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La Buona Scuola

In data 16 luglio u.s. è entrata in vigore la riforma dell’istruzione, comunemente nota con la denominazione “La Buona Scuola”. Dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale è stato così possibile conoscere puntualmente il provvedimento.

Si tratta di ben 212 commi, che spaziano dalle dichiarazioni di finalità politico-istituzionale, all’organizzazione delle singole Unità scolastiche, alle modalità di valutazione degli allievi, alle modalità di valutazione dei docenti, all’assunzione dei precari, al trattamento del personale e così via in un profluvio di richiami alla normativa preesistente.

Per poter leggere e capire il contenuto della norma senza correre il rischio di un triste abbrutimento estivo, sarebbe necessario un tomo di esplicativo di qualche migliaio di pagine. E comunque sia di ciò, con ogni probabilità dal testo della legge nasceranno una miriade di circolari esplicative su ciascuno dei settori affrontati.

Risulta difficile credere che i tanti appassionati contestatori della riforma la conoscano adeguatamente.

Quel che certamente si può affermare (salvo errori di lettura del testo da parte del vostro cronista) è che il provvedimento del tutto si disinteressa della scuola dell’obbligo. Il che non è proprio “di sinistra”.

Eppure la necessità di adeguare ai tempi la scuola dell’obbligo è difficilmente negabile. Sarebbe come se i cattolici volessero continuare a sentire messa in latino.

Ai tempi dell’adozione della Costituzione Repubblicana la previsione della scuola dell’obbligo aveva come obiettivo quello di far in modo che tutti indistintamente i cittadini sapessero scrivere, leggere e far di conto almeno. E se qualcuno, dopo aver imparato a scrivere, leggere e far di conto, lo avesse poi dimenticato perché ritornato ad un lavoro manuale, ebbene questo cosiddetto “analfabeta di ritorno” sarebbe stato ri-alfabetizzato quando la leva obbligatoria (allora esistente) lo avesse portato nelle Forze Armate.

Oggi le cose sono alquanto diverse ed alquanto più complicate. Certo non basta saper scrivere, leggere e far di conto per essere integrati nella società.

Una Buona Scuola avrebbe potuto considerare questo problema e prevedere sia una estensione del periodo della scuola dell’obbligo sia una corposa integrazione degli insegnamenti in essa previsti.

Ad esempio appare certamente di grande utilità che i futuri cittadini conoscano bene le Istituzioni, siano esse pubbliche che private; come esse siano strutturate e come ci si debba relazionare con esse; ivi compresa l’Istituzione scolastica normata dal provvedimento.

Sorprende che i tanti impegnati nella critica appassionata al provvedimento non si siano minimamente indignati per questa dimenticanza.

Speriamo che, adesso che la riforma è legge, il Governo si preoccupi di fare una Legge Quadro del settore, spiegando anche al popolo in soldoni come la Buona Istituzione Scolastica dovrà funzionare. Il vostro cronista la aspetta con ansia e non ha alcuna paura ad essere inserito fra gli analfabeti di ritorno, necessitati di adeguata alfabetizzazione istituzionale.

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