• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > “Conca dell’Eremita”: una storia sociale

“Conca dell’Eremita”: una storia sociale

Nella seconda metà degli anni '80 del secolo scorso l'Italia raggiunse il tanto ambito posto di quinta potenza economica mondiale. Era l'apice dell'Italia craxiana, quella del compromesso, ma anche quella del potenziale di un'italica gens al clou della sua esuberanza sociale ed economica.

L'Italia, anche quella meridionale, brulicava di forze, soprattutto quelle di un certo ceto medio, in piena espansione ed in piena azione economica. La storia (a puntate) che sto per raccontare si svolge in un paese immaginario del sud. Ognuno si ingegni pure a dargli la chiave di lettura che meglio gli aggrada.

Questo paesino - insieme ai protagonisti della storia - mostrerà con la sua parabola come in ogni situazione prospera si nascondano i germi della futura e incombente decadenza. Sempre sottovalutata nel Bel Paese, ma che puntualmente arriva; perché per il benessere futuro c'è sempre un prezzo che in pochi sono disposti a pagare.

Era una sera di maggio del 1987, e a Conca dell'Eremita, piccolo paesino inserito in un bassopiano del medio versante ionico del profondo meridione, le rondini volavano a destra e a manca riempiendo con i loro cinguettii il cielo terso di un azzurro straordinario che all'orizzonte si mostrava nel suo rossore man mano che il sole declinava.

Che uccellini straordinari le rondini! Riempivano il paesello con i loro nidi costruiti con tassellini di argilla. Sistemavano le loro dimore dappertutto, laddove le vecchie case offrivano loro un luogo riparato: sotto i balconi, sotto le balaustre, dovunque. Mario amava questo periodo e quando le rondini arrivavano era segno che il paese era in procinto di rinascere.

Si ricominciava con le partite da tennis tirate fino all'ormai tardo tramonto, con le schermaglie lungo le strade, le uscite, gli scherzi, le storie sentimentali che si accendevano e si spegnevano con lo stesso scorrere tipico delle primavere. Il nome del paesello, poi, pare si rifaccia ad un antica leggenda medievale di un vecchio santo eremita che abitava una spelonca nella montagna locale; la fondazione del paese avvenne per un suo miracolo - di cui qui è doveroso per via dei tempi tacere i modi - liberando la valle da una pericolosa orda di briganti malefici.

Mario quella sera stava seduto su un divano a dondolo del bar locale sistemato nella piazza, nello spazio antistante il noto punto di ritrovo tra sedie e tavolini gremiti di ragazzi e ragazze, i quali si atteggiavano tutti a pseudo-dandy, piccoli lord e piccole donne di un'alta società “de noantri”. In tutti loro c'era il sentire che il futuro non poteva esser nient'altro che radioso.

Le storie di miseria di un mondo “medievale” che i loro padri e le loro madri si erano gettati alle spalle, erano solo un vago ricordo narrato dalle loro nonne. Tutto quel mondo contadino, dal quale i loro genitori in parte erano venuti ma che loro non avevano conosciuto con i suoi stenti e la sua povera essenza, sembrava distante da loro secoli. Mentre nei juke boxe si susseguivano vari pezzi, una su tutte è rimasta impressa nella mente di Mario: “Skin Trade” dei Duran Duran.

Accanto a lui gli amici e le amiche di sempre. In quella sera di primavera la vita sembrava scorrere più allegra e spensierata che mai. Bella quanto esclusiva la loro compagnia. Nel paesello degli anni ottanta la vita era più prospera che mai e loro erano i figli della Conca dell'Eremita bene. Fin dalla notte dei tempi era stato un centro agricolo, non proprio prospero però. Come tutti i paesi del profondo meridione aveva visto decennio dopo decennio dagli inizi del Novecento in poi la sua popolazione sempre decimata dall'emigrazione: nord Italia, Stati Uniti e Argentina agli inizi, poi, Francia e nord Europa; dopo la Seconda Guerra Mondiale, Germania, Canada e Svizzera. Ma le nascite erano sempre pronte a rimpinzare il gap; allora di figli se ne facevano. Negli anni ottanta poi la popolazione del paese era ben oltre i duemila abitanti. Pur essendo un paese piccolo l'economia girava alla grande. Il settore delle costruzioni era molto attivo. Dalla fine degli anni settanta c'era stato un boom dell'edilizia.

Molti emigrati erano tornati perché si erano accorti che l'America stava in Italia. Decine di famiglie erano rientrate dagli U.S.A., dall'Argentina, dalla Svizzera e dalla Germania. Era iniziata una forte immigrazione “di ritorno” che aveva alimentato, grazie all'arrivo di capitale, la locale “industria” edilizia, alimentata anche da opere pubbliche comunali sempre attive, grazie ai contributi statali;

il paese era un brulicare di piccole imprese edili di muratori, stuccatori, piastrellisti, senza contare fabbri del ferro e dell'alluminio, così come ditte elettriche e falegnami. In tutto ciò l'ultima cosa a mancare era il lavoro. Questo piccolo miracolo italiano aveva generato anche una forte spinta nei settori commerciali come ferramenta e materiali edili, nonché quello dei mobili, delle suppellettili e degli elettrodomestici.

E poi che dire della locale industria alimentare dei Salumifici e delle carni bovine, del latte. Centinaia di giovani, anche dai paesi vicini, trovavano lavoro nelle locali aziende, nelle ditte edili, presso uffici e soprattutto come commessi e commesse nelle locali attività commerciali di cui il paese era pieno. Il piccolo centro storico brulicava di insegne luminose, e se la sera era uno spettacolo di luci e di vita, di giorno, in special modo la mattina, era un brulichio di fornitori e casalinghe che ne animavano le vie.

Mario era il quarto figlio di cinque tra fratelli e sorelle di un noto imprenditore edile della zona. Frequentava il liceo classico in un paese vicino e per lui sembrava profilarsi un futuro splendido a confronto di quello di qualche generazione precedente alla sua.

[... continua lunedì prossimo] 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares