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Ville e corti abbandonate del colognese

Stanno sempre più affermandosi i progetti di “Urbex”, abbreviazione di Urban Exploration, con cui gli appassionati si dedicano all’esplorazione ufficiosa, sconosciuta e anche un po’ illegale di entrare in edifici abbandonati, siano ville, sale cinematografiche, hotel di lusso, chiese e conventi, ospedali e manicomi. Importante che questi luoghi siano disabitati, abbandonati e magari con un cartello di “divieto di accesso” all’ingresso.

 

Su internet hanno migliaia di seguaci siti come “I luoghi dell’abbandono”, “Ascosi Lasciti”, “Luoghi abbandonati”, ecc. Alcuni di questi “urbexer”, così si definiscono i fotografi e operatori, sono già stati nel colognese per documentare la triste situazione del Convento delle Cappuccine.

Diamo loro qualche altro spunto, con tre siti ricchi di fascino e storia, completamente in abbandono. Sperando sia di input anche alle istituzioni preposte.

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Villa Mercante Labia

VILLA MERCANTE LABIA 

La Villa si trova in località Quari Sinistra, lungo la strada con divieto di accesso, ora via Terrena.

Si entra (o meglio, si entrava) da un ingresso con pilastri bugnati sormontati da due statue, Mercurio a sinistra e Atena a destra, attribuite al Muttoni. Il verbo al passato è d’obbligo, poiché le statue qualche anno fa sono state rubate.

A sinistra della Villa, a filo strada, si affaccia la cappella gentilizia seicentesca, dedicata a Santa Caterina da Siena, sormontata da un campaniletto a vela. Questo oratorio, dallo storico Domenico Cardo, viene attribuito al Palladio. La cappella conteneva due tele di fine 1700, raffiguranti Santa Caterina e l’Assunzione della Vergine, l’una; il Sacro Cuore, l’altra.

La facciata del palazzo è caratterizzata da una bella trifora centrale. Sull’architrave della porta principale d’ingresso è scolpito il motto dei Labia: “SI DEUS PRO NOBIS QUIS CONTRA NOS”, “Se Dio è con noi, chi ci sarà contro?”.

Il salone centrale è alto e lungo, caratterizzato da soffitto a volta e dal pavimento in cotto; le stanze superiori hanno pavimenti in battuto veneziano e soffitti a volta, a vela, a botte.

Sulla porta a settentrione è incisa la data di costruzione, 1575, ma alcuni elementi fanno pensare agli storici che il fabbricato sia di epoca anteriore.

Verso il Guà si trovano i resti di un attracco e banchina; inoltre “scavalcato” il Guà, all’interno di un complesso rustico (Corte Quari Destra), abbiamo un elegante porticato che fa pensare fosse un magazzino per merci e che quindi, lungo il Guà, la Villa costituisse uno scalo per i trasporti mercantili via fiume. 

La Villa fu costruita dal committente colognese Bernardino Mercante e poi venduta dalle di lui figlie Caterina, Cinzia e Giovanna al veneziano Paolo Antonio Labia, con tutti gli annessi e campi n. 174. Che furono ceduti insieme ai 70 che formavano la possessione di Corte Quari Dx, con casa e fabbriche per i lavoratori, il 18 dicembre 1603.

Per la bellezza dei manufatti lapidei e l’impostazione architettonico-planimetrica, Villa Mercante Labia è stata attribuita a Vincenzo Scamozzi.

“Se Dio è con noi, chi ci sarà contro?” si chiedevano i Labia. Oggi abbiamo la risposta: il tempo e l’incuria umana.

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Corte Quari destra panorama

CORTE QUARI DESTRA

Insieme a Corte Grande di Veronella è la “madre di tutte le Corti abbandonate” del colognese.

Nonostante le tante parti mancanti, gli esperti sostengono che questo complesso edilizio in riva al Guà, costituiva un unicum in asse con Villa Mercanti in Quari Sinistra, un eccezionale documento di organizzazione di impresa agraria dei secoli XVI-XVII, collegata direttamente via fiume con Venezia.

La Corte è (o meglio, era? Visti i crolli…) costituita da un lungo edificio a un piano, con un elegantissimo portico, di stile rinascimentale, con fusti e capitelli delle colonne in pietra, reperite e lavorate in area veronese. L’impianto originario è riconducibile a quello religioso-conventuale, poiché i basamenti delle colonne sono messi in opera, non sul piano di calpestio, ma su un muretto continuo, interrotto solo in corrispondenza degli accessi principali alle sale del piano terra.

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Corte Quari destra le mura e il chiostro

Al di sopra, il prospetto ha finestre/forature modulari ed equidistanti tra loro, che ricordano le aperture delle celle monacali.

Il piano terra mostra un solaio in strutture modulari lignee, al di sotto delle quali, molto probabilmente esisteva una fascia con cicli pittorici. Tanto risulta da un’operazione di rilievo eseguita dal prof. Vincenzo Lucchese e dai suoi allievi della facoltà di architettura di Venezia.

In seguito, l’edificio conventuale e i suoi annessi furono adibiti a fabbricati per uso agricolo, connessi al fondo dei Mercanti.

Recentemente di Corte Quari Destra si è parlato solo per il PAT che ne prevedeva la demolizione, per l’occupazione da parte di clandestini, per un incendio che l’ha danneggiata, per l’ultimo appello rivolto a tutte le autorità da parte dell’artista Giorgio Scarato nel 2015. Ma fino a oggi, la sua condanna a morte pare pronunciata…

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Corte Dal Zotto "La Campanella"

CORTE DAL ZOTTO “LA CAMPANELLA” 

E’ una Corte della zona orientale di Sant’Andrea, proprio sul limite della strada che conduce a Cà Sarego. Come essa, è nota con il nome “La Campanella”.

Non è antichissima, probabilmente del XIX secolo ed è formata da una parte padronale di semplici linee architettoniche e da una barchessa adiacente, che aveva cinque grandi archi a tutto sesto.

Nel 1928 passò in eredità alla famiglia Dal Zotto, che vi aggiunse sul lato strada un’elegante torretta in stile liberty. Nello stesso periodo fu costruito l’Oratorio di Sant’Eurosia, affiancato alla corte.

È un piccolo edificio in stile neogotico, voluto dalla moglie del prof. Dal Zotto in ricordo della nonna. Da molti anni, la Corte è stata venduta a persone interessate alla coltivazione del fondo rustico, quindi è stata abbandonata.

Nonostante questi edifici siano la casa del prof. Attilio Dal Zotto, che a Cologna istituì la “Fondazione Tonino Dal Zotto” a cui è legata la scuola di agraria, l’intero complesso è in desolante stato di abbandono. Anche l’Oratorio, nonostante il vincolo della Soprintendenza.

Con questo articolo, che non ha velleità storiche o architettoniche, vorremmo tentare di risvegliare, come in passato hanno fatto l’autorevole rivista “La Mainarda” e il quotidiano “L’Arena”, la “coscienza civica” che si fonda sul rispetto non solo delle persone, ma anche dei beni monumentali, che come tali, sono “beni comuni”.

Intanto, raccoglie oltre 2000 iscritti la pagina Facebook “Ville del Colognese” in cui vengono postate immagini dei siti più significativi del territorio, che necessitano di amore e nuova vita.

Bibliografia:

Giuseppe Franco Viviani, “La villa nel veronese”, 1975

Allegato a “La Mainarda” n. 5, 2008

Il Colognese – guida turistico culturale di sette comuni, Centro Studi “Giulio Cardo”, 2009.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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