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 Home page > Tribuna Libera > “Conca dell’Eremita”: una storia sociale [parte quinta]

“Conca dell’Eremita”: una storia sociale [parte quinta]

Il momento del ritorno era per molti arrivato. I rampolli della Conca bene, completati i propri percorsi universitari, alla fine degli anni Novanta si accingevano tutti a prendere il loro posto nella società conchese. Infatti le famiglie di molti di essi, come già detto, avevano beneficiato di quel boom economico degli anni precedenti accumulando anche una cospicua ricchezza, oltre che ad una certa posizione. Era dunque una cosa più che normale ritornare al paesello per godere anche di quelle opportunità che i propri genitori erano riusciti a creare. Mario e Lola erano certamente tra questi. Il momento era arrivato anche per i due di insediarsi, dopo sposati, in quell'appartamento che Mastro Antonio aveva costruito per ciascuno dei suoi figli.

Mario subito dopo la laurea era riuscito ad immettersi nelle graduatorie per ottenere la cattedra come insegnante di lettere, ed era riuscito a rimediare subito una supplenza annuale in una scuola media di un paese vicino; Lola invece aveva iniziato il suo praticantato che l'avrebbe portata a crearsi un suo studio da commercialista al più presto.

In tutto ciò, non tardò anche ad arrivare il tempo del matrimonio. Nel 1999 Mario e Lola erano ormai una coppia con vita propria ed autonoma. Tra di loro le cose andavano molto bene; certo, non era più entusiasmante vivere lì come un tempo, ma l'affetto, la stima e l'amore tra i due alimentavano una vita che poteva essere ormai tediosa quanto grigia.

Dunque, benché al tempo le cose non andassero poi così tanto male per la giovane coppia, la società conchese era ormai completamente diversa da come essi l'avevano lasciata. Per anni avevano pensato all'avvento del Duemila come una tappa fondamentale verso la modernità e la prosperità più assoluta; all'indomani della fatidica soglia, sebbene il mondo vivesse la sua fulgida gloria come sempre, il paesello invece era di uno squallore mai visto e percepito da quei giovani come mai prima di allora. La sera il paese era quasi un mortorio, solo la domenica c'era un po' più di movimento ma solo per poche ore. Nell'estate del duemila il paese nel solo mese di agosto aveva rivisto i suoi vecchi fasti; era rinato. A Mario ed ai suoi coetanei sembrò di rivedere il vecchio paesello tornato alla vita di un tempo, ma tutto svanì dopo una ventina di giorni. Alla fine del mese l'estate era praticamente finita ed il paese era tornato in quella tediosa routine velata di quel grigio oblio di sempre. L'eterno autunno di Conca.

A Mario e Lola, così come ai loro amici, che amavano ricordarsi a vicenda i bei momenti felici collettivi, erano rimasti la noia e i bei ricordi, come di quando la domenica in paese c'era l'imbarazzo della scelta su quale delle due squadre di calcio andare a vedere; e già, perché a Conca, paesino con poco più di duemila anime ci fu un tempo in cui c'erano due squadre di calcio di prima categoria, dilettanti certo, ma animate da ragazzi volenterosi quanto anche promettenti. Il clou si raggiungeva quando c'era il “derby”; per il clima che si respirava, sembrava di assistere ad una partita di calcio in costume a piazza Santa Croce. A Conca poi, negli anni del boom, non erano certo mancate le manifestazioni; nelle lunghe estati ne venivano organizzate di ogni tipo: dal concorso per eleggere la più bella del paese, alla sfilata di moda delle locali sartorie; giochi popolari, eventi sportivi di ogni tipo; in inverno, poi, la situazione era lungi dall'essere noiosa; infatti in tutti i periodi festivi invernali c'era sempre in programma qualcosa; il massimo dell'intraprendenza quanto dell'inventiva e della capacità organizzativa si raggiungeva a Carnevale, quando si teneva la sfilata dei carri allegorici. Che tempi! Allora tutti i ragazzi dei paesi vicini accorrevano in paese per prendere parte ai momenti intensi della vita conchese.

Tutto ciò era ormai solo un vago ricordo, niente di tutto ciò era rimasto; la vita sociale era andata, e con essa anche la vita economica. La gente a Conca era ormai ridotta alla metà di quella del bel tempo che era stato. Le scuole elementari e gli asili avevano ormai una sola sezione, quella che reggeva ancora era la scuola media, con due sezioni, ma presto avrebbe subito la stessa sorte delle scuole minori. Molte attività erano state chiuse, moltissima la manodopera extracomunitaria, gente sottopagata che non spendeva nulla, e quasi tutto quel che guadagnava andava in madrepatria a mantenere la famiglia.

I bar erano sempre semi deserti, le strade vuote. La situazione ormai per molti amici di Mario e Lola era insopportabile; molti di essi avevano venduto la proprie abitazioni e si erano trasferiti al Nord. E forse avevano fatto bene, poiché i prezzi delle case quando loro avevano deciso di vendere ancora reggevano. Era iniziato per la Conca bene il periodo della resa dei conti: la classe media conchese stava pagando il fio della sua mancata lungimiranza. Per decenni era solo emigrata la manodopera, ergo la giovane classe proletaria del paese, per anni rimpinzata dalle nascite, ma ora era iniziato il capitolo finale dell'esodo: incominciavano ad emigrare in massa anche loro, quelli che avevano studiato, quelli che si erano laureati, quelli che avevano acquisito il know-how... un bagaglio di conoscenza inutile quanto sprecato e infruttuoso nel paesello ormai a vita “medievale” - o quasi – restituita!

Alle soglie del 2004 una villa in loco si poteva comprare per 50mila euro; un prezzo che era l'emblema del valore del vivere in tale luogo. A Conca ormai nessuno ci voleva venire più a vivere, dunque il valore delle proprietà immobili quanto delle attività era sceso financo di tre quarti! Conca si era impoverita, così anche la sua classe media, almeno quella parte che aveva scelto di rimanere. Della corsa alla ricchezza e al benessere era rimasto ben poco, tutto si era ridimensionato... di molto! [… continua lunedì prossimo]

 

[VEDI ANCHE: prima, seconda, terza e quarta parte]

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