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Bocciatura della legge Alfano. Le ragioni di una sentenza

Sono state pubblicate pochi giorni fa le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la “legge Alfano” sulla sospensione dei processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato, in quanto contraria agli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 138 (procedura di revisione costituzionale) della Costituzione.

 

La lettura delle motivazioni destituisce di ogni fondamento e riduce a polemiche strumentali le furenti reazioni politiche che hanno seguito l’emanazione della sentenza.

Il principale argomento di discussione nei salotti buoni della politica è stato che la Corte Costituzionale avrebbe compiuto una specie di abuso tirando fuori dal cilindro l’esigenza di una legge costituzionale, mentre non lo aveva fatto nella sentenza del 2004 sulla “legge Schifani”, che aveva disciplinato in modo quasi identico la stessa materia.

Questo argomento di discussione, in realtà, aveva già allietato i giudici costituzionali, che lo hanno affrontato e risolto nella stessa sentenza. La Corte ha trattato il punto dapprima ricordando com’era andata nella sentenza sulla legge Schifani. Erano stati sollevati alcuni profili di incostituzionalità, tra cui anche il famigerato art. 138; la Consulta aveva dichiarato l’incostituzionalità della legge sulla base di alcuni di questi profili, ma non dell’art. 138; la Corte infine dichiarava “assorbiti” tutti gli altri profili, cioè non se ne occupava, perché i profili che aveva trattato erano già più che sufficienti per decretare l’incostituzionalità.

Ciò premesso, la Corte Costituzionale smentisce ex-ante i vari autorevolissimi personaggi politici che si esprimeranno sul tema e dafferma che la questione dell’art. 138 non era in nessun modo “pregiudiziale” ad una decisione di costituzionalità, poiché tutti i vari profili avevano uguale peso, ognuno di essi “comportando la caducazione della disposizione denunciata” ed essendo “idoneo a definire l’intero giudizio di costituzionalità”. Di conseguenza, la Consulta afferma che “quando si è in presenza di questioni tra loro autonome per l’insussistenza di un nesso di pregiudizialità, rientra nei poteri di questa Corte stabilire, anche per economia di giudizio, l’ordine con cui affrontarle nella sentenza e dichiarare assorbite le altre”.

Nessuna pregiudizialità tecnico-giuridica e, di conseguenza, nessun abuso della Corte. Semmai un po’ di ignoranza demagogica da parte di alcuni politici.

Sgomberato il campo da questo equivoco, la Corte Costituzionale passa poi al cuore della sua decisione.

Per poter affermare che la sospensione dei processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato richiedesse una legge costituzionale, poiché derogatoria rispetto al principio di uguaglianza, era necessario stabilire che questa sospensione costituisse una “prerogativa” o “immunità in senso lato”. La questione non era affatto facile, per vari motivi.

Prima di tutto, da più parti si era affermato, correttamente, che la legge in questione prevedeva solo una semplice e temporanea sospensione dei processi e della relativa prescrizione, che nulla ha a che vedere con i regimi di immunità in senso stretto, quali ad esempio l’immunità parlamentare, grazie alla quale un deputato non sarà mai condannato per le opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni. Da qui la deduzione che per una sospensione dei processi una legge ordinaria sarebbe più che sufficiente.

La Corte supera questo primo scoglio affermando che la categoria “prerogativa” è molto più ampia del regime di “immunità” e rappresenta una “specifica protezione delle persone munite di status costituzionali, tale da sottrarle all’applicazione delle regole ordinarie”, che può concretizzarsi in istituti molto vari tra loro (insindacabilità; scriminanti in genere o immunità sostanziali; inviolabilità, immunità meramente processuali, ecc…), tra cui rientra a pieno titolo la sospensione dei processi penali.

Un secondo ostacolo era rappresentato dalla ratio, cioè dallo spirito, dall’obiettivo di questa sospensione. Le prerogative, infatti, hanno come tratto distintivo quello di essere strumentali all’esercizio di alcune funzioni pubbliche, e non alla tutela di legittimi interessi privati.

Al riguardo, gli avvocati dell’unico imputato coinvolto, Silvio Berlusconi, hanno sostenuto che questa sospensione non era strumentale al corretto funzionamento dei poteri pubblici, ma aveva invece l’obiettivo di garantire pienamente il diritto di difesa della persona che riveste temporaneamente una delle alte cariche, che avrebbe serie difficoltà a preparare la sua difesa a causa degli impegni istituzionali. A sostegno di tale tesi si sottolineava che, a differenza della norma precedente, la legge Alfano permetteva all’imputato di rinunciare alla sospensione.

La Consulta non ha seguito questa strada ed ha affermato che la legge Alfano, così come la legge Schifani, ha una ratio pubblicistica, per diversi motivi: le indicazioni dei lavori preparatori parlamentari; l’esistenza nel codice di procedura penale di un altro istituto, il “legittimo impedimento a comparire”, che già protegge le esigenze del diritto di difesa; il fatto che la sospensione non sia reiterabile e che quindi non garantirebbe la piena tutela del diritto di difesa (ad esempio in caso di processo dalla durata superiore ad una legislatura).

L’ultimo anello della catena logico-giuridica era la dimostrazione che questa sospensione, che rappresenta una prerogativa nell’interesse di funzioni pubbliche, era anche contraria al principio di uguaglianza. Questo principio, afferma la Corte, è stato violato in vari modi: trattamento uguale di cariche assolutamente disomogenee tra loro (Presidente del Consiglio, Presidenti delle Camere, Presidente della Repubblica); trattamento diseguale tra cariche invece omogenee (Presidente del Consiglio e Ministri; Presidenti delle Camere e Parlamentari); trattamento diseguale tra “reati funzionali” (ex. corruzione) e “reati extrafunzionali” o “comuni” (ex. stupro, omicidio, ecc…), poiché solo questi ultimi godono della sospensione dei processi; trattamento diseguale tra chi ricopre le alte cariche dello Stato e chi invece non può adeguatamente preparare la propria difesa per impegni di altra natura.

Ricapitolando: la sospensione dei processi penali può essere in astratto una “prerogativa” e in questo caso lo è poiché protegge le funzioni pubbliche assicurate dalle alte cariche dello Stato e deroga al principio di uguaglianza; le prerogative devono essere previste dalla Costituzione o da leggi costituzionali.

Questo sillogismo porta inevitabilmente e logicamente alla declaratoria di incostituzionalità della legge Alfano, una decisione che ridona un minimo di credibilità alle nostre istituzioni democratiche e rende fiduciosi nella capacità del nostro sistema costituzionale di resistere ai venti populistici che confondono la legittimazione popolare del Governo con una “licenza di delinquere” dei governanti.

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