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 Home page > Attualità > Politica > Europa e Italia: elezioni e democrazia, per cosa stiamo votando?

Europa e Italia: elezioni e democrazia, per cosa stiamo votando?

Una domanda molto interessante e da fare a tutti gli elettori è la seguente: perché?

 

Perché stiamo votando? Per quale motivo?

Le domande apparentemente ovvie sono spesso le più difficili.

La campagna elettorale non ha fornito risposte.

Le elezioni sono europee, ma la campagna elettorale è stata nazionale.

Il che non è specificamente italiano, ma deriva dal peccato originale con cui è stato concepito il Parlamento Europeo, cioè un rappresentante “dei popoli europei” e non “del popolo europeo”. Questo limita di molto questo strano parlamento, che è già di suo “menomato”. È un parlamento che non fa le “leggi” (regolamenti o direttive), come qualcuno potrebbe attendersi. Semmai partecipa alla formazione delle norme europee, in varie modi, ma dire che sia il “legislatore europeo”, non si può. Non solo, non ha neanche quello che si chiama il “potere di iniziativa legislativa”, cioè poter proporre una norma. Quello può farlo solo la Commissione. Ciò significa che il parlamento europeo non pone i temi dell’agenda politica europea, non agisce a monte, ma interviene solo a valle.

Molto è stato fatto negli anni per aumentarne i poteri, ma la strada è ancora lunga.

Il fatto che le elezioni seguano una logica sostanzialmente nazionale, limita ancora di più l’efficacia del Parlamento Europeo. Quello che dovrebbe essere il luogo di analisi e sintesi di una “politica europea”, finisce per essere una sommatoria di tanti eletti nazionali. La sua credibilità è quindi ridotta, così come ridotta è la sua “forza” nei confronti delle altre istituzioni europee, dato che non può vantare alle sue spalle il sostegno chiaro e inequivocabile del popolo europeo.

Il risultato delle urne non è una scelta politica dei cittadini europei riguardo alla loro Europa.

Le elezioni europee è come se fossero “strabiche”: si vota per Strasburgo guardando a Roma o a Madrid o altrove.

Questo a livello europeo.

A noi italiani poi piace sempre distinguerci e, a seconda dei casi, anticipiamo, amplifichiamo o esasperiamo fenomeni che sono presenti anche in altri paesi.

Di cosa si è discusso in questa campagna elettorale in Italia?

La risposta è precisa e sintetica, poiché è un nome: Berlusconi. La festa di Noemi Letizia, il caso Mills, le foto di villa Certosa.

Da oltre un mese (in generale da 15 anni) l’agenda politico-mediatica è assorbita in tutto da un solo uomo.

L’attenzione per questi eventi era dovuta e dovuto era parlarne.

Molto più discutibile è la morbosità con cui ci si è accaniti su queste vicende.

Non bisogna essere troppo sospettosi per comprendere che questa morbosità sia dovuta ad una logica da campagna elettorale.

L’opposizione, infatti, si è scagliata su queste questioni in modo violento e ha trasformato anche queste elezioni in un referendum pro o contro Berlusconi. Cosa che Berlusconi riesce a fare già di suo ma questa volta qualcuno gli ha semplificato il compito.

Questo modo di fare opposizione non è un attacco al berlusconismo ma, al contrario, ne è una manifestazione. Il sistema politico italiano da 15 anni gira attorno ad un “unico sole”, che non è mai tramontato. Anche l’opposizione è attratta da questa specie di “forza di gravità” e non riesce a pensare e a ragionare a prescindere da Berlusconi. Non riesce cioè a fare ciò di cui il paese avrebbe davvero bisogno, cioè rappresentare una classe dirigente alternativa, attenta ai problemi della gente e capace di affrontarli con competenza. Ciò richiede tempo, energie, senso civico, moralità politica, amore per il proprio paese, ecc… cose che mancano a questa opposizione né più né meno di quanto manchino alla maggioranza. Si preferisce così fare la lotta a Berlusconi parlando di lui, dei suoi vezzi, delle sue veline, ma ci si guarda bene dall’affrontare dei temi politici veri.

Questa strategia è dannosa per il paese e controproducente per l’opposizione.

Dannosa per il paese: perché i problemi veri sono assenti dal dibattito politico e di conseguenza continueranno a non avere soluzione.

Controproducente per l’opposizione: perché un abbassamento del livello del dibattito pubblico non può che favorire chi è oggi al governo e ama cavalcare gli istinti più bassi degli elettori con slogan vuoti, che invece cadrebbero come un castello di carta di fronte ad un confronto politico e culturale serio; perché convogliare queste questioni private nel tunnel della campagna elettorale non farà che rafforzare ancora di più Berlusconi, che queste elezioni sicuramente le vincerà e potrà così vantare una supposta “assoluzione” da parte del popolo italiano; quelle questioni private, che invece una risposta la meritano, cadranno così sotto la mannaia del risultato elettorale.

Strategia sbagliata, quindi.

Strategia applicata anche malissimo. Sui 3 episodi citati infatti (Noemi Letizia, caso Mills, villa Certosa), quello che avrebbe meritato davvero attenzione è la condanna in primo grado del signor Mills per aver corrotto un giudice su richiesta e dietro gentile pagamento da parte del signor Berlusconi. Per molto meno qualsiasi altro governo di uno stato democratico si sarebbe dimesso, spinto dall’insistenza dell’opposizione. Da noi invece c’è stata qualche schermaglia iniziale e poi il nulla. Probabilmente per l’opposizione era molto più comodo battere il ferro caldo del gossip, invece che stare a spiegare agli italiani cose ben più complesse.

Le elezioni europee, che già in tutta Europa sono, ahimè, nazionali, in Italia si sono invece trasformate in elezioni “berlusconiane”.

Questo è un sintomo di come la democrazia italiana venga erosa dall’interno. E con questo non intendo riferirmi a qualche colpo di mano, secondo forme del passato. Di quello non c’è più bisogno. Intendo piuttosto una perdita di senso della democrazia.

La democrazia, infatti, sta arretrando sempre di più, seguendo due processi.

Da un lato, la si assimila al voto. Il concetto di democrazia viene semplificato e si fa coincidere il fine (la democrazia) con il mezzo (il voto). Una volta che il popolo ha votato, la democrazia è bella e pronta. Non serve altro. È tutto lì. Democrazia sarebbe solo votare, prendere in pugno la simpatica matita e crociare un simbolo e un nome. Dal giorno dopo le elezioni il popolo non può più parlare. Altri strumenti vengono visti con sospetto. Il referendum è un elemento di disturbo. Le proposte di iniziativa popolare (come quella che vuole prevedere l’ineleggibilità dei condannati in via definitiva) ammuffiscono negli scaffali del parlamento. Le varie istanze che salgono dal basso, dalle associazioni, dai comitati, vengono zittite o ignorate. Il popolo può parlare una volta ogni 5 anni, poi basta.

Dall’altro lato, lo stesso voto viene privato di senso. La campagna elettorale è una campagna pubblicitaria, a botte di slogan. L’oggetto del voto è oscuro. Qui abbiamo parlato delle elezioni europee, ma non è l’unico esempio. Si pensi alle ultime elezioni regionali in Sardegna, in cui il vero candidato del centrodestra era Berlusconi. Formalmente si vota, sostanzialmente il sistema viene distorto.

Il risultato è una serie progressiva di riduzioni: la democrazia ridotta al voto, il voto ridotto all’operazione materiale e spesso inconsapevole di crociare un simbolo.

Questo procedimento si riverbera in modo speculare su ciascuno di noi, ridotto da cittadino ad elettore.

Sarebbe interessante organizzare degli exit-poll non con la domanda “per chi ha votato?” ma con la domanda “per cosa ha votato"?

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