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 Home page > Tribuna Libera > Jobs Act e articolo 18: uguaglianza al ribasso

Jobs Act e articolo 18: uguaglianza al ribasso

Cari ragazzi,

vi hanno rubato sogni e speranze, che si sono infranti su una miriade di contratti come co. co. co. , partite Iva che vi offrono pochi soldi e tanta precarietà.

Certo, il periodo è difficile, c’è una crisi epocale e una classe dirigente incapace ad affrontarla, non si trovano posti di lavoro e allora la tentazione di accettare tutto e di subire tutto, per avere un lavoro, è tanta.

Ma voi non cadete nel tranello dell'uguaglianza al ribasso, della guerra tra i poveri, non cedete al ricatto più lavoro meno diritti. Non accettate che un diritto sia tolto agli altri, e non dato a voi. Non accettate un'uguaglianza al ribasso: meno diritti per tutti. L'uguaglianza o è un passo avanti, una conquista di più diritti per tutti o non è uguaglianza.

Riscoprite il valore della solidarietà e del rispetto della persona, perché il lavoro non è una merce, nel lavoro c'è la vostra dignità (art 36 della Costituzione), la vostra libertà (art 1,2,3,4 della Costituzione) e il vostro futuro, il nostro futuro. Tutto questo è l'articolo 18, perciò è bello, per gli operai, ma anche per voi disoccupati, precari, per gli imprenditori, e per i cittadini.

Chi vi licenzia ingiustamente, colpisce la vostra dignità, perché perdete il posto di lavoro, ma soprattutto, perché subite un'ingiustizia

E allora l'articolo 18 non è solo uno strumento di difesa del posto di lavoro, ma anche della vostra dignità. Il rapporto di lavoro è il luogo dove non c’è solo il capitale, ma dove capitale e lavoro convivono con pari dignità (art 3 Costituzione). Un rapporto in cui si confrontano il vostro interesse di lavoratori, l'interesse dell'imprenditore, l'interesse dell'impresa, ma anche i vostri diritti di persona.

Un rapporto che regge una trama equilibrata di interessi, individuali, collettivi, economici e della persona, e per questo coerente con la Costituzione.

E allora non basta il giusto motivo, perché un licenziamento sia giusto. C’è bisogno della giusta causa, e di ragioni che attengono alle esigenze dell’impresa, e non al capriccio dell’imprenditore. Ma la riforma Fornero ha buttato all’aria questa impalcatura, ha indebolito le vostre difese. Oggi l’'articolo 18 del 1970 si applica solo ai licenziamenti discriminatori. La giusta causa non esiste più. Oggi, per licenziare basta una motivazione evidente, anche se infondata. Il reintegro non è più un diritto del lavoratore, ma un'opzione affidata alla discrezionalità del giudice. Ieri, quando il giudice accertava l’ingiustizia del licenziamento, aveva il dovere di reintegrare, oggi sceglie tra il reintegro e il risarcimento danni.

Ma tutto ciò non basta al “compagno Renzi” che vuol togliere il reintegro per i licenziamenti economici ingiusti.

Una produzione qualificata e tecnologicamente avanzata, richiede una manodopera capace e competente, e quindi investimenti nella formazione e nella valorizzazione della forza lavoro, e non leggi che facilitano il licenziamento.

La nostra industria, per la sua storia, è predisposta a competere con la qualità dei prodotti e con l'innovazione, e non con i prodotti di bassa qualità a basso costo. Del resto sarebbe pazzesca l’idea di abolire l’articolo 18 per competere con i cinesi e i coreani. Nella competizione sul prezzo e sui bassi salari, la nostra industria è destinata a soccombere.

Facilitare il licenziamento, dare all’imprenditore mano libera nell’impresa, fino al dispotismo, che travalica anche le barriere di ciò che è giusto, favorisce una produzione di basso livello, che compete sui bassi salari, perché lega la produttività, e quindi la competitività delle nostre imprese, alla quantità dei prodotti, e non alla loro qualità e tasso di innovazione. 

Per questo cancellare l'articolo 18 non produce nessun posto di lavoro, perché relega la nostra produzione in una fascia di mercato dove è destinata a soccombere e quindi a non creare posti di lavoro.

Ma ciò che dovrebbe indignarvi come lavoratori e come cittadini, è il fatto che cancellare l’articolo 18 significa anche legalizzare l'ingiustizia. Se vi tolgono la giustizia vi possono togliere tutto, anche la libertà.

Un licenziamento senza motivazioni, con motivazioni false ed infondate, non ha ragione di vita, né un anno né un mese, né un giorno. E cosi anche la guerra tra poveri, l’uguaglianza al ribasso. E allora, articolo 18 per tutti, nei sindacati, nei partiti, nella chiesa, per i lavoratori delle imprese con più di 15 dipendenti, ma anche quelli di imprese con meno di 15 dipendenti, più diritti per tutti, precari e lavoratori stabili, dipendenti pubblici e privati. Vivete la vostra realtà senza false illusioni, ma battetevi per questi obiettivi, sperate e sognate, ne vale la pena.

Un abbraccio a voi tutti.

Foto: GIUSEPPE DIANA, Flickr

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.12) 9 ottobre 2014 20:08

    È giusto non cadere nel tranello del ribasso dei diritti ma certamente chi ha i diritti non fa nulla per quelli che i diritti non li hanno anzi ci lucra. È indubbio che i precari hanno una utile funzione nel nostro sistema economico, servono dove le aziende sono sottoposte alle pressioni del mercato che chiede lavoro quando ci sono le commesse e licenziamenti quando le commesse finiscono.

    Oppure i precari fanno da cuscinetto, sono l’elastico che si tira e il nocciolo duro degli illicenziabili fanno un po’ da zavorra e un po’ da know how dell’azienda, quelli che hanno esperienza e sanno come fare.

    Comunque il peso delle aziende che funzionano dal punto di vista dei conti economici lo sopportano soprattutto i precari: quando servono si assumono e si guadagna e quando non servono si licenziano e non si spende. Di questo peso delle aziende sostenuto dai precari se ne avvantaggia la società tutta e anche gli illicenziabili senza però aiutare a portare questo peso.

    Faccio un esempio per essere più chiari. Se una azienda ha 50 dipendenti fissi e 50 precari, in caso di poco lavoro supponiamo vengono licenziati 10 precari che sono giovani per la maggior parte. Se i dipendenti fissi fossero licenziabili come i precari allora qualche precario non perderebbe il posto di lavoro e al suo posto lo perderebbe qualche dipendente maturo che porterebbe il peso della mancanza di lavoro per l’azienda.

    • Di (---.---.---.113) 8 aprile 2015 08:54

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