Un anno dal 7 ottobre
Un anno dal 7 ottobre.
Benché offuscata da tutto quello che è successo dopo, questa rimane la data in cui tutto è cominciato.
Non mancherà certo chi penserà che è un'affermazione sbagliata, che tutto è cominciato ben prima, chi parlerà dell'occupazione dei Territori, della guerra dei Sei giorni, chi si spingerà alla Nakba, chi affermerà nuovamente l'illegittimità dell'esistenza stessa di Israele o chi, come me, ricorderà quello che non si ricorda mai (chissà perché): il massacro degli ebrei di Hebron del 1929, che fu lo spostamento del contenzioso sulla sovranità (su un territorio che ne era virtualmente privo) dal braccio di ferro politico, per quanto costellato di scontri di piazza, allo stragismo di massa e alla pulizia etnica.
E tuttavia il 7 ottobre rappresenta un nuovo inizio, il superamento di una linea rossa, o un "turning point". Il momento in cui cambia tutto.
Qualcuno, come nella manifestazione di sabato, lo ritiene un "atto di resistenza", scordandosi l'essenza suicidale di tale atto, ma si sa che molti sono affascinati dalla "morte bella" (possibilmente degli altri). Qualcuno lo definisce invece una dichiarazione di guerra pianificata con cura e finalizzata allo scatenamento di una jihad globale, potenzialmente devastante o addirittura alla definitiva distruzione di Israele, secondo gli strateghi islamisti, per "saturazione" degli apparati difensivi israeliani.
Di fatto è stato una tappa, forse decisiva, del confronto/scontro iniziato con la rivoluzione khomeinista in Iran (1979) che ha visto recentemente la creazione di un fronte contrapposto, con la trattativa per l'estensione degli accordi di Abramo, proposti dall'amministrazione Trump nel 2020, (in origine fra Israele e Bahrein e Emirati arabi uniti, sottoscritti poi da Marocco e Sudan) all'Arabia saudita.
Si tratta del proseguimento della strategia degli stati arabi volti alla normalizzazione dei rapporti con Israele, all'interno della quale trovare anche una qualche soluzione della questione palestinese (come ribadito anche recentemente dal principe saudita Mohammad bin Salman). Normalizzazione a cui si contrappongono l'Iran con i suoi alleati (governo iracheno, siriano, Hezbollah, Hamas, Houti yemeniti).
Lo scontro quindi è globale sia all'interno del mondo islamico - sulla cui egemonia lo scontro è aperto fin dai tempi dei successori di Maometto - che, per il coinvolgimento degli Stati Uniti, al suo esterno. E si inserisce nel più ampio braccio di ferro tra l'Occidente e il fronte antioccidentale che ha già visto l'aggressione russa all'Ucraina come momento primo. Non stupisce che il fronte antioccidentale trovi tante simpatie, in quanto tale, a sinistra, pur rappresentando quanto di più reazionario sia attivo oggi nel mondo.
La questione palestinese, che in Occidente trova tanta simpatia per una irrisolta "questione ebraica", potrà trovare una qualche soluzione (e, con essa, il contenimento - finalmente - delle intemperanze dei coloni, usati per fini politici dall'attuale governo) solo con il cambiamento radicale degli assetti politici attuali. L'esito del conflitto aperto, con il prevedibile portato di morte e distruzione, ci dirà in quale direzione.
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