Responsabilità civile del Giudice: un percorso difficile
L’approvazione della legge in materia di responsabilità civile dei Magistrati ha innescato conflitti e polemiche sui quali è indispensabile riflettere. Almeno con lo scopo di comprendere le ragioni ed i torti, evitare generalizzazioni e distinguere le, inevitabili, strumentalizzazioni che seguono, da sempre, argomenti delicati.
Proprio al fine di evitare ogni equivoco è necessario condividere un principio: una disciplina che affermi la responsabilità civile (regolamentandone casi e sanzioni) dei Magistrati è irrinunciabile. Vale per “chiunque” come correttamente recita il nostra codice civile. Ma per alcuni “vale” di più. Coloro che assumono un dovere di tutela nei confronti dei cittadini ed a salvaguardia di loro diritti fondamentali assumono anche un dovere di “cura” “attenzione” e “responsabilità” in ciò che compiono; nelle loro scelte e nel loro agire. Il medico ha nelle mani la salute del proprio paziente; l’avvocato ha in gioco la libertà del proprio assistito nelle scelte strategiche che compie; l’ingegnere decide della sicurezza di una intera collettività. Non di meno analoghe osservazioni riguardano altre professioni: l’insegnante, l’imprenditore. L’elenco non è lungo, ma nemmeno breve. A questi doveri non si sottrae il Magistrato, allorché garantisce “Giustizia”: in una posizione di perfetta parità di doveri e, quindi, di cura, attenzione e responsabilità nel proprio agire.
Un tale condivisibile principio presuppone che per legge ne sia assicurata l’effettività: chi sbaglia pone in pericolo la collettività ed è irrinunciabile (al pari del principio) che debba pagarne le conseguenze.
Mantenendo diritto il timone su queste osservazioni perde di logica argomentativa l’affermazione della ANM che contesta la nuova legge perché idonea a porre in pericolo imparzialità, indipendenza e serenità del Giudicante. Indipendenza, libertà e imparzialità (sotto diversi profili da quella richiesta al Giudice) sono elementi altrettanto fondamentali, imprenscindibili e garantiti dalla legge anche per l'avvocato, per il medico, per l'ingegnere e per tutte quelle professioni dove viene assunto il dovere di “cura”, “attenzione” e “responsabilità” a tutela di diritti fondamentali dei cittadini e della collettività.
Se un avvocato “dimentica” di impugnare una sentenza e nei confronti del proprio assistito viene eseguita la pena, non si può certo affermare che l’obbligo risarcitorio totale (e non parziale) e diretto (e non indiretto), giustamente previsto dalla legge, condiziona l’esercizio della sua professione minandone indipendenza e libertà. La medesima osservazioni vale per il medico che lascia la garza nella pancia del paziente o dell’ingegnere che ha omesso di controllare i carichi del cemento armato. Il Magistrato - che conferisce incarichi giudiziari ad una amica per le cause a lui assegnate (fatti recentemente accertati dalla Corte di Cassazione) per poi liquidare onorari di gran lunga superiori all’ordinario - non subisce alcuna lesione alla propria imparzialità ed indipendenza se una legge prevede che egli debba risarcire allo Stato i danni che ha cagionato profittando della sua posizione. Tanto meno ne risulterebbe lesa l’indipendenza o l’imparzialità della Magistratura.
Ma analoga osservazione vale per il Giudice che errando nel calcolare i termini di impugnazione dichiara improcedibile un appello proposto, invece, nei termini. O ancora per il Pubblico Ministero che lascia trascorrere i termini massimi di custodia cautelare omettendo, per trascuratezza, di compiere atti che consentirebbero di interrompere quei termini. E’ davvero difficile anche solo “intravedere” in questi casi ( non accademici ma rilevati dalla cronaca o dalla esperienza di molti operatori della giustizia ) un quid che sia capace di minare indipendenza o imparzialità della Magistratura, nell’ipotesi di un obbligo risarcitorio in capo al responsabile. Anzi, si dovrebbe esigere il risarcimento integrale senza, nemmeno, responsabilità indiretta. Questo proprio a garanzia del corretto operato della Giustizia.
Nemmeno il travisamento dei fatti può, in realtà, essere oggetto di discussione in termini di responsabilità. Si tratta di un vizio della decisione del Giudice perché fondata sopra una situazione di fatto non rispondente alla realtà. Quanto tale travisamento è immediatamente evidente - e non conseguenza di un percorso interpretativo frutto di un errore scusabile - genera responsabilità.
Sono peraltro assolutamente giustificati i timori di un potenziale uso strumentale delle norme che oggi prevedono e disciplinano la responsabilità dei Giudici. Ma se si osservano con attenzione le statistiche o anche solo le cronache il fenomeno ha riguardato - e riguarda - la responsabilità in ambito sanitario (tanto che recentemente sono state introdotte norme ad hoc che meglio garantiscono l’operato dei medici) o quella dell’avvocato. Certamente più grave sarebbe la situazione se un tale fenomeno fosse funzionale ad una illegittima (ed illecita) linea di difesa dell’imputato o della parte processuale. Questa, insoddisfatta dell’esito, ribalta il contenzioso su presunti errori del Magistrato. Ma anche peggio: l’utilizzo della responsabilità del giudice come strumento per sfuggire alle proprie responsabilità se non addirittura “al processo”.
Fino ad oggi questo rischio è stato evitato in virtù di una disciplina che, nei fatti, ha pure impedito che casi di colpa grave come quelli sopra indicati potessero avere accesso al giusto riconoscimento di un risarcimento. Come dimostrato inequivocabilmente dai "numeri": in un quarto di secolo la c.d. legge Vassalli ( in vigore dal 1988) ha prodotto poco meno che una decina di sentenze ( almeno riferendosi ai dati del Ministero ).
Il rischio di strumentalizzazioni della normativa deve essere evitato disincentivando azioni palesemente inammissibili. L’abuso - da qualsiasi parte proveniente - deve essere punito e sanzionato.
Foto: Coghlah/Flickr
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