Lettera aperta al dott. Guariniello. Non dovrebbero esistere "sentenze esemplari"
Il giorno dopo la pronuncia della Sentenza di Appello nel processo Eternit viene da domandarsi se davvero sia stata resa Giustizia o se, forse, la decisione non è altro che la fotografia, tragica ed impietosa, di una società, di una cultura e di una politica in lenta ma inesorabile dissoluzione.
Gent.le Consigliere
non intendo essere “voce del fuori dal coro” per principio o, peggio, per retorica, ma è per me particolarmente difficile condividere e comprendere la Sua soddisfazione per la Giustizia e per l’Italia. Ho attentamente seguito ogni Suo commento ed ho cercato tutte le possibile “chiavi” per “guardare” il significato “positivo” di questa sentenza (indubbiamente storica) nei suoi aspetti sociali e culturali. Francamente non riesco a coglierne nemmeno uno. Soprattutto per l’Italia ed in particolare per le vittime, comprese quelle che, ahimé, verranno. Nel futuro prossimo ed in un futuro lontano. I profili giuridici non sono certamente in grado di commentarli. Riguardano la legge e la loro applicazione e non ho titolo per disquisire e contraddire su elementi che non sono affatto a mia conoscenza per gli aspetti più rigorosamente “tecnici”; sebbene abbia la sensazione di aver molto da apprendere, in questo senso, dalla motivazione della decisione allorché verrà depositata e resa pubblica.
Ho provato una profonda tristezza nell’ascoltare alcuni passaggi delle Sue dichiarazioni che parlavano di una Giustizia che non è sogno, ma realtà; di un'Italia che ha reso Giustizia. È stata solo applicata (con fatica e tra difficoltà enormi) la legge o quello che rimaneva ancora da poter applicare. Dietro le quinte, occultati alla scena, sono rimasti tanti, troppi, responsabili. Alcuni di loro sono riusciti a sfuggire alla legge, nonostante che dalla legge avrebbero dovuto essere colpiti. Altri hanno trovato comode vie di fuga dalle responsabilità politiche che hanno gravato – e gravano per quanto in vita – sulle loro spalle.
Potrà obiettarmi, Consigliere, che i Giudici per rendere Giustizia devono applicare la legge ed è questo che è accaduto. Se tale fosse la Sua obiezione la respingerei con vigore. La Giustizia può dirsi resa nella sua pienezza solo a condizione che la Legge venga applicata nei tempi da essa previsti, nei confronti di tutti coloro che la Legge prevede come destinatari, con le conseguenze che derivano dall’applicazione della Legge. Diversamente un Giudice non rende Giustizia o, comunque, non è messo nella situazione di poter rendere Giustizia. E non certo per colpa dei Giudici.
Mi rattrista e mi amareggia questa sentenza perché non è altro che la fotografia, tragica ed impietosa, di una società e di una cultura malata, anomala, corrotta, incapace di prendersi cura e di avere attenzione di quelle persone, spesso più deboli, che ne costituiscono l’anima. Una società che ha fatto passare il tempo della Giustizia ed ha lasciato ai Giudici di oggi la conta di migliaia di morti e la sola possibilità di applicare la legge. Noi, spettatori, costretti anche a commentare “Per fortuna!”. Ma la Giustizia (quella con la G maiuscola) è una cosa diversa, un altro pianeta.
La mia cultura giuridica non tollera il concetto di “sentenza esemplare” perché è quanto di più lontano si possa immaginare dal significato profondo di Giustizia. Se in un contesto sociale si rende necessaria una “decisione che dia esempio “ significa che in quello stesso contesto sociale si è realizzata una situazione drammatica che nessuno – tra coloro che ne avevano il dovere - è riuscito ad evitare. La Storia insegna che nessuna “sentenza esemplare” ha mai costituito esempio per evitare il ripetersi del dramma. Molti mesi dopo la sentenza di primo grado di questo stesso processo – anch’essa esemplare ed accolta con grande soddisfazione – la dirigenza dell’ILVA ha considerato carta straccia gli impegni e gli obblighi che derivavano dall’Autorizzazione Integrata Ambientale. E molti mesi dopo quella sentenza esemplare tanti, troppi, lavoratori continuano a cadere dalle impalcature. Forse che la pena di morte – la più esemplare delle pene – abbia mai fermato la mano degli assassini?
La sentenza esemplare lascia solo devastazione, passa come uno Tsunami, non pulisce nulla. Ma nemmeno questo: chi doveva esserne colpito ha avuto anche il tempo di morire.
Non una di queste ragioni – sia chiaro – è sufficiente per criticare o anche solo discutere il lavoro dei Giudici che hanno deciso o il risultato da Lei ottenuto; così caparbiamente voluto nel’interesse della Legge e soprattutto della Giustizia.
Ma La prego di osservare, per un attimo, con i miei occhi il Teatro dove è stato celebrato il Dramma.
La Storia inizia quando ancora molti degli Attori di oggi dovevano addirittura nascere. Il tempo si è addirittura preso beffa di quelle povere anime: sono nate dopo che è iniziata la Storia e sono morte prima che si concludesse. Senza che nulla si sia ancora concluso: altri attori dovranno ancora morire e forse anche nascere. Sono gli Attori Fantasma saliti, loro malgrado, su questo orrido Palcoscenico.
Ci sono poi gli Attori Invisibili, i più temibili. Di loro non si conosce nemmeno il nome. Immagino che molti di loro siano già morti, per gli altri ancora vivi si spera nel rimorso. Che è, da sempre, effimera consolazione. Sapevano ed hanno taciuto, immaginavano ed hanno ignorato. Nella vita reale erano i medici che raccoglievano i morti, gli ispettori che non ispezionavano, i dirigenti della politica che ignoravano. I “responsabili apicali” che “coprivano”. Accanto a loro gli Attori Inascoltati: i medici che hanno denunciato, gli ispettori ai quali è stato impedito di ispezionare, i dirigenti della politica che sono stati ignorati. Tutti pezzi dello stesso Stato: quello di cui ognuno di noi è parte.
“Bravissimi” i registi. Sicuramente più d’uno. Qualcuno è scomparso ancora prima che la rappresentazione finisse ed il pubblico potesse defluire. Hanno curato ogni minimo particolare ed hanno pure fondato una “Scuola d’Arte”. All’epoca l’ILVA apprendeva, forse, i rudimenti della “tecnica”.
Ma anche le coreografie sono state “stupende”. Sembrava che ogni cosa, così come le malattie o le morti, avvenisse per caso, se non per voler di Dio. Per un disegno superiore del divino sconosciuto ai mortali. È invece, ben nascosta, si poteva vedere la mano che stringeva la palla. Una palla levigata che rotolava ed inesorabilmente giungeva a colpire, con l’assordante ritmo di un silenzio funebre, tutti i birilli. “Strike” urlava il giocatore che passava a riscuotere la vincita. E via con una nuova partita ed una nuova vincita.
Non sono d’accordo con Lei, Consigliere. Questa Giustizia non è un sogno che diventa realtà. È solo l’epilogo un tragico incubo. E non è Giustizia.
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