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Venezia: una Bohème dalla sì dolce malìa

Una suggestiva Venezia sotto la neve ha accolto la ripresa de La Bohème di Puccini al Teatro La Fenice: “neve e pochi soldi” in Italia nel 2013 così come nell’opera del maestro lucchese.

Già, la crisi economica e l’arte, un rapporto attualissimo che La Bohème affronta, ma qual è la metafora che quest’opera porta con sé? La misera vita dei quattro amici squattrinati è sollevata e nobilitata dalla cultura e dall’arte che praticano… viene da domandarsi quale sia al giorno d’oggi il valore riconosciuto alla cultura ed è un dovere seppur superfluo ricordare che il nostro Paese ha praticamente rinunciato ad investire nell’educazione: se così non fosse, in quest’Italia ferita, la povertà magari diverrebbe sobrietà e la crisi peserebbe in maniera diversa sulle famiglie.

A questo proposito però vale la pena di segnalare la buona gestione del Teatro La Fenice che non chiude, non riduce personale, chiede sì ai lavoratori qualche sforzo in più (coro, orchestra, tecnici, segreteria e dirigenti sono sempre di corvée), ma continua a produrre cultura e anzi offre due date di quest’opera ad un prezzo promozionale: 20 euro in qualsiasi settore. E non per la prima volta. Il teatro così è sempre pieno, si fanno conoscere i grandi capolavori, si sensibilizzano le masse all’arte, si produce lavoro…

La Bohème è stata anche il fulcro de La Cavalchina, tradizionale Gran Galà di carnevale a base di “vip”, cena e discoteca che contribuisce ogni anno a rimpolpare le casse del teatro.

Ma veniamo alle “tranches de vie” messe in musica da Puccini. “Egli musichi, io musicherò, il pubblico giudicherà” così disse il compositore riferendosi a Ruggero Leoncavallo che stava lavorando allo stesso soggetto. Presunzione o vaticinio? Considerato che questa musica ci commuove da più di cent’anni direi piuttosto consapevolezza, sapienza e arte!

I bellissimi quattro quadri concepiti da Puccini, Illica e Giacosa – poiché librettisti e compositore lavorarono insieme alla drammaturgia di quest’opera - sono quattro piccoli atti unici e vengono resi genialmente da regia, scene (bellissime, di Edoardo Sanchi) e costumi di questo allestimento.

Lo spazio del primo quadro racchiuso entro una cornice luminosa che crea una sorta di cartolina “saluti da Parigi”, lo skyline reso da un velatino con “cieli bigi, comignoli” e luna piena, la VITA nel Quartiere Latino del secondo quadro: un carosello di ombrellini (con i deliziosi costumi di Silvia Aymonino) e la Métropolitaine Parisienne, sotto la Piazza del Caffè Momus, a raccontare il brulicare indaffarato di una città già moderna negli anni ‘30 del 1800: sembra un quadro di Henri de Toulouse-Lautrec! La regia di Francesco Micheli è aderente al testo e tradizionale, curata e con simpatiche gag anche se a nostro parere tratteggia una Musetta davvero troppo provocante e poco verosimile. Il secondo quadro si sviluppa in una scena magnifica: coro, coro voci bianche, comparse, solisti, , banda, un trionfo di bandiere francesi, a delineare una società che vede ovunque ragioni per star bene anche nei suoi strati meno abbienti. L’impatto visivo è di coinvolgimento totale!

Alla recita cui abbiamo assistito spicca su tutte la voce di Maria Agresta che ci offre una Mimì che esprime in commoventi arcate melodiche e tenere mezze voci lo stile discorsivo del canto pucciniano. Massimiliano Pisapia nel rischioso ruolo di Rodolfo sostituisce Aquiles Machado. Ricordiamo Simone Piazzolla nel ruolo di Marcello, Armando Gabba (Schaunard), Sergey Artamonov (Colline), la briosa e petulante Musetta di Ekaterina Bakanova, Matteo Ferrara (Benoît), Andrea Snarski (Alcindoro). Il coro diretto dal M° Claudio Marino Moretti funziona ed alcuni elementi del coro uomini danno vita degnamente ai ruoli minori. Bravi e diligentissimi i ragazzini del Coro dei Piccoli Cantori Veneziani diretti da Diana D’Alessio, brillanti i complessi musicali di palcoscenico diretti dal M° Marco Paladin. Il direttore Diego Matheuz in qualche caso non riesce a governare pienamente buca e palcoscenico dando luogo ad alcune imprecisioni che tuttavia il pubblico non rileva. I sopratitoli bilingui aiutano a seguire la vicenda particolarmente nel secondo e terzo quadro.

Una buona produzione, dunque, di questo raffinato capolavoro a testimonianza della cui grandezza ricordiamo che dalla prima recita (febbraio 1896) pare che le repliche abbiano superato quelle di qualunque altro lavoro teatrale.

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