Spending review. Irresponsabile chi critica la manovra riguardo i tribunali
Il taglio di numerosi piccoli Tribunali, Procure e Sezioni Distaccate ha immediatamente alimentato una pletora di contestazioni tra avvocati, amministratori locali e sindacati giustificate da impredcisate efficienze delle strutture e tutela della popolazione
Le reazioni – in gran parte scomposte - alla pubblicazione del Decreto sulla c.d. spending review denunciano, ancora una volta, l’abisso che separa Sindacati, Parti Sociali e Rappresentanza Politica dagli interessi della collettività dei quali dovrebbero essere garanti.
Questo progressivo allontanamento di gran parte della Classe Dirigente del Paese dal Bene Comune è drammatico per gli effetti e per il futuro.
Per gli effetti perché la battaglia parlamentare, al momento della conversione del decreto, si caratterizzerà dalla difesa, da parte di onorevoli e senatori, del particolarismo dal quale traggono consenso; per il futuro perché queste reazioni non lasciano presagire nulla di buono da parte dei vincitori alle prossime elezioni del 2013.
Scrive Giovanni Negri sul Sole 24 ore del 7 luglio, commentando il taglio delle Procure e dei Tribunali: “Per certi versi il peggio deve ancora venire” e cita il Ministro della Giustizia, Severino, che affermato come il provvedimento in sede parlamentare potrebbe generare in un mercatino. Non si tratta, affatto, di una premonizione: le Agenzie Stampa rimbalzano le notizie del deputato con il taglio del Tribunale di Melfi, gli Avvocati di Lamezia sul tetto del tribunale, il Sindaco di Cassino in Piazza. In poche ore si è assistito ad una valanga di protesta: l’efficienza di questa o quella sede, il rischio del posto di lavoro o i disagi per il personale pubblico, la perdita di un punto di riferimento per la popolazione dell’Ufficio Giudiziario.
Vi fu una protesta analoga ( sebbene circoscritta agli addetti alla Giustizia) quando venne istituito il Giudice Unico, soppresse le Preture ed accorpati gli Uffici della Procura della Repubblica presso il Tribunale e della Pretura. Ciò che determinava un taglio di funzioni dirigenziali e di “capi degli Uffici”. Non se ne ebbe particolare eco perché le reazioni negative non avevano proprio ragione d’essere se non per il timore di qualcuno di perdere “il vespasiano davanti la propria Chiesa”.
Oggi sta accadendo la stessa cosa, sebbene vestita da luccicanti ricami di interessi superiori, esigenze locali, tutela dei cittadini. In realtà si tratta di un tipico vizio italico: l’aprioristica difesa di particolarismi anche a danno del bene comune.
Esattamente come accaduto con l’istituzione del Giudice Unico, la riorganizzazione degli Uffici Giudiziari sul territorio è una delle poche riforme strutturali di cui il Governo Monti è stato davvero capace. Il passaggio in Parlamento dovrebbe servire per migliorarla: una maggiore diffusione del processo telematico, una ulteriore estensione delle notifiche digitali, una più adeguata informatizzazione delle cancellerie.
E’ impensabile, invece, voler operare per sfilare dalla complessiva architettura questo o quell’Ufficio Giudiziario.
La geografia giudiziaria del Piemonte – la peggiore d’Italia in termini quantitativi – è caratterizzata da un Tribunale o una Sezione distaccata del Tribunale distanti tra loro 17 km in linea d’aria. Una pesante eredità trascinatasi fino ad oggi dall’Unità d’Italia ed a sua volta costruita sulla base dell’organizzazione medievale: la giustizia somministrata nella piazza del mercato (foro). Tanto che ancora oggi molti di quei tribunali tengono udienza proprio nei giorni di mercato.
Ciò indipendentemente dagli sprechi che una simile struttura comporta in termini di duplicazione, triplicazione e così via di uffici analoghi: cancellerie centrali, costi di approvvigionamento (si pensi alla distribuzione del materiale di segreteria); il turismo giudiziario (lo spostamento di Giudici e Pubblici Ministeri da una cittadina all’altra per le udienze) ad onere della spesa pubblica.
I detrattori della Riforma dimenticano, poi, altre incongruenze locali. Sempre parlando del Piemonte – regione di record negativi strutturali in termini di giustizia – vi è un'unica sede di Corte di Appello e del Tribunale dei Minorenni per due regioni: Piemonte e Valle d’Aosta. Forse risulterebbe adeguato incentivare, anche di più dell’attuale, la soppressione di strutture inutili e prevede Sezioni distaccate di detti Organi in alcuni capoluoghi di provincia.
Non mancano, naturalmente, gli esempi opposti: se Piemonte e Valle d’Aosta hanno un unico Distretto di Corte di Appello con sede a Torino; la Sicilia ha quattro distretti di Corte di Appello (Palermo, Catania, Caltanissetta, Messina).
La fotografia complessiva è tutt’altro che esaltante: 63 tribunali hanno meno di 15 magistrati in organico (contro una media nazionale di 31); 220 Sezioni distaccate hanno una media di 2,5 magistrati addetti (spesso con funzioni in più sezioni distaccate limitrofe e presso la sede principale); 55 tribunali minori coprono il 10% della popolazione.
Una industria privata con una simile localizzazione sul territorio nazionale e, quindi, con un numero impensabile di dirigenti ed impiegati sarebbe già fallita da tempo.
Forse è necessario prendere atto della indispensabilità dell’intervento e della conseguente, doverosa, assunzione di responsabilità di tutta la classe dirigente di questo Paese. E non potrà nemmeno essere evitata una riduzione del personale del pubblico impiego. Ciò che deriva non dall’immanenza delle cose, ma da precise responsabilità dei Sindacati e della classe politica che hanno per anni tollerato incongruenze, disorganizzazione, deficit strutturali. Spesso per asservirli ad interessi particolaristici. Non si tratta di intervenire sul singolo pubblico impiegato che, magari errando, l’immaginario collettivo vuole privilegiato ed imboscato (situazione che pure si registra in taluni casi); ma di individuare le responsabilità dei dirigenti che hanno tollerato simili comportamenti, che non hanno saputo o voluto svolgere il proprio ruolo di indirizzo e governo.
Non può essere oltremodo consentito (e non solo per ragioni economiche) che in numerosi uffici pubblici (compresi quelli dell’Amministrazione della Giustizia) stagisti non retribuiti svolgano attività magari essenziali, mentre nella sede distaccata (pochi chilometri distanti) un addetto alla segreteria sia privo di mansioni. E coloro che, per spirito di servizio e dignità, svolgono attività in orario straordinario non abbiano alcun riconoscimento retributivo per tale lavoro.
Tutto questo pregiudica non solo l’economia del Paese, ma la stessa efficienza dei servizi pubblici resi al cittadino. Una elefantiasi burocratica costruita intorno a capi e capetti – alle volete addirittura dirigenti di se stessi – che crea disfunzioni ed ostacoli enormi.
Le reazioni negative – per come rappresentate – sono quindi scomposte perché, innanzitutto, era dovere, di chi oggi si lamenta, intervenire ben prima. Comprendere che il tema del Pubblico Impiego, ad esempio, necessitava di una ristrutturazione già nei decenni passati con una adeguata predisposizione di strumenti di formazione e collocamenti idonei a rendere meno gravosi le conseguenze della riorganizzazione. Se le strutture periferiche, decentrate o locali fossero state sviluppate in conformità alle effettive esigenze del territorio, creando vere eccellenze, non vi sarebbe stata alcuna necessità di taglio.
Lamentare, oggi, imprecisate ed indimostrate lesioni alla generalità dei cittadini appare un esercizio di campanilismo, purtroppo, fine a se stesso. Ci saranno sicuramente delle eccezioni ed esse non devono essere segnalate, ma rigorosamente provate: numeri e dati alla mano.
Diversamente l’esercizio di campanilismo diventa espressione di grave irresponsabilità, come tale fino ad oggi è stato l'atteggiamento di numerosi centri di interesse generale lentamente divenuti corporazione nel senso più deleterio del termine.
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