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I.I.T. un investimento nella competenza multidisciplinare per non ripetere un’altra “Perottina”

Premetto che ho molta stima ed ammirazione per l’attività di ricerca svolta da molti centri di eccellenza dell’Università e degli enti di ricerca ubicati su tutto il territorio nazionale.
 
Si può, in ogni caso, affermare che, negli ultimi lustri, la ricerca italiana, per mancanza di fondi adeguati, è entrata crisi, e ad eccezione di alcune nicchie di ricerca scientifica, spesso frutto della collaborazione pubblico-privato, università e centri di ricerca pubblici, nel settore dell’innovazione tecnologica, producono sempre meno eccellenze.
 
Troppa burocrazia, scarso legame con il mondo produttivo, poca meritocrazia, incoraggia la “fuga dei cervelli”, creando una situazione dove se molti dei nostri ricercatori migliori partono, vederne arrivare in Italia da altri paesi è molto difficile.
Il nuovo «Istituto italiano di tecnologia» (IIT), versione italiana del glorioso e stimato Massachusetts Institute of Technology di Boston, va contro questa tendenza, diventando accentratore di competenze italiane ed estere, in altre parole si è realizzato un centro d’eccellenza come quello di Cambridge in Gran Bretagna o quelli di Harvard e Palo Alto negli Usa.
 
Oggi l’IIT è radicato sul territorio nazionale attraverso una rete di nove poli associati composta dal National Lab di Genova Morego, dalla SISSA di Trieste, da Politecnico, IFOM - IEO e San Raffaele di Milano, dalla Scuola Normale Superiore e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, dall’ EBRI di Roma, dal CRIB di Napoli ed infine dal Laboratorio Nazionale di Nanotecnologie di Lecce.
 
In questa rete l’approccio alla ricerca è di tipo multidisciplinare, infatti, la filosofia operativa dell’IIT promuove, attraverso reciproci scambi tra le piattaforme tecnologiche, l’incrocio di conoscenze e competenze tra fisici, chimici, ingegneri, matematici, biologi, medici, creando un modus operandi indispensabile per affrontare ricerche scientifiche e tecnologiche di altissima complessità. L’’attività scientifica è stata affidata a studiosi di riconosciuta fama internazionale, molto conosciuti nei rispettivi settori di ricerca, a seguito di una rigorosa selezione avvenuta anche sulla base della reputazione e dei risultati scientifici prodotti.
La scommessa è quella di creare i presupposti scientifici per dare vita a start up e spin off e sviluppare progetti avanzati a stretto contatto con il mondo industriale.
Per il raggiungimento di questi obiettivi ambiziosi l’IIT è diviso in quattro unità: il Dipartimento di Robotica, Scienze Cognitive e del Cervello, il Dipartimento di Neuroscienze e Neurotecnologie, il Dipartimento di Ricerca e Sviluppo Farmaci, e la Facility di Nanobiotecnologie.
 
Questi dipartimenti sono finalizzati alla ricerca pura in settori potenzialmente a crescita elevata, con l’obiettivo di conseguire brevetti innovativi di prima generazione, quelli che costituiscono la base per la ricerca applicata, sviluppata poi da altri istituti o dagli spin-off opportunamemente costituiti. 
 
La speranza che tutti questi sforzi economici, organizzativi e scientifici siano utili a non ripetere errori di strategia tecnologica, come il mancato sviluppo produttivo, negli anni sessanta, della Perottina, o l’emigrazione intellettuale dall’Italia di un personaggio come Federico Faggin ideatore del microprocessore Intel 4004.
Nel campo delle applicazioni tecnologiche, le innovazioni costituiscono una rottura col passato, infatti, le nuove tecnologie operano come tecnologie killer rispetto a quelle tradizionali, rappresentando la base di nuovi paradigmi.
 
La leadership dell’Olivetti nella meccanica dei calcolatori e delle macchine per scrivere aveva attenuato, negli anni sessanta, la capacità di intuire quei deboli segnali, premonitori della imminente rivoluzione microelettronica che avrebbe in poco tempo trasformato il mondo della elettronica applicata.
 
Ricordo che l’ingegner Perotto realizzò nel 1965 la “Programma 101”, meglio conosciuta come la “perottina”, si trattava di una macchina da tavolo con stampante e tastiera incorporati, del peso complessivo di 30 chili, che usava una scheda magnetica come ingresso ed uscita e la cosiddetta “linea magnetorestrittiva”, al posto dei nuclei ferritici,come memoria, sostituzione quest’ultima che può essere ricordata come il simbolo di un livello scientifico di assoluta avanguardia mondiale.
 
Questo prodotto informatico, precursore degli attuali pc, adottava un nuovo linguaggio di programmazione, antenato del Basic, basato su sedici istruzioni e stampava su una striscia di carta alla velocità di 30 caratteri al secondo.
Nel 1965 la “ Perottina “ fu esposta al “Bema Show” di New York, che rappresentava una delle più importanti fiere per l’innovazione tecnologica.
Il pubblico di esperti ed appassionati trovandosi di fronte al primo computer da tavolo si entusiasmò a tal punto che ne furono vendute 44000 esemplari.
Alcune Perottine furono acquistate anche dalla NASA, in quel tempo impegnata con le missioni Apollo alla conquista della luna.
 
Le aziende concorrenti rimasero in un primo momento attonite dalla novità tecnologica, poi cominciarono a copiare i sistemi elettronici del prodotto informatico italiano.
 
La Hewlett-Packard con la sua proposta “HP-9100”costruì solo un clone della “perottina”, certificandone l’indiscusso primato di originalità progettuale.
L’italiano Federico Faggin, nei primi anni 70 trasferitosi proprio dall’Olivetti, che aveva abbandonato gli investimenti nel settore elettronico dei pc, alla Silicon Valley, sviluppò il primo microprocessore ( Intel 4004 ) contribuendo ad una rivoluzione storica per l’informatica di quei tempi.
 
Oggi con le nanotecnologie siamo di fronte ad un’altra rivoluzione tecnologica, pari a quella degli anni 70, e sarebbe un vero peccato ripercorrere gli stessi errori che 40 anni fa affossarono un prodotto tecnologico dalle enormi potenzialità economiche e di sviluppo industriale come la “Perottina “.

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