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Una miniera di donne dimenticate: le cernitrici di Montevecchio e le altre

Lo sapevate (io no) che la miniera era un luogo dove la presenza delle donne italiane è sempre stata considerevole?

C'è poco di mio come potete leggere e vedere dappresso, ho solo cercato di far emergere dal fondo queste donne e a volte anche bambine, meravigliose, spesso ieri come oggi dimenticate: "...finchè c'è una donna che piange per i suoi diritti calpestati è obbligatorio non tacere."

Seguendo un gruppo su FB di Radio3, apprendo da Gianluca Diana che sabato 6 maggio 2017 alle ore 14:30su Radio3 Rai - Passioni c'è stata una Terza puntata dedicata alla Miniera Montevecchio, nel Comune di Guspini.

http://www.passioni.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-18adffc7-6347-4aa3-b8c4-805ce6d81926.html

Sa Mena - La #Miniera: Racconti di Minatori Sardi:

"Miniera, sostantivo femminile in un mondo solo apparentemente di esclusiva pertinenza maschile. L'importanza delle donne, dentro e fuori il cosmo dell'attività estrattiva, è sempre stato considerevole. Ci viene raccontato in tutta la sua importanza nelle storie riguardanti le cernitrici, protagoniste della vita mineraria di Montevecchio e dell'adiacente comune di Guspini. Luoghi dove la protesta operaia ha vissuto momenti significativi, di cui rimangono memorie non solo nelle parole dei protagonisti, ma anche in canti di lotta registrati a trecento metri di profondità durante le occupazioni e mai ascoltati in precedenza, in pellicole cinematografiche, in libri."

https://www.youtube.com/watch?v=amMBEjP7av0

In un articolo di Cristina Muntoni del 2015, leggo e riporto anche questo:

«Era il pomeriggio del 4 maggio 1871. Al cantiere di Atzuni, nella miniera di Montevecchio, un gruppo di donne e di bambine camminavano verso un capannone con lo sguardo a terra, annichilite dalla stanchezza. Avevano spaccato e insaccato pietre per tutto il giorno con mani ormai ruvide e callose. L’avevano fatto, come sempre, sin dall’alba, in rigoroso silenzio.
 
 
Il “caporale” non tollerava che si chiacchierasse e la punizione sarebbe costata l’intera paga di una giornata. Il ricatto del pane. Un costo troppo caro per chi lavora per sopravvivere.
Trascinavano le loro esistenze dentro abiti ruvidi e consunti, svuotate da una fatica che annientava ogni slancio di vita. La strada per tornare a casa era molto lunga. Ogni giorno arrivavano da Arbus e Guspini a piedi. Erano donne disperate. Vedove di minatori, mogli con troppi figli da sfamare lasciati a casa ad accudirsi tra loro, bambine di famiglie in cui l’infanzia finisce il giorno in cui si è in grado di rispondere agli ordini dei capiservizio».
 
«Se dopo le otto, dieci ore la stanchezza impediva di tornare a casa, si poteva restare al cantiere e riposare sulle brande, dentro dormitori senza servizi igienici né alcun tipo di confort – racconta Iride Peis Concas che nel suo libro “Donne e Bambine nella miniera di Montevecchio” (Pezzini editore) ha ridato un nome e un volto a quelle donne che la storia e la memoria popolare aveva cancellato troppo presto, relegando all’oblio le loro esistenze come se i fatti accaduti fossero routine - Quel pomeriggio erano trenta le donne e le bambine che rimasero nel cantiere a riposare sui giacigli. Sopra il dormitorio c’era una grossa vasca d’acqua che serviva per lavare i minerali, si ruppe e fece crollare il tetto. Morirono 11 donne. La più anziana, Rosa, aveva cinquant'anni e la più giovane era una bambina di undici, Anna».

L’Archivio Storico Minerario IGEA, attraverso i suoi 25.897 faldoni, 2.500 immagini, 2.582 documenti, migliaia di cartografie, disegni e un numero incalcolabile di materiale cartaceo, racconta questa e centinaia di altre storie delle vite che hanno gravitato attorno alle miniere, rivelando una presenza femminile poco nota, ma così forte da ridisegnare l’immaginario collettivo che vuole le miniere un luogo popolato solo da uomini. «In effetti le prime donne minatrici si sono avute solo vent’anni fa e la ragione per cui prima non lo facevano era anche legata alla superstizione – racconta l’archivista e ricercatore dell’IGEA Roberto Caddeo, attorniato dai faldoni di un archivio che, per la mole del materiale conservato, è considerato la raccolta di documenti di carattere minerario e industriale tra i più importanti in Italia e tra i più consistenti in ambito internazionale - Così come nelle navi, in miniera si riteneva non potessero lavorare né le donne né i preti. Tuttavia erano presenti molte donne che svolgevano l’attività di cernitrici, bardellavano, vagonavano, spaccavano, grigliavano e insaccavano il minerale pulito. Un’attività che svolgevano anche le bambine».
 
 
 
Ho anche letto di un' altra miniera, talco e lavoro delle donne:
 
«Nella lavorazione del talco le troviamo nel trasporto dei sacchi con la slitta di un tempo, nella cernita a S. Sebastiano ai mulini, in alcune fasi del lavoro ai mulini (vecchio insaccamento), nelle pulizie, in cucina e fra gli impiegati.Una figura importante è la padrona, Ada Villa, la Madama di ferro che costringeva a mesi di lotta i minatori.
Un’altra donna-padrona, la Rostagno, è ricordata fra i precursori dell’Ottocento nello sfruttamento delle prime miniere.Le donne dei minatori dovevano un tempo sopportare la solitudine mentre gli uomini stavano nelle baracche di alta quota per una settimana intera, e dovevano gestire la casa e i lavori di campagna quando il marito era al lavoro.Le donne sono poi diventate in tante delle vedove, ereditando la pensione dei minatori morti per lo più di silicosi, come testimonia Carlo Ferrero.Oggi una donna, Rossella, è da quasi vent’anni autista dell’appalto del trasporto del talco e guida colossi da 200 quintali dalla miniera a Malanaggio». 
 
 
 
Cantava De Gregori nella ragazza e la miniera
 
Ora c'è una miniera che ci danno mille lire
L'ora per andare giù
Quando usciamo inciampiamo nelle stelle
Perché le stelle quasi ormai non le vediamo più.
Meno male che c'è sempre qualcuno che canta
La tristezza ce la fa passare
Se no la nostra vita sarebbe
Una barchetta in mezzo al mare
Dove tra la ragazza e la miniera
Apparentemente non c'è confine
Dove la vita è un lavoro a cottimo
E il cuore è un cespuglio di spine.
 

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