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Una chiacchierata con lo scrittore Gaetano Barreca su una generazione in fuga

Lui è un giovane autore che ha deciso di cercare fuori dall’Italia la spinta giusta, così si è trasferito a Londra, dove insegna lingua e cultura italiana e dove ha fondato il primo gruppo organizzato di autori della comunità italiana in Inghilterra: il “The London Italian Writers Meetup”. Nel tinello di AgoraVox Italia c’è Gaetano Barreca.

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Salve Gaetano, benvenuto!

Grazie ad AgoraVox e a te Fabio, per l’invito.

Parliamo dei cervelli in fuga: sempre più ragazzi guardano fuori dall’Italia per cercare di dar sfogo alle proprie competenze, abilità, professionalità. Da un lato per una sana apertura delle frontiere, complici i progetti come Erasmus e l’europeizzazione, dall’altro per una mancanza di prospettive nello Stivale.

Mi si permetta di dire, che il termine fuga di cervelli ha assunto oggi dei macabri luoghi comuni quali “nel nostro paese i giovani non hanno futuro” o persino, “sei un traditore”. Trovo questo inappropriato, in primis perché sono tanti i giovani che vivono in Italia e sono speciali: creano e costruiscono il futuro della comunità stessa ma, non essendo sotto i riflettori, non vengono riconosciuti e sostenuti per quanto meritano. Quest’apatia mediatica annienta quell’effetto domino di escamotage e intraprendenza intellettuale tipico della nostra cultura, che potrebbe far ripartire un Paese, il nostro, che so capace di bastare a se stesso. Allo stesso tempo, ritengo che un po’ tutti dovremmo abbandonare certi stati mentali indotti, imparare a portare il naso fuori dal nostro orticello ben curato e considerare il viaggio non come una porticina aperta, dalla quale fuoriescono una mandria di mammut spaesati, ma come imperdibile esperienza di vita. Opportunità di crescita professionale, conoscenza di una nuova lingua e confronto con culture e stili di vita che non ci appartengono, cosa potremo chiedere di più per la nostra formazione? È un costante scambio di abilità, storie e informazioni.

Mi ricordi Patrizio Roversi, anche lui ci ha parlato del viaggio come segnale di pace, integrazione, progresso.

Chi parte non lo fa mai per odio, semmai per amor mancato. E il più delle volte, questo amore, nel Paese che ha avuto ogni benedizione degli dei sulla terra, è rappresentato non solo dalla mancanza d’interesse e investimento sulla cultura, ma dalla cocciutaggine a una visione nuova e più ampia. A tal riguardo, vorrei consigliare fortemente la lettura dell’illuminante articolo "Si scrive 'turismo e cultura', si legge 'crescita sostenibile", redatto dal ventottenne Flavio Albano. Giusto per parlare di giovani talentuosi, mi saltano in mente i nomi di Giulio Vita e Sara Fratini, nati in Venezuela e residenti in Italia. Loro sono i creatori di Guarimba, festival internazionale del cinema indipendente che nel 2013 ha contribuito alla riparazione di un vecchio cinema all’aperto ad Amantea, in Calabria. L’anno successivo hanno aperto una scuola per permettere ad artisti di esprimere il proprio talento cercando di ridar vitalità economica all’incantevole località nostrana. Questo per dire solo che c’è chi resta, chi va e chi ritorna. Siamo un magma, puri scambi di energia che formano quello che chiamiamo umanità. Per ogni italiano che va a studiare o lavorare all’estero, ce ne sono tanti che rientrano - e con loro inglesi, francesi e altre nazionalità che vengono a imparare la lingua, l’arte e la cultura del nostro Paese apprezzandone e assaporandone il meglio.

Qual è stata la tua esperienza in tal senso?

La mia esperienza alla ricerca della meritocrazia è iniziata lasciando il mio Sud. Se mi è concesso, vorrei provare qui a fare una specie di doppia intervista, con un io diciottenne che si muove nel nostro paese alla ricerca di un riscatto sociale e un io ventinovenne che, in poco tempo e in un paese straniero, riesce a raggiungere obiettivi quasi mai sognati grazie alle opportunità offerte. Tengo a precisare che questa ovviamente è solo la mia esperienza personale e che mai avrei pensato di trasferirmi all’estero per vivere libero e non sopravvivere in catene. Affascinato da un prosperoso Centro/Nord Italia straboccante di meritocrazia, terzo di cinque figli, appena diciottenne partii dalla Calabria per cercare lavoro e immatricolarmi all’Università degli Studi di Perugia. Dopo appena due esami e dieci mesi tornai a casa deluso: “Impossibile dare lavoro full time a uno studente”, mi veniva detto. Il lavoro da imbianchino durò solo due settimane e il volantinaggio non mi garantiva un introito fisso.

Impossibile pagarsi gli studi con le proprie forze da fuori sede, quindi!

Esatto, mi iscrissi allora all’Università della mia città, detti tanti esami con ottimi voti, resistetti un anno e fortemente in disappunto col clima patetico, arrogante e inutilmente competitivo della facoltà la lasciai. Gli esempi di degrado erano tanti: esami dove i soliti raccomandati (non sapendo assolutamente nulla ad esempio di storia dell’archeologia), ottenevano il voto massimo dopo una sola domanda, “mi dica il nome dell’importante politico morto di recente in Tunisia”, scena muta, voto trenta e lode; colleghi di corso che dopo aver lavorato assieme mesi su dei progetti li rubavano a tua insaputa e si presentavano all’esame pavoneggiando l’immensa mole di lavoro ben fatto; professori che parevano divinità in terra. Era il Far West. Tornai allora a Perugia, con pochi denari in saccoccia, in estate. Non potendomi permettere l’anticipo della caparra per l’elevato affitto di una camera, spesi pochi giorni da qualche amico e cercai lavoro. Fui assunto in fabbrica, dove chiesi di fare i turni di notte, quasi per poter avere un riparo per la notte. Il mattino, mi sarei appisolato in un parco senza problemi. Con il primo stipendio di apprendista, avuto dopo due mesi, ebbi la mia stanza. Con il secondo e il terzo la re-iscrizione all’Università. Era fatta!

Era fatta?

Quasi. Al colloquio per il passaggio di facoltà, il direttore di dipartimento provò a innalzare un muro d’ostilità quasi insormontabile. Motivato a proibirmi a prendere l’indirizzo di studi in materie classiche e archeologia perché, fino a quel momento, non avevo conoscenze del latino e del greco antico avendo io fatto studi artistici e non classici. A muso duro risposi che a tempo debito sarei stato in grado di sostenere i due esami, così feci. Dopo qualche anno lo stesso, nella sua materia, mi conferì pieni voti aggiungendo la lode. La notte lavoravo, la mattina andavo all’Università, impossibile chiedere il giorno di permesso quando dovevo sostenere un esame, - che la legge prevede come Diritto allo Studio - era un inizio, sapevo non sarebbe stato facile. Eppure a vent'anni, pur facendo l’uomo forte, ero comunque ancora solo un bambino spaventato che ce la voleva fare. In fabbrica non superai mai il rossore, quando ad esempio i colleghi si relazionavano con me nel dialetto locale e mi canzonavano perché da meridionale non lo capivo. Passarono due anni e mezzo, tra saltuari doppi turni e qualche umiliazione. All’alba della crisi dell’11 Settembre, ci venne mandato uno psicologo aziendale - da quattro soldi - per aumentare la produzione e, benché fossi colui che più degli altri produceva per tentare di vedere qualche centesimo in più sulla busta paga, mi venne detto di fare una scelta per il bene della fabbrica. Ricordo ancora le parole “Gaetano, se vuoi continuare a lavorare devi lasciare l’Università!”

Stavi lavorando per pagarti gli studi, scelta difficile mollarli per restare in fabbrica..

Decisamente. Avevo quasi ventidue anni, rimpiazzai il lavoro. Fui impiegato come addetto in una ditta di pulizie pensando che gli orari concernessero meglio gli studi: la notte non avrei lavorato e la mattina sarei stato più sveglio durante le lezioni. Il sabato si lavorava la mattina e in nero, vietato rifiutarsi perché altrimenti si perdeva il lavoro. Per farti capire la mentalità italiana, ricordo che per quattro anni, tutti i giorni della settimana, lavoravo negli uffici statali e pur conoscendomi, nonostante il mio puntuale “buongiorno”, nessuno rispondeva mai. Per loro ero una merda. Chi poi sapeva che lavoravo per mantenermi gli studi improvvisamente iniziava a salutarmi. Che ambiente! Vidi gente che non era capace di accendere un computer stare lì a percepire un sostanzioso stipendio; dipendenti che, benché fosse loro proibito, in una stanza d’archivio avevano creato una piccola cucina abusiva per conservare i buoni pasto e spenderli nella loro spesa domestica (portarono persino una morsa per tagliare il prosciutto crudo intero a mano); gente che a fine giornata lasciava in ufficio le luci accese, i riscaldamenti al massimo e guai a spegnerli, io pensavo “Questi sprechi li paghiamo noi!”. L’Università non si comportò meglio.

Che capitava a livello accademico?

Un anno mi dissero che usufruendo del servizio mensa avrei pagato l’intero pasto perché il mio reddito era troppo alto, mi stranii e accettai. Strisciando la tessera mi fu poi detto che non avrei dovuto pagare nulla perché il mio reddito era basso. In confusione andai all’Adisu a verificare e con la spocchia mi dissero che se il pasto era gratuito avrei solo potuto che esserne felice. Consumai i miei pasti gratuiti ogni qual volta mi fosse possibile usufruirne. Un bel giorno mi arrivò il corrispettivo di tutto quello che avrei dovuto pagare in quei mesi e, visto che loro non potevano accertare che il pasto fosse stato solo una mela o un pasto completo mi addebitarono la tariffa massima. Era una cifra enorme per me, tornai a chiedere chiarimenti nei loro uffici, mi dissero che probabilmente c’erano stati degli errori, ma che io avrei dovuto pagare. Andai da un Giudice di Pace, raccontai la vicenda e con massima indifferenza mi rispose che contro l’università non avrebbe potuto fare nulla. Era il 2004 e internet non era ancora largamente fruibile. Dovetti pagare per intero, fortunatamente trovai un’anima buona che mi fece rateizzare. Successe ancora, questa volta con un documento che si diceva non avevo consegnato a inizio anno e dunque c’era una mora da pagare. Mi opposi, dissi chiaramente che io quel documento l’avevo consegnato, che io mi facevo il mazzo per mantenermi gli studi e l’università si stava approfittando di me. Mi servivano i soldi per la campagna di scavo a Pompei e iniziare la stesura per la tesi di laurea. L’addetto alla segreteria, gentile, comprese. A fare cassa sulla mia pelle v’era poi qualche altro bontempone che non sto qui a scrivere. Quando sei solo, in una città straniera, non hai santi a cui votarti.

E intanto al lavoro?

Si cominciò a parlare di crisi: con l’allarmismo mediatico di una nuova possibile crisi mondiale mi furono ridotte le ore di lavoro. Passai da un contratto full time a un part time di trentaquattro ore. Dopo appena due giorni dalla firma, queste aumentarono a sessanta, di lavoro nero e senza diritto di replica. La salute ne risentiva: ogni venerdì per diversi mesi puntualmente arrivava la febbre. Dovetti lavorare anche con 40° di febbre, non potevo permettermi di perdere il lavoro. Era davvero dura. 

Difficile conciliarlo allo studio..

Con fatica tentai di farlo, usai le mie ferie per andare a scavare a Pompei e scrivere parte della mia tesi di laurea. Al ritorno, dopo due settimane, il capo continuò il suo maltrattamento psicologico dicendo che tutti i posti che io pulivo erano sporchi, che a causa della mia assenza una collega aveva dovuto lavorare con la febbre “e camminare con le mani”. Chiesi ai miei colleghi e alla diretta interessata, non era vero. Compresi poi che io ero italiano e godevo di diritti scomodi per il datore di lavoro il quale dunque prediligeva, da quel momento, avere dipendenti stranieri. Datore di lavoro divenuto vittima e complice dello Stato – consapevole e consenziente - rendeva carta straccia i diritti stessi della Costituzione. Alcuni stranieri con famiglia, ben consapevoli dei propri diritti e benefici, lavoravano in nero per usufruire di servizi offerti a titolo gratuito dal Comune. Come la casa - due piani con garage - asilo e servizio pullman per i figli e chissà quanto altro. Nel frattempo costruivano casa nel loro paese. Comunque, non potendo più studiare, perché stremato dal lavoro e dalle costanti malefatte pensai al mio obiettivo. Non era forse quello di lavorare per pagarmi gli studi? Io “un giorno sarei stato felice” mi ripetevo. Contrario al principio di fare lavoro in nero perché, inoltre, non sarebbe stato presente sul TFR e poi più tardi in una possibile pensione, ebbi una parola con il capo. Questo non accettò il mio voler lavorare solo il dovuto da contratto e d’accordo con gli altri soci dell’azienda iniziò la mia punizione, il mobbing. Terribile. Ero uno svogliato, non avevo voglia di lavorare. Mi ferirono profondamente nell’orgoglio trattandomi come un incapace. Solo contro tutti. Non resistetti a lungo. Ricordo che mettendomi a letto una sera iniziai a ripetere “non ce la faccio più, non ce lo faccio più”. Ero allo stremo. Quando mi presentavo alle agenzie interinali si stupivano della mia presenza nei loro uffici, mi trattavano come un matto che voleva lasciare un lavoro a tempo indeterminato. Mi ripetevano di tenerlo e io rispondevo che avevo venticinque anni e volevo solo pagarmi gli studi, che fare le pulizie - in particolare in quelle condizioni - non era il mio futuro. Non capirono mai, trovai una nuova occupazione da solo. In quattro anni di lavoro come addetto alle pulizie, facendo due calcoli con i sindacati, mi furono sottratti quindici mila euro che mi spettavano di diritto (ne ebbi un terzo). E quando passi la cena della vigilia di natale solo, quando senza farti sentire piangi al telefono ascoltando il tuo nipotino che ti chiede quando torni, non è bello. Terzo lavoro fu quello di vigilanza non armata, anche qui premesse ottime: lavoro a turni e un fisso mensile di mille euro. Mi laureai facendo questo lavoro. Scoprii poi che il contratto fattomi firmare era falso, avrei dovuto prendere il triplo del mio guadagno. Tornai dai sindacati, per chiedere cosa stesse accadendo. Mi si garantiva uno stipendio fisso, ma venivo pagato 3,50 euro l’ora. Mi diedero ragione, come la commercialista della società che viveva con la paura che il tutto fosse scoperto. In pratica il mio contratto risultava di portierato e dunque che io, lavoratore, usufruissi a titolo gratuito di una casa con spese incluse. Il che non era vero. Il sindacalista ci fece iscrivere al sindacato e inserire nella busta paga una detrazione mensile per il servizio. Dopo forti parole di giustizia al proletariato, iniziò a negarsi. Aveva saputo chi era il capo. Probabilmente i due fecero una chiacchierata come quella ben rappresentata dal tormentone di Crozza che imita Razzi: “amico mio, fatti li cazzi tua.” Capii definitivamente che l’Italia era solo un’accozzaglia di interessi: se al Sud ti confronti contro la mentalità corrotta o mafiosa, qui combatti la massonica. Quella vita di un Centro e Nord Italia priva di corruzione era per me divenuta una mera réclame da media che ti invogliano a comprare prodotti.

E all’università?

Con la mia tesi di laurea, comunque, anche non raggiungendo il massimo dei voti ottenni il punteggio più alto che una commissione della facoltà degli studi di Lettere e Filosofia di Perugia conferì (10). Durante la mia sessione, grazie alle mie ricerche, il professore ebbe un’illuminazione che avvalorò la sua tesi sulla presenza, ritenuta prima una congettura, dell’antico culto di Jupiter Fagus e che precedeva la costruzione dell’intera Regio VI. Fu una grande rivalsa, un’immensa gratificazione. Il professore mi propose di entrare nel team di ricercatori di scavo a Pompeii. Anche se onorato, non presi in considerazione l’offerta. Non potevo permettermi di attendere soldi dall’Università che sarebbero arrivati chissà quando. Avevo bisogno di un introito fisso. La vita era già abbastanza difficile. Sognavo comunque di diventare insegnante d'arte o storia, feci domanda per entrare in graduatoria nelle scuole. Mi fu detto, che sia vero o meno, che al momento della chiamata, come requisito dovevo risultare disoccupato. Dunque, avrei dovuto mangiare fave forse per tutta la vita, in attesa di una chiamata che mi offrisse forse la supplenza di un giorno. Anche non comprendendo questo sistema mi misi nella lista di attesa. Non fui mai contattato. Stanco di lavorare con turni e deciso a iniziare a godere vita ed amici trovai un lavoro serio e ben pagato come commesso ottico, mi piaceva, benché a ventotto anni iniziassi a percepire che qualcosa mi mancava, ero inquieto. Avevo un libro nel cassetto, un romanzo che qualcuno mi aveva detto che non l’avrei mai dovuto pubblicare perché non valeva nulla. Imparai a non ascoltare più gli altri e nel marzo 2008 pubblicai finalmente il primo romanzo “L’amuleto dell’Essere” (poi riedito nel 2012 come Inquietudini di Cera. Ndr.) Fui immerso dalle mail di apprezzamento e ringraziamento dai lettori che si rispecchiarono, loro malgrado, nell’esperienza del mio protagonista, Icaro. Una frase del libro, ancora, fu scelta per una raccolta della Mondadori che riuniva le frasi dei personaggi più famosi di tutti i tempi. Non puoi immaginare l'emozione di trovarsi citato in La vita è una cosa meravigliosa con Seneca, Paulo Coelho, Fernando Pessoa, Daniel Pennac, Friederich Nietzsche, Albert Einstein, Lev Tolstoj, Dario Fo, Susanna Tamaro e tanti altri. Nuova crisi economica mondiale, con adeguato preavviso, persi il lavoro. Come apprendista l’INPS non mi aiutò - nonostante fu varata una legge in soccorso a noi sfigati, questa venne capita e attuata vergognosamente solo uno o due anni dopo quando vivevo già in Inghilterra - l’assicurazione del prestito in banca, che stipulai per pagare il biglietto del treno ai miei genitori e la festa di laurea, per imprevisti come questo che credeva possibili quando dovevano riscuotere, si negò. I centri dell’impiego mi dicevano che ero laureato ed era impossibile per me trovare un lavoro. Mi parlavano di progetti, di corsi di formazione da fare con la regione e che sarebbero iniziati mesi dopo. Dovevo lavorare per mangiare. Non tutti abbiamo una famiglia a cui rivolgersi. Iniziai qualche piccolo lavoretto, in otto mesi ne feci alcuni con promessa di contratto che mai arrivò. Allo stesso tempo mi prodigavo a presentarmi nei musei e cooperative di tutta Italia, di persona o via e-mail. Provai persino in Vaticano. Pensai poi che l’ideale sarebbe stato vivere in una città grande come Roma dove, in un viaggio di perlustrazione lasciando curriculum, rincontrai un’amica che mi disse chiaramente: “vattene dall’Italia!”. Discutemmo e arrivammo alla conclusione che nel nostra Bel Paese, con la crisi o meno, a trent’anni sei carne da macello! I contratti prediligono stoltamente i giovani apprendisti, per sottopagarli, sfruttarli e poi abbandonarli al loro destino. Altro che occupazione giovanile. Mi disse, ancora, che ero uno scrittore e che avrei dovuto fare le mie esperienza di vita per aprirmi la mente. In tutta la vita, mai avevo pensato di lasciare l’Italia.

Da qui la decisione di andare in Inghilterra?

Avevo ventinove anni. Non avevo mai parlato una singola parola d’inglese, non sapevo nemmeno come si dicesse grazie, in quella lingua. Dopo aver visitato Londra però la scelsi. Vendetti tutto quello che avevo: macchina, bicicletta, tv e quant’altro, con l’intenzione di non tornare indietro. Che soddisfazione potere dire no a un contratto stagionale a un grande negozio di Roma e il giorno dopo, avendo superato i tanti colloqui, ripetere il mio no a un contratto come professore di sostegno. Era il mio salto nel buio. Il mio momento, ero pronto! Londra mi apparve subito come la città dove tutto era possibile. Era nell’aria, si percepiva, le persone erano pura potenza creativa. Un’impensabile Neverland per ingenui come me che, sopravvivendo d’onestà, desiderano d’ardore la meritocrazia. Per quanto riguardava l’età non era un problema, per nessuno. Nei curriculum vitae una legge per il diritto all’occupazione proibisce di inserire la data di nascita. I primi tempi furono duri ma allo stesso tempo interessanti, una cultura lontana anni luce dalla nostra, a tratti incomprensibile. Per risparmiare soldi passai settimane a mangiare noodles perché costavano solo pochi centesimi di sterlina e, come nei miei diciannove anni a Perugia, dormii al freddo. Poi, in breve, tutto cambiò. Mi venne data l’opportunità di lavorare come cameriere, poi cuoco e in breve supervisor nel Caffè di una delle più belle gallerie d’Europa e di Londra, la Courtauld Gallery. Sopra la mia testa erano appesi i quadri di Manet, Degas, Renoir e tanti impressionisti dell’arte che amavo. Persino un Modigliani! Nell’ora di pausa andavo spesso ad osservare le tele e ogni volta ne rimanevo rapito sognando che un giorno sarei salito ai piani alti. Mi sentii fortunato a poter lavorare in quel luogo. Era la mia opportunità. Assistetti a innumerevoli mostre e scelsi menù adatti per ogni occasione. Piatti italiani per Michelangelo’s Dream, francesi per Toulouse-Lautrec and Jane Avril Beyond The Moulin Rouge, e spagnoli con Drawings from Ribera to Picasso. Lavoravo durante gli orari d’apertura del museo e andavo a scuola di inglese la sera. A fine giornata il manager ringraziava i dipendenti per il contributo dato. Davvero gratificante. Così ispirato, con altri autori pubblicai anche un libro per bambini “Favole, racconti e dintorni”. Compresi che per fare passi in avanti avrei dovuto inserirmi nel tessuto sociale inglese e, dopo che la richiesta di ammissione, firmata dal mio professore di laurea e un amico inglese fu accettata, con il consenso del mio manager iniziai una volta a settimana a fare volontariato come assistente di galleria al museo futurista italiano, l’Estorick Collection. Questa esperienza, assolutamente fantastica, mi permise di fare domanda d’assunzione a musei più grandi e solo un anno e mezzo dopo il mio arrivo a Londra, benché il mio inglese fosse ancora di conversazione media, venni assunto al British Museum. Sotto la magnifica cupola della Great Court iniziai a lavorare come commesso nei negozi, alle audioguide, gioielleria e desk informazioni. In base all’ispirazione mi capitava di scrivere il mio nuovo romanzo in foglietti o nel retro degli scontrini del museo. Sei mesi dopo si presentò una nuova opportunità come assistente ai visitatori e di galleria nel solo giorno di domenica. Volevo fare quel lavoro ardentemente. Con la paura di un secco rifiuto parlai con il mio manager che mi meravigliò, ricordo ancora le sue parole “Gaetano, certo! Devi crescere. La domenica potrai lavorare con la camicia blu, il resto della settimana con noi. Anzi, probabilmente sarai stanco di lavorare sei giorni a settimana, avrai bisogno di riposo anche tu. Invece di lavorare cinque giorni con noi, lavorane quattro. Se avremo bisogno di extra chiederemo all’agenzia un part time. Non preoccuparti. Per me è una gioia vedervi avanzare”. 

I primi veri passi avanti. Mi hai fatto ricordare una chiacchierata con Graziella Leggi: parlando di autori che hanno trovato spinta, opportunità, creatività e idee lasciandosi accogliere dalla capitale britannica abbiamo preso come esempio la storia del designer Massimo Fenati, da vent'anni infatti anche lui vive a Londra, luogo in cui è diventato famoso per aver inventato un fumetto con due pinguini chiamati Gus & Waldo che fanno coppia e che, con le loro esilaranti strisce, combattono l'omofobia. Il suo progetto avrebbe trovato notevoli difficoltà ad essere sviluppato in Italia. Anche tu come lui hai trovato tutto un altro mondo rispetto alla gavetta e al mobbing che si rischia di subire in Italia.

A me è successo, mi ritrovai, pieno di gioia, a ribaltare la mia situazione, ad avere due contratti per quel museo, a proteggere i suoi tesori e spiegare ai visitatori le opere. Tanto era la gioia di quello che facevo, che già sognavo di diventare uno degli assistenti del curatore della sezione antica Grecia e Roma, Paul Roberts. Lo vedevo spesso a mensa e addentando il fish and chips del venerdì seppi da uno dei miei colleghi che Roberts stava preparando la mostra Life and Death in Pompeii and Herculaneum. Volevo farne parte! Conoscevo Pompei, avevo fatto tre campagne di scavo e la tesi di laurea. Incredibile, impensabile che tutto quello per cui avevo desiderato finalmente stesse realizzandosi. 

E quel sogno si realizzò?

Si, ma in una maniera del tutto inaspettata. Come tanti, in una città che offre opportunità e lavoro in movimento, dopo meno di un anno trascorso al British Museum, scelsi di cambiare carriera. Volevo guadagnare di più, diventare autonomo, iniziare a viaggiare e porre al centro della mia vita la scrittura, sia come lavoro di creazione che di ricerca avendo il tempo di scavare sia dentro l’animo umano che nella cultura nostrana. Oggi, da quasi tre anni, insegno italiano come seconda lingua a gente fantastica che ama e apprezza la nostra terra e la nostra cultura forsanche più di quanto noi stessi siamo in grado di fare. Parliamo di vita, d’arte, di cucina, visitiamo musei e gallerie filosofeggiando sulla vita. I miei studenti sono oggi i miei fantastici compagni di questo viaggio felice. Attraverso lo sguardo dei miei studenti, osservo l’Italia che mi ha schiacciato e non posso che amarla. Nel paese di Sua Maestà pago le tasse, che mi vengono richieste in proporzione al mio guadagno, ho la mia piccola classe nel mio club privato nel pieno centro di Londra, in un Grand Hotel a Trafalgar Square. All’ora di pranzo faccio spesso un giro alla National Gallery per ammirare le opere di Van Gogh o sedermi e lasciarmi affascinare dagli Impressionisti, sapendo che a pochi metri da me si stagliano intere pareti di artisti italiani. Il sabato, poi, tengo le mie lezioni nella sala dei membri del British Museum leggendo di Tiziano. Non avrei più potuto vivere senza il “mio” museo. Visitai tante volte con i miei studenti Life and death in Pompeii and Herculaneum e a loro raccontavo l’emozione di aver potuto scavare nell’antica città romana e aver avuto il bacio della vita nel poter lavorare per il British Museum. Ogni primo lunedì del mese, ancora, incontro il gruppo di scrittori italiani a Londra, primo in tutta l’Inghilterra, da me organizzato, il The London Italian Writer’s Meetup. Straniero nel mio paese, maltrattato al lavoro, senza dignità, mi trovo nel Regno di Sua Maestà a godere della bellezza d’esser nato e vissuto d’arte. Da qui, il mio contributo d’amore al nostro paese. Questo, il mio posto nel mondo.

Hai raccontano una situazione sociale parecchio diffusa, Gaetano. Proprio in questi giorni, scorrendo le immagini del dossier fotografico di Simona Hassan, ci si può rendere conto di come la nostra generazione sia costretta ad accontentarsi. Solo l'intraprendenza può spingere fuori dal guado della precarietà, dello stagismo reiterato, dello schiavismo moderno, ma richiede dei salti nel buio che molti non sono disposti a rischiare. Parliamo di web, dove trovarti on-line?

Il mio profilo Facebook è un po' il mio diario di viaggio e spesso riassumo i miei pensieri o i miei scritti sul mio blog. Sui social mi trovate su Facebook e Twitter, poi c'è anche la pagina di Inquietudini di Cera, ma adesso mi sto dedicando ad un altro progetto che posso definire coinvolgente.

Sì, leggo dal tuo sito che il tuo nuovo romanzo ti sta impegnando in uno studio approfondito della situazione politica italiana degli anni ’70, partendo da Pasolini, passando a Berlinguer, Moro, Enrico Mattei, l’Olivetti e l’omicidio Kennedy. Un corposo spaccato che mette curiosità. Ti strappiamo una promessa: tornerai su AgoraVox Italia a parlarci di questo e dei tuoi altri scritti?

Ovviamente volentieri!

Non ci resta che augurarti buon lavoro, a presto.

Grazie mille a te e alla redazione, giro questo augurio a tutti i ragazzi che si stanno affacciando ora al mondo del lavoro, della formazione e dell'università. Spero per loro e per noi che la situazione cambi, si evolva e migliori.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.17) 15 marzo 2015 11:56

    Ballottoliere >


    Dai resoconti in circolazione si desume che la “Buona Scuola” (pensata da Renzi) si baserà su presupposte capacità organizzative e previsionali dei Presidi d’istituto tali da fare invidia a qualsiasi manager d’azienda. A cominciare dalla gestione della forza Docente.


    In concreto.

    Gli oltre 100mila immessi a ruolo, fin dal prossimo settembre, faranno parte degli Albi territoriali redatti dagli Uffici Scolastici Regionali.

    Nel rispetto dei margini di flessibilità (?) loro concessi, i singoli Presidi, in conformità al proprio Piano Triennale, potranno “individuare” ed ottenere tutti i Docenti necessari per coprire ogni esigenza didattica.

    Saranno così evitate le classi troppo numerose e il ricorso a insegnanti “supplenti”.


    Da notare però che i Presidi non sono stati finora interpellati per la “formazione” dei suddetti Albi Regionali. Così come nulla viene indicato su come sopperire alle imprevedibili quanto problematiche “assenze” sopravvenute di vari Docenti.


    A parte gli esiti del prossimo dibattito parlamentare, è dato risaputo che un fondato giudizio sull’effettiva validità-funzionalità dell’ennesima nuova riforma potrà maturare solo dopo almeno un anno di operatività.


    Non contano i proclami e gli annunci del giorno prima.

    Vedansi le remunerazioni del merito (chiave di volta di Renzi) che sono scemate dai 2/3 a 1/20 del corpo Docente.

    Più volte abbiamo visto e sperimentato sul campo la valenza di decantate Crociate Ministeriali

  • Di (---.---.---.167) 15 marzo 2015 16:49

    Sui cervelli in fuga potete leggere da AgoraVox: http://www.agoravox.it/Cervelli-in-...

  • Di (---.---.---.60) 17 marzo 2015 09:53

    Affronta l’argomento anche Denise Inguanta qui: http://www.agoravox.it/Il-sogno-lon...

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