Anteprima inchieste di Report: il caso Regeni, la lobby della carne
I depistaggi nel caso Regeni
Con molte difficoltà, dopo 8 anni si è finalmente aperto il processo contro i presunti assassini (processati in contumacia) di Giulio Regeni, il ricercatore italiano morto in Egitto, dopo essere stato rapito e torturato dai servizi egiziani. Il servizio di questa sera riporterà video e documenti inediti che racconteranno cosa è accaduto in quei giorni di fine gennaio 2016, cosa avrebbe potuto fare l’Italia per salvare il ricercatore italiano e che non ha fatto.
Cominciando dalle azioni messe in atto dai nostri di servizi, quando uscì la notizia del rapimento il 25 gennaio 2016.
La notte stessa – racconta l’anteprima del servizio – l’ambasciatore Massari comunica la notizia al capocentro dell’AISE, il servizio segreto estero, il dato rimbalza da Il Cairo a Roma e da quel momento la scomparsa del ricercatore entra nel sistema informativo del nostro controspionaggio.
Giulio Pettarin è membro della commissione parlamentare di inchiesta spiega a Report che “in qualche maniera la ricerca era scattata da parte di un po’ tutti” anche altri servizio occidentali.
Diverse agenzie di sicurezza internazionali si mettono in azione e aprono un dialogo la national security, lo spionaggio militare egiziano che secondo la procura di Roma, ha ordito ed eseguito il rapimento, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni. Uno dei centro operativi che viene attivato è la American University, la culla accademica della élite egiziana, ma anche un punto di interesse per i servizi di sicurezza statunitensi. Dalle 15.37 del 26 gennaio, l’università si adopera per ritrovare Giulio Regeni.
Racconta un funzionario del ministero degli Esteri: “già dalle prime ore la notizia di un ragazzo scomparso a Il Cairo viene condivisa tra gli agenti in servizio del controspionaggio, il capo centro dell’Aise e ovviamente la Cia e MI6 inglese”.
La mattina del 27 gennaio i genitori di Giulio Regeni ancora non sanno nulla ma nelle stesse ore parte da Roma un volo dell’Aise che porta l’allora numero due Giovanni Caravelli, oggi direttore dell’agenzia, a incontrare i vertici dei servizi egiziani. Continua il funzionario della Farnesina: “in quei giorni le nostre agenzie hanno continuato a fare ricerche su Giulio Regeni perché volevano capire se era una bomba che stava per esplodergli in mano. Allo stesso tempo volevano tenere lontani i genitori da Il Cairo perché la verità era che alla Farnesina nessuno li voleva tra i piedi in Egitto in quel periodo.”
Il 30 gennaio i genitori di G.R. arrivano a Il Cairo, lo fanno da privati cittadini, acquistando un biglietto aereo da una agenzia e andando a dormire nella casa di Giulio nel quartiere popolare di Doqqi: “abbiamo pagato tutto noi, ci siamo arrangiati” conferma il padre di Giulio.
Come mai i genitori non sono stati informati subito di quello che era successo a Giulio Regeni, visto che del rapimento erano informati tutti, a Cambridge, in Egitto, a Roma il ministro degli esteri Gentiloni? “Questa è una cosa che indigna sempre più” è stata la risposta della signora Regeni “anche perché tutte queste persone hanno deciso direttamente o indirettamente la vita di Giulio.”
Le indagini sono state ostacolate dal governo e dagli organi di polizia egiziani, con diversi depistaggi, con false prove, depistaggi che forse non sono ancora finiti: a parole, specie dal livello politico, sono tutti favorevoli ad una piena collaborazione tra i paesi per raggiungere la verità, ma il tempo della parole è finito, lo chiedono i familiari di Giulio, lo chiede la loro legale, l’avvocata Alessandra Ballerini.
“Quello che è successo a lui potrebbe succedere a qualcuno di noi” racconta a Report uno studente che manifestava assieme alla famiglia Regeni di fronte al Tribunale: in realtà nell’Egitto di Al Sisi sono tanti i casi di persone che da un giorno all’altro spariscono, perché ritenute ostili al regime.
La verità è che l’Egitto di Al Sisi è un nostro partner commerciale strategico, anche per gli ottimi rapporti che ha con la nostra Eni, l’azienda controllata dallo Stato che, nei giorni del rapimento, stava negoziando gli accordi per il ricchissimo giacimento di Zohr, un affari da molti miliardi: anche gli uomini dell’Eni hanno giocato un ruolo in quei giorni dopo il rapimento, nel tentativo di aiutare le nostre autorità per fare ulteriori pressioni.
Come fai a metterti contro un paese con cui hai rapporti a questi livelli?
Il 16 marzo scorso la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha incontrato il presidente egiziano Al Sisi assieme alla presidente della commissione europea Ursula von Del Leyen: si è trattato di un incontro storico perché l’Unione Europea ha firmato un’intesa col paese annunciando un sostegno economico pari a 7,4 miliardi di euro, un accordo per cui Meloni ha espresso grande soddisfazione, per il “nuovo modo di portare avanti una cooperazione” coi paesi del nord Africa. Alla domanda fatta dai giornalisti se ha posto ad Al Sisi la questione di Giulio Regeni, Meloni ha risposto che il tema viene “tendenzialmente” affrontato in ogni incontro bilaterale con l’Egitto: “continueremo a tentare di ottenere qualcosa di più ma penso che quello che dovremo fare noi è andare avanti sul fronte della verità e della giustizia ..”
Che effetto ha fatto questo avverbio “tendenzialmente”: l’avvocata risponde a Report in modo chiaro “abbiamo pensato che abbia sbagliato avverbio, se il nostro governo in questi otto anni e mezzo avesse cercato caparbiamente e ostinatamente, come abbiamo fatto noi, di ottenere verità e giustizia per Giulio, non avremmo aspettato otto anni per iniziare un processo.”
Il 18 marzo a Roma la Corte d’Assise riunita nell’aula Occorsio (il giudice romano ucciso dai terroristi di Ordine Nuovo) da via al processo nei confronti dei 4 egiziani accusati a vario titolo di aver rapito, torturato e ucciso Giulio Regeni.
Il procuratore Colaiocco usa parole nette: “otto anni fa un nostro concittadino è stato non solo ucciso da quattro appartenenti ai servizi di sicurezza egiziani, secondo quanto da noi ricostruito, ma è stato per nove giorni torturato ..”
Gli imputati, assenti ovviamente in aula, sono difesi da un avvocato italiano che, alla domanda di Report, ammette di non sapere se e come verrà aiutato nel suo compito dalle autorità egiziane aggiungendo anche che sarà un problema del pubblico ministero “per citare i testi avrà bisogno della collaborazione”. Come forse a far intendere che senza questa collaborazione l’accusa non potrà portare avanti la sua linea.
Forse è così che si vuol far naufragare il processo, alla faccia della richiesta di giustizia da parte dei genitori di Giulio Regeni, delle promesse politiche mai mantenute.
A rispondere delle accuse al processo a Roma ci sono un generale, due colonnelli e un maggiore, tutti irreperibili e appartenenti alla National Security. Nel corso del processo sono emerse nuove prove dei depistaggi: uno degli agenti responsabili del rapimento è stato anche coinvolto nelle indagini iniziali dove collaborava con gli agenti italiani (si tratta del colonnello Uhsam Helmi).
Quando il governo italiano venne a sapere del rapimento di Regeni? Alle ore 14 del 28 gennaio partì da Il Cairo una comunicazione criptata sul canale riservato ai diplomatici all’estero, si tratta del messaggio 211 rimasto inedito fino ad oggi, con il quale l’ambasciatore Massari lancia l’allarme ai livelli più alti delle istituzioni. Nel messaggio Massari ricostruisce i fatti al 25 gennaio, scrive chi è Giulio Regeni, utilizzando un tono molto duro e preoccupato dal quale traspare che l’ambasciatore tema il peggio. Il messaggio 211 è uno dei misteri di questa storia: nella relazione che l’ambasciatore scriverà il 7 febbraio dopo la morte e il ritrovamento del corpo di Regeni, dove ricostruisce nel dettaglio le azioni dell’ambasciata nei giorni della crisi, del messaggio non c’è traccia, nonostante sia un elemento centrale perché dimostra che il presidente del Consiglio Renzi venne informato il 28 gennaio. Diversamente da quanto lo stesso Renzi avrebbe dichiarato davanti la commissione di inchiesta: ai membri della commissione l’ex presidente parla dei rapporti costanti con Al Sisi, di come il governo italiano si sia mobilitato “immediatamente” coi massimi livelli del governo egiziano, dopo essere stati informati il 31 gennaio.
Ma il messaggio 211 prova che Renzi venne informato tre giorni prima, che contraddice un altro passaggio in commissione: “ecco perché dico, se l’avessimo saputo prima forse avremmo potuto fare prima qualcosa..”
Al processo a Roma si è affrontato anche questo punto: l’ambasciatore è stato convocato come testimone e al magistrato riporta quanto fatto, l’essersi attivato con la presidenza del consiglio e tutti i canali diplomatici. Renzi non ha detto la verità o si è confuso? “Questa è un’ottima domanda” risponde a Report Guido Pettarin membro della commissione.
“Quello che ho detto in commissione lo confermerò davanti ai magistrati” è stata l’unica risposta che Report ha ottenuto dall’ex presidente Renzi.
Sul Fatto Quotidiano Marco Franchi aggiunge un altro pezzo su questa incongruenza della dichiarazione di Renzi:
Da dove deriva questa incongruenza? Renzi è nella lista dei testimoni che dovranno essere escussi durante il processo. La sua audizione non è stata programmata, il giudice potrebbe ascoltarlo dopo le elezioni europee dell’8-9 giugno prossimi, a cui il leader di Italia Viva è candidato. Alla richiesta di chiarimenti di Report, Renzi ha assicurato: “Quello che io ho detto in Commissione lo confermerò davanti ai magistrati (…) siccome io devo rispondere di fronte ai magistrati non ho nessuna difficoltà a rispondere anche a voi dopo”.
Renzi, a questo punto, tocca un altro argomento molto sensibile: “La mia opinione su questa vicenda è che ci sia una evidente e clamorosa problematica legata a un signore che… o a dei signori, vediamo a chi, comunque che hanno a che fare con i servizi inglesi. Quando questa vicenda sarà definitivamente chiarita allora sarà possibile fare chiarezza sulla morte di Giulio”.
Il riferimento dell’ex premier, stando anche a quanto analizzato da Report, sembra tornare a una vecchia pista investigativa, in realtà già confutata dalle indagini della Procura di Roma, secondo cui Regeni potesse essere diventato inconsapevolmente una pedina dell’intelligence britannica in Egitto. Si tratta della cosiddetta “pista inglese” – spesso cavalcata dalla destra – che alludeva alla figura di Maha Abdelrahman, la tutor egiziana con base a Cambridge che aveva spedito Giulio al Cairo. “Ho detto a David Cameron e Theresa May – dice ancora Renzi a Report – che bisognava avere rispetto per quello che era successo e dovevano chiarire e quindi tutto questo lo ridirò”.
La scheda del servizio: VERITÀ PER GIULIO REGENI Di Daniele Autieri
Collaborazione Federico Marconi
Spia. Morte. Tortura. Speranza. Le parole che raccontano la drammatica fine di Giulio Regeni vengono ritrovate nella stanza del Cairo di Giulio Regeni. Sono gli appunti del ricercatore, raccolti durante le sue lezioni di arabo, nei quali Giulio aveva messo in fila, in italiano e in arabo, quelle parole trasformate in un triste presagio.
È questo uno dei documenti, rimasti finora inediti, che Report mostrerà ricostruendo i retroscena del rapimento, delle torture e della morte del ricercatore italiano.
Un’inchiesta che – proprio nei giorni in cui si celebra il processo ai quattro presunti sequestratori, torturatori e assassini del ragazzo – racconta per la prima volta che ruolo hanno giocato l’Italia e le sue istituzioni nel corso dei dieci giorni che vanno dal rapimento al ritrovamento del corpo, dimostrando con documenti riservati, che già a 48 ore dalla sparizione di Regeni, la presidenza del Consiglio e il ministero degli Esteri fossero a conoscenza del quadro completo dei fatti.
Report rivelerà che al Cairo in quelle ore erano in azione anche uomini della CIA e soprattutto della security ENI, il colosso energetico italiano che due settimane dopo avrebbe firmato con l’Egitto il contratto miliardario di gestione di Zhor, il più grande giacimento di gas del Mediterraneo Orientale.
L’inchiesta ricostruisce anche le responsabilità di governo e vertici dei servizi egiziani. Per la prima volta saranno mostrati i video delle telecamere a circuito chiuso della metropolitana del Cairo in prossimità della stazione di Dokki, dove – secondo la Procura di Roma – il giovane italiano è stato rapito.
Dal ritrovamento del corpo di Giulio Regeni le istituzioni italiane hanno fatto di tutto per rinsaldare i rapporti con il prezioso alleato. Oggi la questione Regeni non è più centrale sul tavolo delle relazioni diplomatiche e l’Egitto è tornato ad essere l’amico speciale dell’Italia.
La lobby della carne
Quanto è vasta e profonda l’influenza delle lobby dei produttori di carne nell’Europarlamento?
Come è possibile che certe cattive pratiche negli allevamenti intensivi, nella produzione della carne, siano ancora tollerate?
Sono domande a cui il film documentario di Giulia Innocenzi “Food for profit” cercherà di dare risposta.
Sui canali social di Report si possono vedere alcuni spezzoni, in uno si racconta di un lobbista che si è presentato a diversi eurodeputati per discutere un finto emendamento che potrebbe finanziare una tecnologia inventata che consentirebbe di trasformare gli escrementi delle vacche in mangime, grazie ad un tubo inserito nel retto. Il finto lobbista ha ripreso le loro reazioni, di riso, per alcuni, di opposizione per altri. Ma in diversi hanno dato parere positivo nel presentare un emendamento perché “l’obiettivo è buono e sul metodo non ho preconcetti” afferma uno di loro. Il lobbista, Lorenzo, ha voluto spingersi oltre mostrando altri progetti mostruosi: il primo riguardava un maiale a sei zampe tramite modifiche genetiche, per aver 6 prosciutti e sfamare la popolazione mondiale. “E’ un po’ pesante, ci vorrà del tempo per digerirla” ammette l’europarlamentare De Castro. Oppure una mucca con due organi riproduttivi per aumentare la produzione di latte “noi pregiudizi non ne abbiamo” – risponde sempre De Castro.
Un altro spezzone mostra quanto succede dentro un allevamento intensivo dove i polli vengono fatti crescere fino al peso massimo, e quelli che non crescono vengono uccisi. È quello che raccontano le immagini prese da un ragazzo che si è fatto assumere nell’allevamento: “ogni giorno la persona che mi affiancava decideva in maniera indiscriminata di uccidere dei polli che potevano visibilmente pesare un po’ meno degli altri, questa cosa era avallata dal responsabile della struttura”.
Perché, come sentiremo dalla viva voce di un responsabile di queste strutture, dove si allevano a ciclo continuo fino a 2 ml di polli, ci sono pulcini che hanno la performance e arrivare a fine ciclo per portare a casa i soldini e ci sono quelli che sono lì che non servono a niente, sono solo una perdita.
La scheda del servizio: FOOD FOR PROFIT Di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi
Food for Profit è un'inchiesta rivelatrice che mostra il filo che lega l’industria della carne, le lobby e il potere politico. Al centro ci sono i miliardi di euro che l’Europa destina agli allevamenti intensivi, che maltrattano gli animali, inquinano l’ambiente e rappresentano un pericolo per future pandemie.
Il documentario di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi, uscito nelle sale a fine febbraio con una produzione e distribuzione totalmente indipendenti, è diventato un caso cinematografico. Dopo l'anteprima al Parlamento europeo e diverse presentazioni nelle sedi istituzionali, dal Parlamento italiano ai Consigli regionali, Food For Profit ha innescato un vero e proprio dibattito politico, attorno ai sussidi europei agli allevamenti intensivi e alla contiguità di alcuni politici all'industria della carne.
A Bruxelles, per la prima volta in assoluto, un lobbista è riuscito a filmare i suoi colloqui con gli eurodeputati portando con sé una telecamera nascosta dentro il Parlamento europeo. Report potrà mostrare in esclusiva per la televisione italiana questo viaggio illuminante e scioccante in giro per l’Europa.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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