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Venezuela, gettare sussidi sul fuoco

Mentre il Pil dell’Argentina del primo trimestre 2014 si contrae dello 0,8% trimestrale (fonte ufficiale), segnando l’entrata in recessione del paese dopo il meno 0,5% dell’ultimo trimestre del 2013, il Venezuela si avvia a prendere consapevolezza che il capolinea è sempre più vicino, e dovrà fatalmente passare per un’operazione socialmente molto dolorosa ma pressoché inevitabile, al pari di altri paesi emergenti, tutti caratterizzati da corposi ed insostenibili sussidi su alimentari e carburanti/combustibili. Come spesso accade in Venezuela, tuttavia, l’abnorme ed il patologico sono regola di vita.

Come ricorda il Financial Times, in Venezuela il prezzo della benzina, altamente sussidiato, è fermo dal 1996 all’equivalente di 5 centesimi di dollaro al gallone. Nel frattempo, il prezzo del greggio in dollari è aumentato di sette volte e l’inflazione venezuelana è salita, secondo stime di Barclays, di circa il 4.500%. Avere la benzina regalata, perché di questo si tratta, implica un paio di effetti collaterali, uno palese ed uno meno evidente ma altrettanto pernicioso.

Quello palese è che questo sussidio, da solo, costa circa 12 miliardi di dollari annui alle casse statali. Certo, si può sempre stampare tutta la carta igienica moneta che serve, ma l’operazione ha dei limiti nelle pressioni iperinflazionistiche che tende a generare, e col 60% di inflazione annua ufficiale diremmo che la soglia del collasso è ormai ampiamente raggiunta. L’altro effetto collaterale è il fiorente contrabbando di greggio venezuelano, che finisce in Colombia sotto i distrattamente amorevoli occhi dei servizi di sicurezza venezuelani, del cui sostegno ha evidente bisogno chiunque aspiri al potere a Caracas, o a non perderlo. Si stima che il contrabbando petrolifero si aggiri intorno ai 140.000 barili al giorno, a fronte dei 115.000 inviati a Cuba in nome dell’internazionalismo compañero, avendone in cambio i leggendari “medici” multiuso.

Ora siamo alla resa dei conti, letteralmente: il paese deve progressivamente lasciare andare il cambio, portandolo a livelli realistici, e ridurre il deficit pubblico, cercando anche di eliminarne la monetizzazione. Di conseguenza, servirà agire sulla spesa pubblica, riqualificandola, come si direbbe in Italia. La progressiva rimozione dei sussidi sui carburanti, auspicabilmente sostituita da erogazioni di welfare per i soggetti in condizioni di reale disagio economico, ha costi di transizione elevatissimi, primo fra tutti un ulteriore gradino inflazionistico. Per un paese che già convive non solo con un’iperinflazione monetaria ufficiale, ma anche con quella reale data dalla drammatica penuria di generi di prima necessità, questo potrebbe essere il colpo di grazia, e fungere da detonatore di moti di piazza di ben altra scala e diffusione rispetto a quelli, pur gravi, visti sinora.

E tuttavia, non ci sono reali alternative. O il caos da status quo, o il caos da risveglio alla realtà. Il solito conto che arriva in testa ai paesi che vivono di fiabe.

 

Foto: Joka Madrunga

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