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Guevara controcorrente

 

Quando mi hanno chiesto di ricordare Guevara ho inizialmente rifiutato: una volta all’anno lo celebrano anche gli eredi di quei dirigenti “comunisti” che lo avevano definito “stratega da farmacia”, mentre nel corso degli altri 364 giorni fanno tutto quello che il Che non sopportava. Va detto che la diffidenza degli Amendola, Alicata, dello stesso Ingrao, nei confronti della atipica rivoluzione cubana era ricambiata, anche se Guevara aveva sottovalutato il movimento operaio europeo, e non immaginava certo che poco dopo la sua morte ci sarebbe stato il Maggio francese, e ancora un anno dopo l’autunno caldo italiano.

Ma la sua diffidenza istintiva nei confronti dei grandi partiti comunisti e dei loro sindacati era fondata: non furono capaci di bloccare quelle ed altre manifestazioni di una grande combattività dei lavoratori e degli studenti, ma avrebbero saputo presto deviarle su un binario morto, approfittando dell’inesperienza delle giovani leve che entravano nella lotta con entusiasmo, ma con un bagaglio teorico assai povero. Comunque durante uno dei suoi ultimi passaggi per Cuba prima di partire per il Congo e la Bolivia, il Che aveva rifiutato un’intervista all’Unità richiesta dall’ottimo ed entusiasta corrispondente Saverio Tutino e perorata dalla sua stessa madre, Celia de la Serna, con una motivazione secca: “Non collaboro al giornale di un partito che si dice comunista ma non usa la sua grande forza per la rivoluzione”. Era una battuta che non teneva conto delle ottime intenzioni di sua madre e di Tutino, ma al di là della forma semplicistica coglieva quello che i tanti eredi di quel partito si ostinano a non capire: non c’era una rivoluzione pronta, ma il materiale esplosivo era accumulato. L’esito sarebbe dipeso dall’impegno o dalla diserzione delle forze rivoluzionarie.

Guevara sarebbe irritatissimo se sentisse che si richiamano a lui (sia pure una volta all’anno) anche quelli che si illudono di trovare appoggio in una coalizione di Stati borghesi, più o meno coperti da richiami retorici a un lontano passato socialista. Già ai suoi tempi si era espresso per un’internazionale dei movimenti rivoluzionari, che coordinasse le lotte senza delegarle agli Stati.

Guevara aveva colto benissimo, con l’anticipo di una decina d’anni, che una via elettorale poteva portare al governo di un paese come il Cile, in cui c’erano condizioni diverse da Cuba, ma che poi lo scontro sarebbe stato inevitabile: se dopo la vittoria le sinistre non mantengono le promesse fatte perdono il consenso, ma se le mantengono devono sapere che le forze reazionarie sconfitte elettoralmente ricorreranno a tutte le loro armi (l’esercito, la chiesa anzi le chiese, i media) e che bisogna prepararsi a combatterle.

Ne ho scritto tanto, per anni, e mi sono stancato di risentire le solite banalizzazioni: rinvio quindi ad alcuni degli interventi di un anno fa: Ancora su GuevaraMemoria storica intermittente su Guevara (e il PCI) che polemizzavano su una ricostruzione falsa e offensiva su uno speciale del Manifesto... ma chi ha pazienza e curiosità può esplorare a fondo il sito e troverà molto di più, soprattutto nella directory dedicata a Guevara nella sezione I GRANDI NODI DEL NOVECENTO. Buona lettura e Hasta la victoria, siempre! (a.m.)

 

 

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