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Forme di assenza, tracce dell’interazione umana per penetrare il mistero dell’esistenza

 Rapsodia Edizioni :

Percorso fotografico “Dove arriva l’essere umano” dalla raccolta a stampa “Tracce” di Eleonora Lo Nigro

con “Novelas por la Identidad”, Raccolta di racconti “La ragazzina di Homs”, un incontro sulla funzione dell'assenza nell'arte

Roma, 21 giugno 2023, presso il centro Apeiron di Roma

Le fotografie esposte all’interno del centro sono essenziali, solo un tratto infatti rivela il passaggio di un essere umano in un contesto naturale: una rete gettata in acqua, una gomena arrotolata sul molo, un lampione acceso, una formina in primo piano sulla battigia da cui si intravede la risacca. Il percorso fotografico si snoda all’interno della struttura di arteterapia e si inserisce tra i disegni realizzati dai bambini che svolgono le attività. Alle pareti, tra la carta lucida delle opere in esposizione, spiccano fogli da disegno: un ritratto di Frida Khalo e la riproduzione di Banksy eseguiti con pastelli e pennarelli. Il visitatore si sofferma tra scatti in bianco e nero e a colori, tra particolari in primo piano e paesaggi marini. Una selezione delle fotografie è raccolta in un libro, “Tracce”, in cui l’autrice, Elonora Lo Nigro, affronta una sua riflessione sul linguaggio fotografico.

L’osservazione ci offre un respiro diverso dalle immagini che siamo abituati a consultare, ci strappa dall’horror vacui imperante nei mezzi di comunicazione moderni, la paura del vuoto che condiziona la distribuzione degli elementi saturando gli spazi a disposizione nelle attività grafiche e di design. Lo spazio vuoto qui reclama il protagonismo e si converte in parte sostanziale della rappresentazione visiva. Lo spettatore oscilla così tra codifica e decodifica, tra visione e introspezione, tra oggetto e soggetto, scoprendo la vastità che il presente può aprire con molteplici possibilità interpretative.

“Natura abhorret a vacuo” sostiene già Aristotele “la natura rifugge il vuoto” . Si registrano manifestazioni artistiche in ogni epoca e geografia di tale coazione a riempire (il sarcofago di Portonaccio del 180 d.C., “la Battaglia dei centauri” di Michelangelo, l’arte islamica, l'arte bizantina, il barocco, M. C. Escher, l'hoor vacui segnico di Keith Haring, il “doodling” di Dubuffet, J. Pollock, ecc.). In queste fotografie, al contrario, il vuoto si impone come parte integrante e incontrovertibile dell’esistenza, come un aspetto inoppugnabile del nostro equilibrio e possibilmente foriero di scoperte epifaniche.

La traccia così rappresentata dall’autrice non è che indizio di un atto compiuto o dell’abbozzo di un’azione in divenire, un’intenzione, un progetto da sviluppare. Lo scatto coglie il momento di sospensione tra il visibile e l’invisibile, il noto e l’ignoto. La tensione tra le due dimensioni genera un bisogno incoercibile a sperimentare, è la curiositas, la spinta a esplorare che appartiene al genere umano.

 

Lucio Fontana, artista italo-argentino, lo ha sintetizzato con lo spazialismo: nei tagli nelle opere “Concezione spaziale – Attese” degli anni ’60 trasforma lo schermo piatto della tela monocroma in uno spazio pluridimensionale, producendo una breccia in un altrove incognito o ignorato, in uno spazio mentale parallelo, alternativo. Attese oppure vie di fuga, tempo quotidiano da cui lo spettatore può distaccarsi per respirare altri spazi, per misurarsi con avventure inimmaginate, senza promesse, senza predeterminazioni.

Nel fermo immagine realizzato da Eleonora Lo Nigro si cristallizzano i resti, le vestigia di un’esperienza compiuta o accennata e al contempo si dispiega ciò che è in nuce. Anche in questo vuoto che l’immagine ci restituisce, nell’assenza di figure umane, l’oggetto ritratto assurge a simbolo capace di mobilitare la nostra psiche nella sua totalità. Ne “Il mondo come volontà e rappresentazione”, Schopenhauer presenta l’arte come una modalità di rappresentazione capace di mettersi in relazione con l’essenza della realtà. Gli atti incompiuti e i gesti sottratti, i non detti costruiscono la nostra geologia personale quanto il contrario. In psicanalisi presupposto dell’horror vacui sono la paura della solitudine, dell’abbandono e della morte, si definiscono cenofobia (paura del nuovo) e agorafobia (paura degli spazi aperti).

Nella nostra produzione letteraria, prendendo in esame la raccolta “La ragazzina di Homs”, le metafore colte nelle fotografie cui assistiamo possono essere accostate a racconti in cui le dimensioni spazio-temporali sono sovvertite, in cui in un’atmosfera onirica si vive da osservatore partecipante un fatto storico, un rito collettivo, un evento culturale significativo: è la struttura su cui poggiano le pagine di “Mi Buenos Aires querido”. Uno dei punti di riferimento è costituito da un imponente lampadario di cristallo che associamo all’inquadratura di un lampione a più bracci la cui luce si staglia su un cielo all’imbrunire.

In “A testa in giù” invece è rovesciata la prospettiva, è una bambina in un’intera cittadina, a condurre il lettore allo svelamento della verità di fronte ai mali dei nostri tempi come testimone di fragilità individuali e mancanze collettive. Il richiamo all’infanzia ci è suggerito dalla foto con la formina sulla sabbia.

Il dettaglio della gomena in un’altra foto provoca a entrambi un sussulto, ne condividiamo una simbolizzazione in oggetto di speranza o memoria di salvataggio e ci fornisce lo spunto per raccontare della giovanissima profuga siriana che dà il titolo alla nostra ultima pubblicazione, una bambina di Homs accolta sulle rive italiane da un’associazione di volontari e alla ricerca del fratello, unico superstite di una famiglia distrutta dalla guerra. Si tratta di una storia reale basata su una testimonianza di umanità e solidarietà.

 

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