Gli ultimi istanti di vita di Luigi XVI

Gli ultimi istanti di vita del Re Luigi XVI pongono l’interrogativo se l’esecuzione sia stata immediata o se, a causa della frenesia dei carnefici, ritardata, seppur di qualche secondo, dovuta ad errori del posizionamento della vittima.
Il boia Sanson teneva un “Giornale delle esecuzioni”, il nipote riporta il suo stato d’animo nelle memorie pubblicate nel 1847. In quelle ore concitate nessun sapeva cosa sarebbe successo, molti credevano ad una sommossa popolare per la liberazione del Sovrano. Sanson nelle giornate precedenti aveva ricevuto minacce, qualora avesse toccato il Re, alternativamente a promesse di intervento per liberare Luigi XVI. Nelle sue memorie c’è un passo particolare riguardante il legamento delle mani del Re: Luigi XVI si opponeva e Sanson chiese all’abate Firmont di intercedere presso il Re: “io mi chino all'orecchio del prete. Signor abate - gli dico - ottenete questo dal re, ve ne supplico. Mentre gli si legheranno le mani, noi guadagneremo tempo, ed è impossibile che un tale spettacolo non finisca col commuovere le viscere di questo popolo”. Questo passo ci parla di “opposizione del Re” e del lavoro che Sanson doveva fare a tutti i costi: o il Re si prestava a farsi legare e la speranza di una “commozione popolare” o, se ciò non fosse avvenuto, l’uso di azioni energiche per legarlo. Sanson, poi, ci parla della fine di Luigi XVI senza comunque riportare particolari che facciano pensare ad una esecuzione svolta in malo modo, però si dice stupito che non ci fosse stata nessuna azione per liberare il Re.
Una seconda testimonianza poi ci è data dal Magicien républican del 1794, (Rouy, Racconto autentico di quanto avvenne nel processo e nell’esecuzione di Luigi XVI). In un estratto ricavato da un testimone oculare si ricava una agitazione tra la folla all’atto dell’arringa del Re: “(Il Re) Volle cominciare la sua arringa e fece segno di tacere, affinché potessi farsi sentir. Poiché erano almeno una sessantina, ve ne furono alcuni che avevano già smesso, quando, di colpo, scoppiò un’agitazione fra tutti i cittadini armati, alcuni dei quali domandavano che lo si lasciasse parlare, mentre altri, seccati dalle lungaggini che la cosa aveva già causato, si opponevano a che fosse ascoltato.”. L’agitazione continuava e il testimone scrive dell’intervento di Santerre di eseguire la sentenza: “L’ordine fu subito eseguito. I carnefici lo afferrarono, lo condussero alla tavola fatale…”.
Anche in questa testimonianza emerge l’azione energica dei carnefici ma non descrive nessuna titubanza da parte loro o errori poco prima dell’esecuzione del Re. Ma le fonti sulla fine del Re sono molteplici e i dettagli variano.
Nel testo “I grandi processi della Storia, Luigi XVI – Danton” la fine del Sovrano viene descritta in una scena carica di tensione: Luigi XVI pronuncia le sue ultime parole, ad un tratto, il maresciallo generale Beaufranchet, aiutante di Santerre, con la sciabola sguainata intima i tamburi di riprendere il rullio, altri ufficiali si dirigono verso il patibolo e gridano a Sanson di “accelerare” l’esecuzione. Sanson stesso si trova con una pistola puntata da un ufficiale di nome Richard. Il Re sente la ripresa dei tamburi e battendo il piede sul palco dice: “Silenzio, fate silenzio!”.
Il testo riporta di Santerre che nota come “La folla cominciava a commuoversi”, e di sentire la parola “grazia”. Poi ci descrive gli ultimi istanti di vita del Re: “La voce del re non si sente più. Su di lui si gettano quattro carnefici e lo stendono sulla tavola. Egli si dibatte, lancia un grido… Nel momento in cui la tavola fa perno su se stessa e si porta all’altezza della fatale lunetta “egli lancia un urlo spaventoso soffocato dalla caduta della lama che gli mozza il capo”. Sgorgano due fiotti di sangue che cadono sull’abate de Firmont.
Sanson, si percepisce, agisce in un contesto tra pressioni di ogni sorta. Il tutto avviene in maniera concitata.
Nel “Compendio della Vita di Luigi XVI, Re di Francia dell’abate Guido Carron” del 1813 si legge una ulteriore sofferenza di Luigi XVI, dovuta ad un errore da parte dei carnefici. Il testo riporta che il Re “Dopo quelle poche parole, Luigi pose tranquillamente le testa sotto la guillotine. La falce mortifera cadde due volte; la prima volta il re, ferito troppo vicino alla testa perché questa potesse essere troncata, mandò un grido doloroso: finalmente il sacrifizio dell’innocente è compiuto, l’atrocissimo parricidio è consumato”.
Salvatore Falzone
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