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Visita guidata alla sinagoga di Ferrara

Visita guidata alla sinagoga di Ferrara

Dopo aver pagato regolare biglietto d’ingresso, all’ora fissata ha inizio la visita guidata alla sinagoga, posta al centro di quello che fu il ghetto della città di Ferrara. Dal Quattrocento uno spicchio nel cuore del centro antico della città fu abitato dagli ebrei ed alla sera venivano chiuse a chiave le porte poste sulle vie che vi accedevano: via Sabbioni (oggi via Mazzini), via San Romano, via Gattamarcia (oggi via Vittoria). Erano le gerarchie cattoliche a gestire la chiusura di queste porte, vigilate da soldatesche in armi durante la notte, al punto che oggi è per gentile concessione di una Curia non più contrapposta che si possono ammirarne le chiavi nel museo ebraico, contiguo alla sinagoga ed oggetto anch’esso della visita guidata.
 
E’ una giovane signora a far da cicerone, guidando il gruppo prima nella sinagoga attualmente luogo di culto, poi nei locali del museo ebraico ed infine in quella che fu la sinagoga maggiore e che oggi è rimasta lì, inutilizzata, a testimoniare la bestialità di quanti il 21 settembre 1941 ne sfondarono le porte e ne distrussero i marmi, gli arredi, le memorie, gli oggetti di culto.
 
Data la sua giovane età, certamente la signora è vissuta lontana da quei tempi; ma altrettanto certamente li conosce bene ed essi sono stati sovente al centro delle sue riflessioni, come l’incontrollabile incrinarsi della sua voce ad ogni piè sospinto testimonia. Trae un profondo respiro nel dire che il primo punto per il rispetto da portare al rotolo manoscritto della Torah consiste nel fatto che essa è ritenuta la voce di Dio che parla all’uomo; che ogni Torah è scritta a mano e che, quando per l’età non può assolvere più la sua funzione perché illeggibile, essa viene sepolta e continua da sepolta ad esercitare la sua influenza sul mondo; e così via, nell’elencare al visitatore gli aspetti del rito.
 
Ma la voce trema soprattutto quando parla delle decine di ebrei arrestate e consegnate ai nazisti nel 1944, e perciò rimaste ancora nel ghetto di Ferrara a cercare di continuare a vivere malgrado l’estrema tempesta infuriasse intorno a loro ; e cerca di spiegarlo con la secolare felice convivenza fra cristiani ed ebrei nel ferrarese. Ma proprio è convinta che queste persone non abbiano voluto fare come gli struzzi e, davanti al pericolo, non abbiano ficcato la testa nella sabbia? Bruno Bettelheim la pensava diversamente.
 
Il grande vecchio viennese medico dell’infanzia disabile, forzato ospite di Dachau e di Buchenwald all’epoca dell’Anschluss, ha parlato di un fenomeno, che in mancanza di un termine migliore ha chiamato «mentalità del ghetto».
 
In questo consiste la mentalità del ghetto: nel credere che ci si possa ingraziare un mortale nemico negando che le sue frustate fanno male, negando la propria umiliazione in cambio di una tregua, dando il proprio sostegno a chi poi userà quella forza per meglio annientarti. Tutto questo fa parte della filosofia di vita del ghetto.
 
E concludeva: se non ci battiamo per noi stessi, nessuno si batterà per noi. Gli ebrei sotto Hitler non combatterono per sé stessi, perirono: quelli che lo fecero, per la maggior parte si salvarono, persino sotto Hitler. Giacché gli ebrei, in così gran numero, non vollero combattere, nessuno combatté per loro. Infatti, come dice Hillel : “Se non sto io dalla mia parte, chi ci starà ?”, così citando Hillel, rabbino del primo secolo.
 
Il tremore della voce della guida ci dice che, forse, ancor oggi non è possibile a tanti ebrei ripristinare soddisfacenti equilibri di vita dopo l’olocausto; e, al pensiero delle tante forme di oppressione assolute dell’uomo sull’uomo ancor oggi esistenti (vi dice qualcosa l’espressione “la strage dei bambini per fame nel mondo”?), delle tante mafie, delle tante forme, occulte e palesi, di esercizio del potere irresponsabile (vi dice qualcosa la parola “carceri”?), delle tante forze, nascoste ed esplicite, volte alla negazione della dignità della persona umana (vi ricordate di Enzo Tortora ?), ecco allora che, visitando la sinagoga di Ferrara, non si può non dire «io sono ebreo».

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