi, sei anni dopo, il Premio Nobel per la Letteratura è stato assegnato ad un altro scrittore francese (il quindicesimo): Patrick Modiano. Lui sì, è il caso di dirlo, perfetto sconosciuto al di là dei confini nazionali. Autore di numerosi best-seller in patria, Modiano è certamente uno scrittore elegante e raffinato, dalla prosa levigata. Anche un po' palloso, se proprio vogliamo dirla tutta. Una delle critiche più frequenti che gli viene rivolta è di scrivere sempre lo stesso romanzo: un amarcord familiare sugli anni dell'Occupazione e del secondo Dopoguerra. Poco tradotto e poco conosciuto fuori dalla Francia, Modiano resta un autore francese, che piace molto ai francesi ed è difficilmente esportabile. "Modiano, alla fine, è un Simenon senza Maigret". Solo che Simenon il nobel non l'ha mai vinto, anche se probabilmente lo meritava di più. E' o non è, Modiano, un romanziere da Nobel? Non, évidemment. Come non lo era Le Clézio - o tantomeno Claude Simon, tornando indietro al 1985, al terzultimo francese della lista. "Quei due là dimostravano per bene i gusti abituali della giuria del Nobel in materia di letteratura: o la sperimentazione snob ed elitista, o i buoni sentimenti mondializzati", scrive il giornalista Robert Ménard. 
 
Gusti o non gusti, la cosa paradossale, nella volontà di far assurgere uno scrittore come Modiano all'Olimpo delle lettere, è che se nel resto del mondo ci si chiede "Modiano? E chi cavolo è?" (con tanto di battute tristi sulle carte da gioco prodotte dall'industria omonima), in Francia la decisione degli svedesi viene giudicata troppo mainstream. Qui, in effetti, vende tantissimo e viene letto un po' da chiunque. Passeggiando per Parigi nei giorni scorsi, trovavate le vetrine di tutte le librerie affollate dal suo nuovo romanzo con apposita bandella che recita solamente MODIANO, in un eloquente maiuscolo. E questo prima del Nobel; non oso immaginare cosa stiano tramando alla Gallimard in questo momento.  
 
 
Le modalità per le quali l'Accademia di Svezia scelga i suoi candidati restano segrete, ma quel che è certo è che c'è di mezzo tanta, tantissima politica. Solo per fare qualche esempio: l'avversione degli svedesi per gli Stati Uniti - e quindi, a cascata, per gli scrittori americani - è cosa stranota. Nonostante gli USA si siano aggiudicati il premio 11 volte (12, se si considera T.S. Eliot, naturalizzato inglese), non lo vincono dal lontano 1993 e questo per chiara ammissione da parte della giuria. Nel 2008 l'allora segretario generale dell'Accademia, Horace Engdahl, disse che "gli scrittori statunitensi sono troppo provinciali e ignoranti per competere con l’Europa quando si parla di opere di alto livello". Engdahl fu costretto a dimettersi poco dopo, ma la musica non è cambiata. L'anno scorso, quando fu premiata la canadese Alice Munro, al coro usuale di critiche gli svedesi risposero qualcosa tipo "e vabbè, anche il Canada è in America, no?". Non stupisce, quindi, che gli americani si sentano "trollati" dall'Accademia di Svezia. 
 
Ogni anno è sempre la stessa storia, con baraccone a seguito: i pronostici, le candidature assurde, la proclamazione più o meno (ma di solito più) inattesa, a volte proprio incredibile, i giornali italiani che fanno a gara per copincollare da Wikipedia (senza che nessuno, per una volta, abbia il coraggio di scrivere un pezzo dal titolo "Mr X Premio Nobel per la Letteratura: non abbiamo idea di chi sia"). I fan di Philip Roth si mettano il cuore in pace: lui, il premio, non lo vincerà mai. Soprattutto ora che è andato in pensione. E la cosa probabilmente neppure gli interessa, quindi fatevene una ragione.
 
Piuttosto, per l'anno prossimo tifiamo tutti insieme Alessandro Baricco, che visto l'andazzo non si sa mai. 
 
 
 

 

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