Napolitano promulga la legge sulla sicurezza
Da queste stesse colonne ho difeso il Presidente della Repubblica da alcune critiche rivoltegli da Beppe Grillo riguardo alla promulgazione della legge Alfano.
Le motivazioni che ho esposto in quell’articolo e nei relativi commenti mi spingono oggi a criticare lo stesso Napolitano per la “promulgazione con lettera” della legge sulla sicurezza.
Napolitano ha infatti deciso di accompagnare la promulgazione della legge con una lettera rivolta al Presidente del Consiglio, ai Ministri della Giustizia e dell’Interno, ai Presidenti di Camera e Senato.
Questa lettera ha scatenato molte critiche; alcune, come quella di Di Pietro, rimproverano al Presidente della Repubblica un’eccessiva mitezza; altre, come quella di Pera, lo accusano di aver violato la Costituzione.
Paradossalmente, entrambe le critiche sono motivate.
La lettera è indirizzata principalmente al Governo e solo “per conoscenza” ai Presidenti delle Camere.
Il Capo dello Stato ha infatti voluto fornire indicazioni al Governo su come applicare la legge, cioè sulla predisposizione dei vari regolamenti di attuazione o applicazione che saranno necessari. Un intervento simile del Presidente della Repubblica è singolare e appare un’ingerenza indebita nei confronti del Governo. Ingerenza anche fuori luogo, dato che il Presidente della Repubblica ha già un suo margine di manovra nel momento in cui firma tutti gli atti del Governo, anche i regolamenti.
Napolitano ha invece ritenuto di dover agire da “consulente speciale” del governo, dando una serie di indicazioni molto specifiche e puntuali, in particolare riguardo al regolamento che il Ministro dell’Interno dovrà adottare per determinare il funzionamento delle “ronde”; d’altra parte, è lo stesso Presidente che si riconosce, in modo molto opinabile, questo ruolo: “Il presidente della Repubblica non può invece restare indifferente dinanzi a dubbi […] che un provvedimento […] solleva per taluni aspetti specie sul piano giuridico”.
Su questo punto, quindi, Napolitano ha probabilmente varcato i limiti delle sue attribuzioni.
Lo stesso si può dire riguardo alla bacchettata che Napolitano rivolge al legislatore: “dal carattere così generale e onnicomprensivo della nozione di sicurezza posta a base della legge, discendono la disomogeneità e la estemporaneità di numerose sue previsioni che privano il provvedimento di quelle caratteristiche di sistematicità e organicità che avrebbero invece dovuto caratterizzarlo”.
Una critica del genere è quanto meno inopportuna. Il disegno di legge fluttua nelle aule parlamentari da un anno ed è competenza del Parlamento, attraverso le Commissioni competenti, il Comitato per la legislazione, i Presidenti delle Camere, vegliare alla coerenza di un testo di legge. Il Presidente della Repubblica non ha questa competenza e non dovrebbe esercitare delle pressioni di questo tipo.
Una competenza che invece la Costituzione attribuisce espressamente al Capo dello Stato è di rifiutare la promulgazione e rinviare alle Camere il testo di una legge manifestamente incostituzionale.
In questa occasione Napolitano non ha ritenuto di doverlo fare, ma nella sua stessa lettera sconfessa la sua decisione.
Lui stesso, infatti, critica pesantemente il reato di immigrazione clandestina che, come recita la lettera, “punisce non il solo ingresso, ma anche il trattenimento nel territorio dello Stato”.
Senza addentrarci nei tecnicismi, è sufficiente citare 2 possibili mostruosità racchiuse in questo reato.
La prima. Che vuol dire, “si trattiene”, secondo il testo della legge? Ammesso che la legge entri in vigore oggi, quando possiamo dire che il clandestino “si è trattenuto”? Domani? Tra una settimana? Tra 2 ore? Quando? Cosa deve fare il clandestino? Prendere il primo volo o la prima zattera e partire? La legge non spiega in modo chiaro in che modo il reato è commesso. Si dice, in questi casi, che il reato manca di “tipicità”.
La seconda. Vista l’indeterminatezza di questo reato di “trattenimento”, si può sospettare che si celi, sotto mentite spoglie, una bella irretroattività della legge penale. Se guardiamo agli effetti pratici della legge, succede questo: uno straniero è entrato un anno fa nel nostro territorio in modo irregolare, commettendo un’infrazione amministrativa; con la nuova legge, lo stesso straniero che “si trattiene”, commette un reato … La vera colpa del clandestino, a livello sostanziale, non è il “trattenersi”, che in sé non contiene alcun disvalore, ma l’essere entrato irregolarmente, e questo è avvenuto prima dell’entrata in vigore della legge, che sarebbe, per essere teneri, “ai limiti della irretroattività”. Irretroattività che la Costituzione vieta espressamente in materia penale (art. 25).
Secondo il mio modesto parere, ce n’è abbastanza per rinviare la legge alle Camere per una nuova e più cauta approvazione.
Napolitano ha invece sollevato il problema e poi ha invocato una “rinnovata riflessione”…
Il Presidente giustifica tanta prudenza in questo modo: “ho ritenuto di non poter sospendere in modo particolare la entrata in vigore di norme - ampiamente condivise in sede parlamentare - che rafforzano il contrasto alle varie forme di criminalità organizzata”. Quindi il ragionamento è questo: se in una legge in cui c’è un po’ di tutto ci sono pure delle disposizioni di buon senso, a quel punto non si può non promulgare … Questo ragionamento è fuori dal testo della Costituzione, fuori dalla correttezza istituzionale di cui ha dato prova finora Napolitano e fuori da ogni ragionevolezza, perché porterebbe a promulgare qualsiasi legge-porcheria che sia però condita con un pizzico di sane disposizioni antimafia …
In sintesi, si può concludere che Napolitano abbia vagato ramingo alla ricerca dei suoi stessi poteri, facendo ora troppo, ora troppo poco e, in generale, facendo molto male.
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