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“Conca dell’Eremita”: una storia sociale [parte quarta]

[VEDI ANCHE: prima, seconda e terza parte]

Nella prima metà degli anni novanta, la vita nella meravigliosa città della Serenissima scorreva all'insegna della spensieratezza per la nostra giovane coppietta di studenti meridionali, divisi tra doveri studenteschi e piacevoli passatempi giovanili. A Conca dell'Eremita tuttavia si era innescato un poderoso calo demografico che avrebbe presto portato a cambiamenti epocali... in peggio, chiaramente! In più, tutti gli errori perpetrati in precedenza dalla cultura conchese in toto e dalle sue Amministrazioni avrebbero presto presentato il pesante conto.

Al paesello, dunque, Antonio, quasi prossimo all'età della pensione, aveva dovuto ridurre di gran lunga i suoi operai: non più dieci, ma quattro; non più del luogo, ma slavi; esattamente profughi serbi provenienti dalla Croazia. Tutti rigorosamente a nero e a paghe che un conchese non avrebbe potuto più accettare.

“Mastro” Antonio aveva ormai tutti e cinque i figli all'Università, tutti al centro-nord, e mantenerli era un'impresa, ma ce la faceva ancora. Ma il lavoro, da come si può evincere era sceso; e come se era sceso! Da un alto, l'emorragia giovanile era continuata ininterrottamente; dall'altro, sempre più pochi bambini riempivano gli asili e le scuole, non solo per il calo delle nascite, poiché moltissime famiglie del luogo erano emigrate in toto al Nord, in più, altre, già ex emigrate, erano ritornate lì dove un tempo erano state accolte: soprattutto America, Canada Svizzera e Germania. Un'emorragia questa, lenta, ma continua. Tutte le attività lavorative si erano ridimensionate e si ridimensionavano sempre più. Una di queste era la ditta edile di Antonio.

Per un altro verso però, l'Amministrazione comunale di Conca non era certamente senza colpe, anzi. Essa, infatti, non aveva certamente investito sulle attività produttive del paese né su altri aspetti importanti della sua realtà.

In primis, aveva creato inutili opere pubbliche destinate alla fatiscenza; avrebbe dovuto creare invece strutture alberghiere e turistiche, come, ostelli veri, agriturismi e maneggi, sulle splendide montagne sovrastanti Conca da dare in appalto a cittadini del luogo per triennalità, o più, con obbligo di assumere giovani diplomati del luogo, invece, solo volgarissime ed inutili opere pubbliche per estorcere danaro allo Stato in qualunque modo. Se qualcuno avesse fatto un giro fuori paese, avrebbe trovato campi da tennis, da basket e piste da pattinaggio dove nessuno ci giocava, lasciati all'incuria degli elementi, dove perfino gatti e cani rifiutavano di andarci per godersi il sole magari.

In secundis, per tutti gli anni settanta e ottanta – e lo scempio continuava anche negli anni novanta – il Comune non aveva tutelato lo straordinario patrimonio storico di Conca dell'Eremita, lasciandolo in balia dei privati. Che dire? Negli anni cinquanta, Conca era una piccola perla di architetture caratteristiche con strade lastricate in pietra, palazzi e chiese in stile barocco, castelli medievali e altri ruderi straordinari ancora in piedi. L'amministrazione comunale, composta, in parte nella sua storia recente, da persone acculturate, le quali avevano visto le meravigliose città d'arte dove avevano studiato - occasione sprecata per la loro sensibilità culturale, mai lontanamente acquisita - avrebbe anche potuto tentare la creazione di task culturali sotto la tutela del Ministero dei Beni Culturali, attrarre fondi per restauri, per creare qualche piccolo museo, attività turistiche produttive. Nulla, niente. Verso la fine degli anni novanta, alle soglie del Duemila, di quel patrimonio sarebbe solo rimasto il cemento armato. Che scempio! Chiese barocche intonacate con il “plastichino” e con tegole del seicento rigorosamente sostituite da eternit color amianto – di amianto non solo nel colore – le strade ottocentesche di pietra asfaltate a catrame, palazzi barocchi demoliti, al posto dei quali sorgono tuttora palazzi insignificanti – ad imperituro sfregio - ruderi di castelli adibiti a pollai o porcili di privati lobotomizzati. Apertis verbis, di quella perla antica e maestosa alla fine degli anni novanta non sarebbe rimasto niente, niente di degno da vedere o da visitare con riverente ammirazione.

In tertiis, le Amministrazioni non hanno mai tentato una mediazione economica e culturale verso la classe media imprenditoriale per creare una politica di mantenimento economico, facendo cessare quello squallido sfruttamento che faceva arricchire solo pochi; era cosa prevedibile quanto lapalissiana che, dato il momento economico propizio degli anni settanta e ottanta, se i salari non avessero incentivato i giovani a rimanere, ogni attività avrebbe perso i suoi attuali e potenziali acquirenti. Ma si sa che il bene comune non è mai stato alla base della cultura meridionale. La classe media si era arricchita velocemente ed enormemente, ma non aveva condiviso con la collettività il suo successo economico. Sarebbe bastato cedere su alcuni punti, e forse a Conca in molti sarebbero rimasti a viverci, a lavorare, a far figli, a crescere e prosperare, facendo così prosperare la collettività medesima tutta!

In ultimis, le Amministrazioni di Conca dell'Eremita non avevano affatto preventivato che, in parte, proprio la loro mancata lungimiranza avrebbe presto causato – come già lo stava facendo – il calo della ricchezza, non solo nella quantità, ma nel suo valore intrinseco, dovuto all'impoverimento del territorio e di conseguenza della proprietà in genere. Quest'ultima cosa avrebbe infine mostrato a molti il vero prezzo della mancata ricerca del bene comune, la perdita del proprio bene individuale.

Ma ritorniamo in laguna. Nella seconda metà degli anni novanta il percorso universitario di Lola e Mario era agli sgoccioli. Entrambi sentivano il bisogno impellente di costruire qualcosa insieme; facevano progetti e piani di ogni tipo; tutti rigorosamente improntati sull'imprescindibile ritorno a Conca, la valle incantata della loro giocosa adolescenza e tenera infanzia. La crisi del paesello era per loro solo una situazione di passaggio. In molti, non tutti, nella compagnia di Mario e Lola stavano per ritornare. 

[… Continua lunedì prossimo]

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