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I primi miracolosi 100 giorni del signor M. E la sensazione che ne verranno molti altri...

Lo confesso, sono di parte. E la mia parte è la stessa dei milioni di cittadini che oggi scelgono di non tifare più per ciò che sa di vecchio, schierandosi invece coi progetti davvero utili e necessari al Paese e con gli uomini che hanno il coraggio di portarli avanti senza tentennamenti e infischiandosene del consenso ad ogni costo.

In fondo, ammettiamolo: solo qualche settimana fa avremmo forse immaginato che a distanza di poco tempo il Presidente del Consiglio italiano sarebbe stato accolto in giro per il mondo a suon di ovazioni e con applausi da sperticarsi le mani, e perfino indicato come un esempio politico - e sottolineo politico - decisamente da emulare nelle cancellerie europee?

In appena tre mesi l'Italia è cambiata radicalmente. E' come se fosse caduto un muro che costringeva la società a dividersi artatamente in buoni e cattivi, determinando una serie di reazioni a catena destinate a spazzare via per sempre le logiche che hanno a lungo dominato la politica e la stessa vita civile nazionali.

Anche se va riconosciuto che proprio in questo momento, ora che il benefico clima di rinnovamento inizia a percepirsi in modo netto e pare essere accolto con favore dalla stragrande maggioranza dei cittadini, occorre non adagiarsi e continuare ad operare affinché le tossine e le incrostazioni dell'obbrobrioso contesto alle nostre spalle cessino quanto prima e definitivamente di agire pure sotto traccia. Ci vorranno tanta determinazione e una ferrea capacità di resistere alle tentazioni, sempre in agguato, di procedere come il gambero. Sì, serviranno anni, e quindi ancora uomini capaci e dotati di lungimiranza e buon senso.

In estrema sintesi e chiarezza è auspicabile che si passi dal governo del Presidente, quale quello di Monti evidentemente è, al partito del Presidente. Nel senso che se davvero si vuole evitare che l'efficace azione dell'attuale esecutivo venga poi di nuovo stravolta o vanificata dal rientro nella stanza dei bottoni delle solite facce della foto di Vasto, o degli showman da predellino riveduti e corretti, è necessario trasformare la giusta piattaforma montiana in progetto politico. Progetto prima ancora che identità e a prescindere da cosa lo stesso Monti deciderà di fare nel 2013.

E' del tutto evidente, infatti, che non basta semplicemente passare dall'enfasi del berlusconismo a quella del montismo per rimuovere in automatico le tante anomalie che caratterizzano il sistema Italia. L'approccio che abbisogna è di tipo culturale, e in quanto tale non può che essere trasversale ai contenitori politici per come li abbiamo purtroppo conosciuti fino ad oggi ed ergersi orgogliosamente sui relativi steccati ideologici di riferimento.

Salvo cattive sorprese, fra i tantissimi positivi risultati (riforma previdenziale e prossimamente anche del mercato del lavoro, semplificazioni e liberalizzazioni, lotta all'evasione fiscale, riduzione costi della politica, taglio spese militari, Ici alla chiesa, chiusura dei ministeri del Nord, no agli sprechi olimpici di Roma) ottenuti in questi primi 100 giorni di governo Monti, forse il più decisivo e rilevante è proprio questo: una maturata consapevolezza, fuori e dentro le forze politiche, circa l'urgente opportunità di costruire nuovi modelli sul piano della partecipazione e della rappresentanza democratica ma pure su quello della sostanza dei contenuti di programma, che devono essere generalmente utili e seri e non più miseramente convenienti a questa o a quella fazione e finalizzati al consenso.

Per questo Monti è detestato e visto come una minaccia da quanti - nei partiti e nei sindacati, nei poteri forti e nelle corporazioni, nei segmenti più militanti e ideologizzati della società civile - non vogliono affatto rinunciare alle proprie rendite e ai propri privilegi, o alle proprie battaglie di principio ingaggiate pur di conservare un nemico contro il quale appunto identificarsi. Spesso nascondendosi strumentalmente dietro appartenenze e valori di un secolo o perfino di due secoli fa, solo per dissimulare alla parte preponderante della Polis, quella più riflessiva e sempre più esigente, la propria malafede oltre che le proprie debolezze e incapacità.

Tuttavia, che i vecchi e nuovi resistenti si rassegnino: dai forconi spuntati agli indignados incartati, dai popoli viola alle camicie verdi, dagli ingenui grillini ai loro profeti marpioni, dagli ultimi giapponesi della trincea dipietrista alla galassia di nane rosse ormai sbiadita, dai nostalgici del Cav (nuovamente in preda agli estatici ardori dopo la scontata sentenza di prescrizione ad personam nel processo Mills) ai sempre più eversivi no Tav.

Perché anche passando per frequenti e prevedibili stop and go in Parlamento (dove siedono, a destra come a sinistra, tantissimi passacarte delle lobby), per estenuanti e velleitarie trattative fuori del Parlamento (dove invece le lobby detengono il proprio effettivo potere di interdizione), per il prossimo voto amministrativo (che assai presumibilmente segnerà l'estremo respiro dell'iconografia e della geografia politica della vecchia maledettissima Italia) il nuovo cammino temerariamente riformatore è ormai iniziato e giungerà fino in fondo.

E alla fine, piaccia o non piaccia, nulla sarà più come prima un po' come avvenne nel '94 dopo il precedente tracollo sistemico. Con la verosimile e magnifica sensazione che stavolta, dalle urne, uscirà vincente un'Italia diversa.

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