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Shoah e pratica carnivora tra scienza e letteratura. Una risposta a Polaris

Nel «Domenicale» dello scorso 25 luglio, Polaris, nell’illustrare l’attenzione che «Charta Minuta», il bimestrale del think tank di centro-destra «Farefuturo», ha riservato nel suo ultimo numero ai diritti degli animali, liquida sbrigativamente coloro che equiparano la pratica carnivora allo sterminio nazista degli ebrei come «estremisti» e «folli».

 
A Polaris, però, sembra sfuggire (e comunque non ne fa menzione nel suo intervento) che tale equiparazione, lungi dall’essere una stravaganza da fondamentalisti, viene sempre più proposta nel dibattito culturale, scientifico e letterario.

«I nazisti costringevano coloro che stavano per uccidere a spogliarsi completamente e a raggrupparsi insieme, la qual cosa non è un comportamento consueto per gli esseri umani. La nudità dunque allude all’identità animale delle vittime e l’assembramento suggerisce l’immagine di una mandria di mucche o di pecore. Una disumanizzazione che rendeva più facile sparare alle vittime o ucciderle con il gas», osserva nel suo Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto Charles Patterson, storico americano, docente alla Columbia University di New York e alla International School for Holocaust Studies di Gerusalemme.

Anche la letteratura si è interrogata sulla verosimiglianza dell’equazione macello=camera a gas. Il titolo del volume di Patterson prende d’altronde spunto da un passo del racconto L’uomo che scriveva lettere di Isaac Bashevis Singer, premio Nobel per la Letteratura nel 1978, in cui si legge: «si sono convinti che l’uomo, il peggior trasgressore di tutte le specie, sia il vertice della creazione: tutti gli altri esseri viventi sono stati creati unicamente per procurargli cibo e pellame, per essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno».

Un altro premio Nobel, lo scrittore sudafricano John M. Coetzee, nella Vita degli animali fa dire alla protagonista, Elizabeth Costello, a proposito della crudeltà con cui l’uomo tratta gli animali, che oramai «siamo circondati da un’impresa di degradazione, crudeltà e sterminio che può rivaleggiare con ciò di cui è stato capace il Terzo Reich». Nella sezione, nello stesso volume, dedicata alle Riflessioni, con interventi di Marjorie Garber, docente di Letteratura, Wendy Doniger, storico delle religioni, Barbara Smuts, docente di Psicologia e Antropologia e Peter Singer, filosofo, quest’ultimo, dopo aver precisato che Costello propone, in fatto di animali e uomini, un «egualitarismo più radicale» di quello che egli sarebbe disposto a difendere e che la differenza essenziale è che gli esseri umani hanno «capacità che superano di molto quelle degli animali non umani, e alcune di queste capacità sono moralmente importanti in determinati contesti», deve sentirsi replicare dalla figlia: «non è specismo anche questo? Non stai dicendo che queste caratteristiche - avere coscienza di sé, fare piani per il futuro, eccetera - sono proprie degli esseri umani, e quindi valgono più di quelle che hanno gli animali?». Ma, come ricorda Marjorie Garber, l’analogia tra «lo sterminio degli ebrei europei e il bestiame mandato al macello» è stata utilizzata anche nel cinema, nel film Babe di Chris Noonan del 1995 ad esempio, il cui protagonista è proprio un maialino.

Se, dunque, già Theodor Adorno, ebreo tedesco costretto all’esilio dal nazismo, scriveva che «Auschwitz inizia ogni volta che qualcuno guarda a un mattatoio e pensa: sono soltanto animali», Patterson arriva a sostenere che il proprio lavoro «prende in esame come, nei tempi moderni, l’uccisione industrializzata di animali e uomini si sia intrecciata e come l’eugenetica americana e i macelli automatizzati abbiano attraversato l’Atlantico e trovato terreno fertile nella Germania nazista». I campi di sterminio si sarebbero così storicamente modellati sugli stabilimenti per la macellazione seriale di bovini e suini.

Questi appaiono addirittura luoghi più infernali dei lager nazisti nel recentissimo libro-inchiesta di Jonathan Safran Foer "Se niente importa. Perché mangiamo animali?". Con grande, e nauseante, efficacia, lo scrittore americano osserva ad esempio che «una gabbia per galline ovaiole concede in genere a ogni animale una superficie all’incirca di quattro decimetri quadrati: uno spazio grande poco meno di un foglio A4. Le gabbie sono accatastate in pile da tre a nove […] in capannoni privi di finestre. Entra mentalmente in un ascensore affollato, un ascensore così affollato che non riesci a girarti senza sbattere (esasperandolo) contro il tuo vicino. Un ascensore così affollato che spesso rimani sollevato a mezz’aria. Il che è una specie di benedizione, perché il pavimento inclinato è fatto di fil di ferro che ti sega i piedi. Dopo un po’ quelli che stanno nell’ascensore perderanno la capacità di lavorare nell’interesse del gruppo. Alcuni diventeranno violenti, altri impazziranno. Qualcuno, privato di cibo e speranza, si volgerà al cannibalismo. Non c’è tregua, non c’è sollievo. Non arriverà nessun addetto a riparare l’ascensore. Le porte si apriranno una sola volta, al termine della tua vita, per portarti nell’unico posto peggiore», vale a dire quello della lavorazione, dell’abbattimento e della macellazione, in cui i polli, vivi, verranno appesi a testa in giù su una catena di montaggio, immersi in una vasca d’acqua elettrificata per essere storditi, poi dissanguati lentamente con il taglio della gola, infine immersi nelle vasche di scottatura, zeppe di feci prodotte dal terrore. Un po’ meglio va ai polli da carne che possono arrivare a godere di uno spazio di ben nove decimetri quadrati. Altra sorte, non sapremmo dire se peggiore o migliore, tocca ai pulcini maschi delle galline ovaiole, destinati dalla natura a non poter deporre uova e dall’uomo a non essere divorati. Essi finiscono infatti carbonizzati su piastre elettrificate o triturati vivi in appositi truciolatori.

Storici e letterati, anche se premi Nobel, possono ovviamente sostenere tesi poco plausibili ma non ricordarle facendo passare quelli che Polaris chiama «animalisti radicali» come capaci solo di organizzare attentati terroristici e di spedire aghi infetti ci sembra intellettualmente poco onesto.

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