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Ecuador: in bilico un altro paese latinoamericano

Solo in aprile si saprà se gli elettori ecuadoriani hanno deciso di continuare la revolución ciudadana. Il candidato voluto da Correa, Lenin Moreno, non ha raggiunto infatti, sia pur per poco, la soglia del 40% che avrebbe evitato il ballottaggio. 

E vincere nel secondo turno non sarà facile, dato che Moreno appare (e finora è stato) una figura di secondo piano, una specie di controfigura di Rafael Correa, il presidente arrivato al potere senza nessuna esperienza politica, promettendo di far pulizia e agitando nei comizi una cintura (una correa, appunto), ma che nel corso di un decennio si è trasformato in una specie di caudillo, che ha rotto con molti dei suoi sostenitori iniziali e con chiunque esprimesse critiche al suo operato, in particolare con le associazioni ambientaliste e indigene: un comportamento che può rendere più facile la convergenza di tutte le opposizioni sulla figura del banchiere Guillermo Lasso, non particolarmente attraente ma che appare indubbiamente alternativo al grigiore dell’ultima fase della cosiddetta “rivoluzione cittadina”. Non a caso Correa, che aveva annunciato la sua intenzione di prendersi “una lunga vacanza dalla politica”, trasferendosi con la famiglia in Belgio dove aveva studiato all’università di Lovanio, ha minacciato di cambiare programmi: se vincono gli oppositori, “mi toccherà tornare”…

In realtà una sconfitta di Correa e del suo candidato alla successione, potrebbe avere conseguenze gravi per gli equilibri dell’America Latina, visto chi si è insediato alla Casa Bianca, e data la crisi delle sinistre “progressiste” in Brasile e Venezuela, che si unisce alla svolta argentina, e isola le esperienze che resistono in un continente sferzato da gravi difficoltà oggettive legate all’andamento dei prezzi del petrolio e di altre materie prime di cui tutti sono esportatori senza alternative.

La politica di Trump, con l’assurda e irrazionale espulsione di molti immigrati latinoamericani dagli Stati Uniti, può dare comunque – chiunque vinca le elezioni del 2 aprile - un colpo gravissimo all’Ecuador, che conta sempre più sulle rimesse delle numerose comunità di concittadini che vivono e lavorano in Europa e nel Nordamerica.

Non è allarmismo: i pericoli sono gravi per molti dei paesi che avevano avuto governi progressisti e avevano intessuto nuove relazioni nel quadro dell’ALBA e di altri organismi di cooperazione a livello continentale. È interessante che Geraldina Colotti, che su “il manifesto” finora aveva fatto un po’ da portavoce del movimento bolivariano e chavista, interpretando quasi esclusivamente come “colpi di Stato” le controffensive delle destre, ha usato toni preoccupati nel quotidiano nel formulare una previsione sul voto: “In un paese provato dalla caduta del prezzo del petrolio, dal devastante terremoto, da una martellante propaganda mediatica, e anche da scivolate e debolezze interne la vittoria è tutt’altro che scontata”. Il corsivo è mio e vuole sottolineare un’ammissione importante, che vale anche per i governi di Brasile e Venezuela: la “martellante propaganda mediatica” dell’opposizione c’era anche negli anni precedenti, e se ora ha cominciato a far presa sui cittadini è perché la caduta dei prezzi delle materie prime ha portato alla luce i limiti preesistenti della politica governativa, e ha ridotto la fiducia nei governi. Parlare solo di “colpo di Stato” impedisce di cominciare a riflettere sull’origine delle “scivolate” fatte.

Detto per inciso, la campagna della destra ha cercato di coinvolgere Correa negli affari sporchi della multinazionale Odebrecht, che aveva pagato milioni di dollari non solo in Brasile, ma in quasi tutti i paesi del continente, per assicurarsi commesse di grandi opere pubbliche. Probabilmente in questo caso è un’operazione propagandistica prelettorale, ma è stata resa credibile dalle grandi aperture che anche nei paesi a governo “progressista” ci sono state nei confronti di imprese come questa, sponsorizzate dallo stesso Lula…

PS Non ho mai nascosto le critiche venute dall’interno del movimento che ha inizialmente sostenuto Correa, e che hanno inasprito i toni polemici a mano a mano che il presidente ha assunto atteggiamenti autoritari. Ad esempio ho riportato in vari periodi scritti come Ecuador-Il lungo cammino di Correa verso il neoliberismo 

Ma non c’è dubbio che seguirò con ansia lo scrutinio del voto del 2 aprile. Una sconfitta di Lenin Moreno avrebbe conseguenze molto negative anche su tutto lo scenario internazionale. Verrebbero spazzate via molte delle iniziative che hanno permesso a Correa di assumere un ruolo mondiale, tra cui alcune prevalentemente propagandistiche ma altre concretissime, come la chiusura delle basi statunitensi, e l’asilo politico assicurato al fondatore di Wikileaks Julian Assange nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. Il candidato delle destre Guillermo Lasso ha promesso che entro trenta giorni dalla sua elezione rimanderà Assange negli USA…

Una buona ragione per seguire questo ballottaggio. 

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